Ill.mo Sig. Presidente, ci rivolgiamo a Lei, in qualità di garante del rispetto dei principi costituzionali, compresi quelli derivanti all'Italia dall'appartenenza all'Unione Europea, per chiederLe di non promulgare la legge in oggetto, e rinviarne l'esame alle Camere, ai sensi dell'art. 74 della Costituzione . Questi i motivi della richiesta : com'è noto, il provvedimento conferisce al Governo la delega per l'emanazione di decreti legislativi di "riordino, coordinamento e integrazione delle disposizioni legislative" per la quasi totalità delle materie riguardanti la tutela dell'ambiente. In particolare: a) gestione dei rifiuti e bonifica dei siti contaminati; b) tutela delle acque dall'inquinamento e gestione delle risorse idriche; c) difesa del suolo e lotta alla desertificazione; d) gestione delle aree protette, conservazione e utilizzo sostenibile degli esemplari di specie protette di flora e di fauna; e) tutela risarcitoria contro i danni all'ambiente; f) procedure per la valutazione di impatto ambientale (VIA), per la valutazione ambientale strategica (VAS) e per l'autorizzazione ambientale integrata (IPPC); g) tutela dell'aria e riduzione delle emissioni in atmosfera. Ricordiamo che le Associazioni Ambientaliste sono tutt'altro che contrarie ad un riordino e ad una semplificazione delle principali materie che compongono il "diritto ambientale". Anzi, da tempo le nostre organizzazioni hanno avanzato la proposta di una "Legge quadro per la tutela dell'ambiente": una legge che stabilisca pochi e chiari principi generali di tutela ambientale, finora non codificati, che servano da linee guida inderogabili per le singole normative di settore, completata con testi unici che fissino i dettagli e le regolamentazioni per ogni singola materia. La legge in questione, invece che un "riordino" del sistema normativo di tutela ambientale, risulta contenere una delega troppo ampia e poco precisa per un riesame generalizzato delle più importanti leggi ambientali approvate in oltre trent'anni di evoluzione normativa europea, nazionale e regionale, leggi che peraltro recepivano le indicazioni della giurisprudenza costituzionale e della Corte di Cassazione. Il testo approvato, inoltre, contiene norme "immediatamente efficaci" a nostro avviso incostituzionali perché poste in violazione di norme europee e degli stessi principi costituzionali in materia di tutela dell'ambiente e del paesaggio. Le modalità di approvazione delle legge, il cui iter è durato quasi tre anni, con cinque passaggi parlamentari e tre voti di fiducia (due al Senato ed uno alla Camera dei Deputati), sono sintomo evidente dei problemi di natura giuridica e politica legati a questo testo. L'originaria proposta di legge, approvata dal consiglio dei Ministri del 5 ottobre 2001, era composta di soli quattro articoli volti al conferimento della delega (art.1), la fissazione dei principi e criteri direttivi, generali (art.2) e specifici per i singoli settori oggetto della delega (art.3), e l'individuazione di una commissione incaricata della stesura dei Decreti legislativi per le singole materie (art.4). Il testo approvato lo scorso 24 novembre, contiene, invece anche norme di diretta ed immediata applicazione ed efficacia (commi 21 e segg), riguardanti i rifiuti, la disciplina urbanistica-edilizia, la sanatoria dei reati paesaggistici. Queste norme, introdotte nel marzo 2002 dalla Camera, poi soppresse parzialmente dal Senato nel febbraio 2004 (quelle riguardanti la sanatoria paesaggistica), sono state non solo reintrodotte ma persino peggiorate con il "maxiemendamento" del Governo, votato 14 ottobre 2004 solamente grazie al ricorso al voto di fiducia per la seconda volta al Senato. L'iter di approvazione del provvedimento si è concluso con il terzo voto di fiducia, posto alla Camera dei Deputati il 24 novembre 2004. Profili di incostituzionalità dei criteri di delega (art. 1, commi 1/20) E' palese, come già accennato, che non si tratta più di una delega per il "riordino, il coordinamento e l'integrazione della legislazione in materia ambientale", che rientri nei parametri stabiliti dall'art. 76 della Costituzione, ma di una legge che delega il Governo, che a sua volta incaricherà una commissione esterna all'Amministrazione ed al Parlamento, per la riscrittura nell'arco di 18 mesi (cui se ne aggiungono due per emanare ulteriori decreti legislativi contenenti non precisate "norme integrative o correttive") dell'intero corpo normativo e regolamentare riguardante tutti gli aspetti nevralgici della normativa ambientale. La delega espressa nel testo esorbita i termini e i principi espressi dell'art. 76 della Costituzione sia per quanto riguarda la "definizione dell'oggetto che la limitazione temporale. Relativamente alla definizione dell'oggetto, prescindendo da ogni considerazione sulla vastità delle materie trattate, si deve rilevare una palese disomogeneità presente nel testo. Si passa da situazioni assolutamente di dettaglio (ad esempio la previsione delle sostanze antivegetative nelle nuove condotte d'acqua) a situazioni generiche dove non si capisce esattamente quali siano i termini dell'intervento di riforma, potendo intendere con certe affermazioni anche soluzioni diametralmente opposte l'una dall'altra; clamoroso poi che la legge preveda delega per l'attuazione di norme o di disposizioni assolutamente vigenti e quindi immediatamente attuabili. Relativamente ai tempi la delega si espleterà completamente in oltre un triennio e si dubita fortemente ( così come ampiamente affermato in dottrina) che il concetto di "tempo limitato" espresso dall'art. 76 della Costituzione possa essere relativo ad un tempo talmente lungo da travalicare l'attuale legislatura. Il testo investe in maniera radicale e, secondo il nostro parere, non correttamente valutata l'intero corpus normativo del diritto ambientale, procedendo a un "riordino" che presenta motivi di contraddizione e di contrasto tra alcuni dei principi e criteri direttivi "generali" per l'esercizio della delega e i principi e i criteri direttivi "specifici" ed ancor più con le norme di immediata applicazione. Il testo non fa alcuna distinzione tra le materie oggetto del provvedimento, prevedendo indistintamente la redazione di testi unici anche per materie e settori che sono state, anche di recente, già oggetto di attività di coordinamento, armonizzazione e semplificazione delle normative vigenti, in attuazione delle direttive comunitarie. Così come intende riscrivere le regole per materie la cui disciplina normativa non è certamente nata dall'emergenza, come sostenuto da taluni membri del Governo, ma dall'adempimento di obblighi comunitari ed internazionali. Di converso, ignora temi che avrebbero bisogno di un'attenta revisione parlamentare. Per quanto riguarda il primo aspetto, è il caso di temi e settori riordinati recentemente (quali quelli dei rifiuti e della bonifica dei siti contaminati, Dlgs n. 22/1997; tutela delle acque dall'inquinamento e gestione delle risorse idriche, Dlgs n. 152/1999; Codice dei beni culturali e del paesaggio Dlgs 42/2004 ) o riguardo ai quali si è giunti alla definizione di normative quadro dopo una lunga e faticosa opera di mediazione tra gli attori sociali (Legge quadro sulle aree protette - L. n. 394/1991 - e Legge quadro sull'attività venatoria e tutela della fauna selvatica - L. n. 157/1992 -). Per quanto riguarda il secondo aspetto, si segnala che viene ignorato, inspiegabilmente, il tema della tutela, difesa e valorizzazione del mare e delle sue risorse, regolato ad oggi da una normativa ormai datata e lacunosa quale la L. n. 979/1982; La vaghezza e la contradditorietà dei principi e dei criteri oggetto della delega, l'onnicomprensività dell'operazione e i tempi previsti per portare a buon fine l'articolata procedura di riordino, coordinamento e integrazione comporteranno, a nostro avviso, in tutti i settori e le materie oggetto del provvedimento, un effetto attesa, dilatato insostenibilmente in due fasi (18 mesi, più 2 anni) che rischia di riflettersi sulla certezza del diritto in campo ambientale. Con effetti non valutabili in particolare in campi delicati quali la gestione del ciclo dei rifiuti, il danno all'ambiente, l'inquinamento delle acque, del suolo e dell'aria, la tutela dei beni culturali e paesaggistici. La marginalità del ruolo parlamentare è lampante e lesiva della dignità delle Camere e dell'equilibrio tra i poteri. Provvedimenti che hanno l'ambizione di ridisegnare, come abbiamo visto, l'intero corpus normativo in campo ambientale prevedono un "doppio passaggio" presso le competenti commissioni parlamentari, ma assolutamente insufficiente per un vaglio su modifiche di tale portata (comma5: primo parere espresso entro 30 giorni sugli schemi di decreto; secondo parere sui testi modificati dopo il termine tassativo di 20 giorni), che si conclude con il potere assegnato al Governo di emanare i provvedimenti anche in assenza di pareri definitivi acquisiti dal Parlamento. Riteniamo, dunque, che le norme che stabiliscono i criteri di delega siano viziate da illegittimità costituzionale, per violazione dell'art. 76 della Costituzione. Profili di incostituzionalità delle norme immediatamente efficaci (art. 1 , commi 21 e segg.) Come abbiamo segnalato più volte durante tutto l'iter parlamentare, uno dei problemi macroscopici della legge in questione riguarda l'evidente incoerenza ed illogicità dell'inserimento, all'interno di un disegno di legge-delega, di disposizioni immediatamente efficaci non supportate da alcune carattere di urgenza ed in più palesemente illegittime ed incostituzionali. Ci riferiamo, in particolare, alla due norme riguardanti la gestione dei rifiuti e la sanatoria paesaggistica. RIFIUTI (COMMI 25/31) Vengono ulteriormente ampliate le categorie di prodotti industriali e sostanze, comprese quelle pericolose per l'ambiente e la salute, sottratte alla "definizione di rifiuto", in totale e palese contrasto con le norme comunitarie sulla gestione e controllo dei rifiuti e con le legge italiana di applicazione ( D.Lgs. 22/97) . Si tratta di un'estensione del regime delle "materie prime seconde" ai residui di lavorazione delle attività siderurgiche e metallurgiche. Tale nuova norma trova origine nella "Interpretazione autentica della nozione di rifiuto", di cui all'art. 14 della legge 8 agosto 2002 n. 178 che modificava la nozione di rifiuto di cui all'art. 6, comma 1, lettera a) del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n.22. Com'è noto, tale norma è stata oggetto di censura da parte della Corte Europea di Giustizia, con la recentissima sentenza dell'11 novembre 2004 (C-457/02 Antonio Niselli "Direttiva 75/442/CEE e 91/56/CEE - Nozione di rifiuto - Materiali residuali di produzione e di consumo - Rottami ferrosi") che ne ha dichiarato l'illegittimità rispetto alle Direttive europee. Per lo stesso motivo nel luglio scorso nei confronti dell'Italia era stata aperta una procedura d'infrazione dalla Commissione Europea. Quest'ultima decisione del giudice europeo è stata preceduta da altre pronunce del medesimo contenuto. Ad esempio: la sentenza ARCO del 15 giugno 2000, che stabiliva: " A questo proposito va rilevato anzitutto che, anche se un rifiuto è stato oggetto di un'operazione di ricupero completo la quale comporti che la sostanza di cui trattasi ha acquisito le stesse proprietà e caratteristiche di una materia prima, cionondimeno tale sostanza può essere considerata un rifiuto se, conformemente alla definizione di cui all'art. 1, lett. a) della direttiva, il detentore della sostanza se ne disfi o abbia deciso o abbia l'obbligo di disfarsene Come è stato ricordato supra, il metodo di trasformazione o le modalità di utilizzo di una sostanza non sono determinanti per stabilire se si tratti o no di un rifiuto. Infatti la destinazione futura di un oggetto o di una sostanza non ha incidenza sulla natura di rifiuto definita, conformemente all'art. 1, lett. a), della direttiva, con riferimento al fatto che il detentore dell'oggetto o della sostanza se ne disfi o abbia deciso o abbia l'obbligo di disfarsene". Il Parlamento italiano, anziché abrogare l'art. 14 della L. 178/2002, così come d'obbligo per il rispetto dei Trattati europei, delle Direttive sulla gestione dei rifiuti e delle pronunce del Giudice comunitario, ha approvato una disciplina che, non solo è in aperto contrasto con detti principi dell'Unione Europea, ma ne aggrava persino i contenuti. Riteniamo, dunque, che le norme di cui ai commi 25 e segg. siano viziate da illegittimità costituzionale per violazione dell'articolo 10 della Costituzione, in quanto incompatibili, insieme all'art. 14 della L. 178/2002, con gli impegni assunti dall'Italia nei confronti dell'Unione Europea. Sanatoria paesaggistica (commi 36 e segg.) Il comma 36 prevede la "sanatoria" di opere abusive realizzate in zone sottoposte a vincolo paesaggistico-ambientale e l'estinzione dei reati compiuti da chi ha costruito l'opera o realizzato una trasformazione territoriale, senza la prescritta autorizzazione paesaggistica. Negli ultimi anni si era sviluppato un ampio dibattito sulla possibilità di estendere il regime ordinario della sanatoria agli abusi edilizi realizzati in aria vincolata. Nonostante una giurisprudenza, comunque minoritaria, avesse aperto su casi specifici a tale possibilità si era mantenuto fermo il principio della non ammissibilità delle sanatorie in arie vincolate ritenendo prevalente l'interesse pubblico che sta alla base del vincolo apposto, che non l'interesse privato che muove la richiesta di sanatoria. Un elemento di grande chiarezza era stato finalmente posto dal nuovo Codice dei Beni Culturali che in maniera inequivocabile escludeva la possibilità di ogni sanatoria in aree paesaggisticamente vincolate. Con tale scelta, assolutamente condivisibile, il Governo confermava la rilevanza dell'attenzione costituzionali della tutela paesaggistica (art. 9 della Costituzione) e, tra l'altro, meritoriamente escludeva dall'ultima legge sul condono la possibilità di sanare gli abusi edilizi realizzati in aree vincolate. La disposizione introdotta nella legge delega, che prevede la sanatoria paesaggistica, va in aperta controtendenza rispetto a questa impostazione ed apre per la prima volta in modo generale la possibilità di sanare sotto il profilo ambientale gli abusi realizzati. Poco importa affermare che tale disposizione può considerarsi una tantum poiché, al di là di casi puntuali e specifici è la prima volta che si concede al di fuori del condono edilizio la possibilità di sanatoria in area paesaggistica violando così un principio cardine della cultura giuridica del nostro Paese. Per inciso vale la pena di ricordare che la sanatoria non interviene soltanto nel campo delle costruzioni edili , ma può essere applicata a qualunque intervento od opera realizzati in area vincolata (dal taglio del bosco al movimento di terra, dalla realizzazione della strada ad un'estensione di cava, dai cambi di destinazione d'uso, alle antenne, ai tralicci, le palinature le recinsioni etc.). Nell'ambito dell'applicazione si deve rilevare che la concessione della sanatoria paesaggistica è rimessa ad un non definito parere di compatibilità rilasciato dall'autorità competente. Come noto, nella stragrande maggioranza di casi, tale parere è rilasciato dai Comuni territorialmente competenti, che sovrintendono ai vincoli paesaggistici grazie alle subdeleghe rilasciate dalla Regioni. Sarà dunque quasi sempre un funzionario comunale a stabilire, più o meno discrezionalmente, quando una determinata opera è compatibile o meno. Poiché però il parere di compatibilità porta oltre che alla sanatoria dell'opera anche alla depenalizzazione del reato commesso, nei fatti sarà un funzionario comunale a stabilire la possibilità dell'azione penale di andare avanti o meno. Il problema è serio e grave poiché porrà certamente i cittadini di fronte ad un'applicazione normativa che non sarà omogenea e che li pone, potenzialmente, di fronte ad un trattamento diverso e differenziato di un'azione penale che dovrebbe invece essere tanto uguale quanto obbligatoria per tutti . Che la sanatoria sia prevista per ipotesi "minori" di abusi (sembra essere esclusa per lavori che comportino aumento di volumetrie), non rende meno grave la norma, perché: Si vanifica, praticamente , l'efficacia del vincolo paesaggistico, introducendo la possibilità di condonare in modo generalizzato e permanente opere realizzate senza le autorizzazioni paesaggistiche e ambientali. Questa forma di "autorizzazione postuma" non solo non è mai stata prevista prima da alcuna legge, ma è addirittura vietata dal Codice dei beni culturali e paesaggistici (Dlgs 42/2004) entrato in vigore nel maggio 2004, ed è ancora più grave del "condono edilizio" perché riguarda opere abusive realizzate sulle aree più importanti e di valore, dal punto di vista paesaggistico e ambientale del nostro Paese. La nuova "sanatoria", non stabilisce procedure certe circa l'autorità amministrativa che sarebbe preposta ad eseguire l'accertamento di "compatibilità paesaggistica" (Regione? Comune? Soprintendenze ai beni ambientali?) creando così situazioni di incertezza sia per i cittadini sia per le autorità amministrative e giudiziarie. Così come non viene definito alcun criterio oggettivo in base al quale eseguire l'accertamento ed assentire quindi la sanatoria, rimettendo quindi del tutto ad una valutazione discrezionale da parte di una non identificata "autorità competente". Il comma 37 ( e successivi 38 e 39 ) prevede che "Per i lavori compiuti su beni paesaggistici entro e non oltre il 30 settembre 2004 senza la prescritta autorizzazione o in difformità da essa, l'accertamento di compatibilità paesaggistica dei lavori effettivamente eseguiti, anche rispetto all'autorizzazione eventualmente rilasciata, comporta l'estinzione del reato di cui all'articolo 181 del decreto legislativo n. 42 del 2004, e di ogni altro reato in materia paesaggistica (...) ". Si tratta quindi di un vero e proprio condono per i reati in materia paesaggistica che si aggiunge alla legge sull'ultimo condono edilizio (art. 32 D.L. n. 269 del 30.9.2003, convertito con l. n. 24 novembre 2003 n. 326 e successive modifiche ), per la quale era possibile sottoporre a condono unicamente le opere eseguite prima della data di imposizione del vincolo. E' appena il caso di ricordare la ormai copiosa e pacifica giurisprudenza della Corte Costituzionale che ha definito il paesaggio come 'valore primario dell'ordinamento" e sottolineato come la tutela di tale valore sia collocata tra 'i principi fondamentali dell'ordinamento' stesso , e che il perseguimento di tale tutela presuppone necessariamente la comparazione ed il bilanciamento di interessi diversi , in particolare degli interessi pubblici. Riteniamo, quindi, che le norme in questione siano in palese contrasto con gli articoli 9 e 32 della Costituzione sulla tutela del paesaggio, del patrimonio storico- artistico e dell'ambiente. Per i motivi sopra descritti le scriventi Associazioni, che rappresentano i diritti fondamentali della tutela dell'ambiente e della salute, quali portatrici di interessi collettivi e diffusi, chiedono alla S.V. di non promulgare la legge "Delega al Governo per il riordino, il coordinamento e l'integrazione della legislazione in materia ambientale" e rinviarne l'esame alle Camere, ai sensi dell'art. 74 della Costituzione . Con i migliori saluti Acli-Anni Verdi Amici della Terra Associazione Bianchi Bandinelli Comitato per la Bellezza FAI Fare Verde Greenpeace Inu Italia Nostra Lav Legambiente Lipu Pro Natura (Federazione) VAS WWF Italia