Caro Tiro Fisso Prendo atto delle Sue precisazioni. In effetti la comunicazione subliminale ed indiretta e l’italiano con troppi incisi e subordinate stento a comprenderli. Talora, come dilettante leggo soltanto qualche libretto di comunicazione e semeiotica quando sono tranquillamente a pescare alla Punta dell’Ogliera. Come Lei rileva, vivo momenti non troppo sereni. Sono un po’ preoccupato assieme a qualche decina di milioni di altre persone e la mia allergia: alle bugie, alle superficialità ed alle arroganze, mi gioca brutti scherzi. E’ un continuo prurito. Se poi il tutto si associa ad una palese mancanza di risultati condivisibili, la situazione diviene veramente difficile. Debbo deluderLa, ma di cinghiali che aiutano a fare respirare il terreno non ne so nulla. Sono solo un geologo, anche se più o meno da una ventina di anni sono iscritto ad un’ associazione ambientalista che a suo tempo, tenuto conto suppongo del mio curriculum e magari del fatto che ero membro della Commissione per la Conservazione della Natura del Consiglio Nazionale delle Ricerche, mi chiese, cosa che accettai con piacere, di entrare a fare parte del proprio Comitato Scientifico. Oggi non le nego che sono piuttosto critico con le politiche e gli interventi della mia associazione, ma passerà. Basta aspettare. Come certamente a Sua conoscenza ho avuto modo in tempi recenti di intervenire pubblicamente sui cinghiali, Piano del Parco ed altre questioni che riguardano la gestione commissariale dell’area protetta. Solo gli stolti o le persone in malafede possono imputare al Parco, al Presidente od al Commissario il problema. Ma mi sembra che NESSUNO, e neanche il Presidente della Comunità del Parco abbia voluto “…far credere che i cinghiali e i problemi prima non c’erano e che la colpa se ci sono è tutta del Commissario…”. Al contrario, e qui sono d’accordo con Lei “… prima si voleva fare credere che la colpa se c’erano i cinghiali fosse Sua (mia) e del Parco da Lei (me) presieduto..” Non condivido il fatto che il Commissario ed “…il suo Consulente Gelsi“, abbiano seguito “…passo passo le Sue (mie) orme, tanto che il WWF (ma direi anche Legambiente per non fare torto a nessuno) ha vinto un ricorso al TAR …”. Le mie orme non sono state seguite e comunque meglio sarebbe dire, le orme del Consiglio Direttivo, visto che un Presidente, come Lei certamente saprà, non ha i poteri legittimi di un Commissario, figuriamoci quelli illegittimi. Per inciso. Non mi piace né culturalmente, ne amministrativamente la storia dei consulenti, dello staff commissariale e dei distinguo fra consulenti del Parco e consulenti del Commissario. Nella sostanza, come noto, l’elegante lessico inglese ”staff“, è parente grafico stretto della nostra ”staffa“ (staffa della sella, staffa della mensola ,…) e anche il significato è simile: sostegno e appoggio. Nei Parchi commissariati, anche in quelli con qualche dubbio di legittimità, il Commissario è il Parco, con tutte le conseguenze del caso. Chiuso l’inciso. Non so se il Commissario, oltre al Sig. Gelsi, abbia scelto anche i cacciatori , come Lei dice, per risolvere il problema cinghiali, quello che però dovrebbe sapere di questa annosa vicenda, è che il Consiglio Direttivo o il sottoscritto non hanno mai scelto i cacciatori per risolvere il problema. Ricorderà oltre alle braccate - attivate quando il Parco non aveva neanche gli occhi per piangere e rigorosamente pianificate; in condizioni di tragica emergenza sociale ed ambientale, ma pur sempre con i documenti dell’INFS e del Ministero che non impedivano di farle-: i chiusini, gli abbattimenti all’aspetto della Polizia Provinciale, i rapidi indennizzi, le reti, gli studi e convegni, fino alle prime sperimentazioni della girata. Chissà forse continuando quel percorso nella chiarezza e senza derogare dai dettati legislativi, oggi la situazione sarebbe un po’ diversa. Certo non c’è da stare tranquilli leggendo, ieri, della richiesta di allevare a Pianosa della selvaggina per ripopolamenti venatori ed oggi l’indecente proposta di alcune associazioni di allestire entro l’area protetta un “quagliodromo con sparo”. Il tutto associato alla proposta di ridurre a meno del 10% del Parco la zona A e alle iniziative tese a permettere la caccia nelle altre zone del Parco. E’ chiaro che il Parco non potrà mai concedere il suo nulla osta ad un quagliodromo, a meno di non volersi trovare, non solo davanti al TAR, ma anche indagato dalla Procura della Repubblica, e che il Piano del Parco, stante la situazione, diverrà norma vincolante fra anni. Allora domandiamoci in quale contesto politico e culturale sono maturate le sopra dette iniziative e perchè nascono queste aspettative, che anche i ciechi ne vedono la irrealizzabilità. Penso che abbia colto il fatto per cui per due anni “…ad ogni stormir di fronda barbettiano” non ho esposto “..il petto a colpi e sciabolate“. Eppure i motivi c’erano, ma speravo che le cose piano piano migliorassero, passato il primo momento di comprensibile anche se non condivisibile bisogno di visibilità e di sancire un ruolo. Negli stessi recenti interventi, non manco mi pare di esporre secondo il mio punto di vista non solo i problemi, ma anche le soluzioni possibili. La ringrazio per il fatto che non considera la mia presidenza negativa, non ne avevo mai dubitato. Credo di non avere mai confuso le Istituzioni, e tanto meno il Parco, con le persone che pro-tempore hanno la responsabilità di guidarlo. Mi sembra di ricordare di avere espresso più o meno questo concetto nell’Aprile del 2002 quando un settimanale locale evidenziò come su cento persone intervistate, 81 erano favorevoli all’area protetta; mi sembra attorno a 25 erano insoddisfatte della sua gestione e più o meno la stessa bassa cifra caratterizzava coloro che conoscevano il nome del Presidente. Intervenni pubblicamente sullo stesso settimanale evidenziando come il fatto fosse positivo, poichè non si identificava l’Istituzione con il Presidente Più o meno lo stesso concetto ebbi modo di ripeterlo quando salutai dipendenti e collaboratori dell’area protetta. Per quanto riguarda le “masse rimpiangenti“ che attendono il mio ritorno. Non c’è motivo di preoccuparsi. Ritengo di avere già fatto il mio dovere tentando di servire, nel bene e nel male, gli ideali in cui credo ed una terra che amo. Le “masse” mi hanno già sufficientemente gratificato il 19 Aprile 2002, ultimo giorno della mia presidenza quando la gente dell’ antincendio mi (ci) attribuì un lungo applauso e con me a tutto il Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano. Una “standing ovation“ venne definita nel giornale che ci ospita. Mi preoccupano un po’ i “poveri Cangaçeiros“ che con “spensierata soddisfazione“ dichiarano di contare come il “due di briscola“. Siamo tutti Cangaçeiros e due di briscola, specialmente di questi tempi, ma sappiamo bene che giocando bene e con un po’ di fortuna - che non guasta mai- talora anche i due di briscola possono vincere una partita. Non parliamo poi quando tanti due di briscola, dimenticano le piccole cose che dividono e si ritrovano, come avverrà, nei grandi valori che uniscono. Nella mia relazione al Conto Consuntivo 2001 scrissi una frase di A.Langer “ Continuate ciò che è giusto”. Con quella frase ho terminato il mio impegno di Presidente. Resta quello di cittadino e ..ahime, di una persona che viene pagata dalla collettività per tentare di produrre e tentare di diffondere dati scientifici e che continuerà, con serenità e nel dialogo , ma con determinazione ad esprimere i propri punti di vista.. Caro Tiro Fisso, dispongo di una scorta limitata di cartucce. Devo risparmiare i colpi per ogni evenienza, per cui non potrò ulteriormente rispondere alle sue schioppettate. Le auguro un Buon Natale, e speriamo per tutti noi che il 2005 (anno IV E.B e III e.b.) sia un anno felice. Giuseppe Tanelli Ma chi è Tiro Fisso? Intanto possiamo dire che non è una persona, Tiro Fisso sono più d’uno, tipo i Wu Ming , cinque scrittori anonimi che hanno scritto da Q (firmato Luther Blissett) al recente 54, passando per Asce di Guerra e Havana Glam del solo Wu Ming 5. Ma il nome Tiro Fisso viene da un celebre racconto a fumetti di Hugo Pratt: “Samba con Tiro Fisso” nel quale Corto Maltese incontra un Cangaçeiro, Tiro Fisso appunto, che si trova suo malgrado e senza crederci molto a prendere il posto del suo Capo, il Redentore, ucciso da un Colonnello schiavista e sfruttatore. Tiro Fisso si allea con Corto Maltese e capeggia una rivoluzione contro l’oppressore, la vince e muore, restando capo solo per un giorno e per una battaglia. “un eroe oscuro – dice Corto Maltese – con degli amici oscuri”. Lo stesso Corto consegna a Corisco, un giovane componente della banda, il cappello di Tiro Fisso in segno di continuità. Il giovane fuorilegge dice: “per ogni colonnello ci saranno cento Tiro Fisso, gringo… abbiamo imparato la lezione ed è una lezione che non dimenticheremo” La maga Bocca Dorata legge il futuro di Corisco nel fuoco in cui brucia il cadavere di Tiro Fisso e dice: "Quel ragazzo diventerà famoso. Il fuoco sta raccontando la sua storia". Difatti Corisco de Sao Jorge diventerà Capitão Corisco uno dei più noti e temuti cangaçeiros di tutti i tempi. Insomma Tiro Fisso, nelle sue scorribande virtuali, si ispira ai cangaçeiros del mitico Sertão del Brasile, zona depressa per eccellenza dove la terra e' arida e la vita e' un inferno. Da questa terra partivano i cangaçeiros per rapinare, saccheggiare e depredare lo aree più ricche del paese. Ma chi erano realmente? Contadini che cercavano di sfuggire alla regola della povertà, che si ribellavano al destino che gli imponeva la sofferenza e la fame come uniche compagne di vita. Questi poveracci finirono per diventare i nemici del potere e i difensori dei poveri e degli oppressi, ma anche spietati banditi privi di scrupoli e, in alcuni casi, mostri sanguinari. Il cangaçeiro é un po' santo, un po' diavolo. Assetato di giustizia, ma pronto allo scontro più spietato. Secondo Lisa Baruffi, che ha curato l'introduzione a "L'Uomo del Sertão" di Hugo Pratt, questa genia di ribelli non é contro la proprietà privata, ma contro l'utilizzo sbagliato che i potenti ne fanno. Vestono in modo a dir poco pittoresco. Indossano gilet carichi di ninnoli d'argento, utilizzano un buffo copricapo simile ad un sombrero, le cui falde sono unite al vertice, una specie di feluca dei poveri, anch'esso decorato con stelle d'argento, monete e simboli luccicanti. Sono, inutile dirlo, carichi di armi tra cui spicca la luccicante spada corta, o lungo pugnale, che li identifica. Il nome svela quindi che dietro Tiro Fisso si cela una piccola banda di moderni fuorilegge mediatici che, abbandonati fucile, pugnale e Sertão, usano i meno pericolosi computer ed internet per sferrare i loro attacchi, quasi sempre di carattere ambientale, per mettere in evidenza le pecche del potente o aspirante potente di turno. Come nella storia di Corto Maltese, Tiro Fisso si sacrifica per una battaglia, magari soccombe colpito dal fuoco nemico, sembra spacciato, scompare, non lo sentiamo più, ma poi arriva qualcuno della banda a prenderne il posto.
Pino Nave Mare
tiro fisso fumetto