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Giglio: Il sogno di un isolano (parte seconda)

Scritto da : Elena Maestrini
Pubblicato in data : mercoledì, 29 settembre 2004

Seconda puntata dello scritto di Armando Schiaffino, ex Sindaco dell'isola del Giglio e medico apprezzatissimo della comunità isolana, a proporcelo il nostro corrispondente Alvaro Andolfi. (Per chi ha perduto la prima parte può rintracciarla negli arretrati, cliccando sul n. 608 di Elbareport). Nel PIP erano stati così trasferiti tutti i piccoli magazzini edili sparsi sul territorio dell’isola, la centrale elettrica, i forni per la produzione del pane (al loro posto, nei centri urbani, era rimasta tutta superficie di vendita), le poche officine meccaniche; ed erano anzi stati costruiti grossi hangar per il rimessaggio barche e perfino una lavanderia industriale; così tutti gli albergatori e i ristoratori gigliesi non dovevano più mandare a lavare la loro biancheria a Tarquinia. Tutte queste attività erano naturalmente gestite da giovani gigliesi che, avendo contratto mutui, per risparmiare non andavano più in vacanza in Thailandia durante l’inverno. Alcuni avevano addirittura ipotizzato di organizzare un laboratorio farmaceutico per la produzione di una linea di prodotti a base di elicrisina, il cui principio attivo, una specie di cortisone naturale, era estratto da una pianta selvatica, l’elicriso, chiamata dai gigliesi “lugerbola gialla”; pensavano anche di ricominciare a produrre, su licenza dei titolari, la Cistosina, tintura fatta con cisto della macchia gigliese, vera panacea per tutte le infiammazioni e, fino al 1975, regolarmente registrata al Ministero della Sanità. Un’altra cooperativa di giovani aveva inoltre avuto in concessione dal Comune le ricche sorgenti della Buzzena e di S. Francesco, la cui acqua va attualmente dispersa, e quella dell’acqua dei Mori e dell’acqua Selvaggia, di qualità paragonabile a molte acque minerali oggi in commercio. Quest’ultima aveva dato il nome all’intera produzione, così in tutti i ristoranti gigliesi si serviva soltanto “l’Acqua Selvaggia”, al pari di come si fa all’Isola d’Elba con “L’Acqua Napoleone”. L’impianto di imbottigliamento era stato costruito, grazie ad una variante ad hoc del piano regolatore, nei pressi delle sorgenti, ma dal punto di vista paesaggistico non deturpava. Infatti la Guardia Forestale si era preoccupata di istruire la pratica per nascondere l’edificio con degli alberi, forniti gratis dal Corpo Forestale stesso. Anzi, da quando le guardie forestali, invece di venire sull’isola solo a fare verbali di contravvenzione, si erano preoccupate di assumere due analoghe iniziative per nascondere con alberi due altre “brutture” paesaggistiche (l’impianto di depurazione del Bastone di Giglio Castello e l’impianto di dissalazione idrica della Cala dello Smeraldo) erano perfino diventate amiche di alcuni gigliesi. L’Acqua Selvaggia veniva rigorosamente venduta in bottiglie di vetro riciclabili e questo aveva finalmente impedito di gettare nella discarica comunale circa 500 mila bottiglie di plastica ogni anno. Nei ristoranti dell’isola si era ritornati a servire da tempo l’antico vino scelto gigliese,conteso dalle migliori enoteche del mondo al prezzo di 120 mila lire la bottiglia. Sempre nei ristoranti, ma soltanto nel mese di luglio, si poteva inoltre avere come frutta delle “cosce di monaca”, susine dall’insuperabile sapore carnoso, che facevano tornare alla mente il vero sapore della frutta; per la produzione delle cosce di monaca era stata di nuovo utilizzata, con contratti di comodato da parte dei numerosi proprietari, l’intera vallata del Santo, una volta considerata il frutteto dell’isola. Per i nuovi impianti di vite per il vino scelto e per l’impianto dei frutteti di cosce di monaca molti avevano avuto grossi contributi dall’Ente Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano. - continua -


Giglio castelluccio bis

Giglio castelluccio bis