Ciao Gabriele che ho visto poche volte in vita mia, ma che ho sentito al di là del telefono, e al di là del mare e mille e mille e ancora mille altre volte in questi ultimi trent'anni, ciao Gabriele della tua e della mia Unità faticosa, qualche volta "eroica", come quella venduta la domenica porta a porta, quella vecchia e tosta e quella nuova e rivoluzionaria, quella dura da scrivere, perchè se non eri bravo neanche una "pisciatina" di poche righe ti pubblicavano. Ciao Gabriele, grande giornalista col cuore grande come la Toscana Rossa tutta, isole comprese, "coperte" dalle "tue" pagine di Unità e da quelle di Mattina. Ciao Gabriele ruvido che mi rispondevi più frequentemente "che cazzo vuoi?" che "pronto", e che a scadenza trimestrale mi facevi incazzare come una iena e ti spedivo un "Gabrie' ora m'hai rotto le palle!" oltremarino con sbatacchiamento di cornetta e poi tu mi richiamavi dopo dieci minuti ridacchiando: "Sergino..". Ciao Gabriele malato da sempre e saldo come una roccia che capivi al volo da lontano l'isola molto meglio di molti che ci stavano. Ti ricordo Gabriele, giornalista comunista, che diventavi una belva per difendere la "squadra", chi lavorava con te, e l'autonomia di giudizio del meno importante dei collaboratori, dalle scorribande dei "federasti" che pretendevano di fare dell'Unità un bollettino di partito, " ... perchè - mi dicesti una volta - avere la tessera dell'ordine in tasca non vuol dire che sei un giornalista, ed avere quella del Partito non è che ti salva automaticamente da essere uno stronzo". Conoscerti è stata una rara fortuna, così come lavorare e litigare con te, o sentire il tuo apprezzamento espresso senza smancerie con tre parole, o anche col tacere. Mi hai fatto capire molte cose, spero di riuscire a trasmetterne qualcuna a chi continuerà a fare il mestiere di giornalista.