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Lista Civica: un tutore della democrazia

Scritto da : Elena Maestrini
Pubblicato in data : domenica, 18 aprile 2004

Le cose che dice Coluccia sulle liste civiche e sulle “liste del sindaco” contengono alcune osservazioni acute, ma non esauriscono gli aspetti della questione, e arrivano a conclusioni o troppo teoriche o troppo pratiche. Sul piano pratico potrebbero sembrare un siluro con destinazione Portoferraio e la Sinistra dissidente dai DS della locale sezione (ma non vogliamo neppure pensarlo). Su quello teorico non convince l’idea che “la lista civica, vuoi per la costituzione solo elettoralistica, vuoi per una parzialità eccessiva e minimale degli interessi ed obbiettivi che vuol rappresentare, deve rinunciare necessariamente e volutamente ad una impostazione e connotazione politica”: o dove sta scritto che dev’essere così? Forse invece, nella situazione attuale, per fare politica –e anche noi per politica intendiamo “un progetto chiaro e ben definito di governo che non è il solo programma elettorale delle cose che si vuol fare, ma una visione storicizzata di quello che vogliamo fare e realizzare; consolidata e rappresentativa di interessi fondamentali dell’insieme della comunità e duraturi nel tempo”–, per non rinunciare alla politica, non c’è altra possibilità che farsi una lista civica o del sindaco, o come si vuole; e conseguentemente farsi un c. così per portarla alla vittoria. Perché, vede Coluccia, non siamo in una situazione ‘normale’, dove le parole significano una cosa sola, dove se è vero che o si sta dentro o si sta fuori è anche vero che chi sbaglia paga e se ne va; dove aderire alla “linea” di un partito non corrisponde ad aderire a una politica “intesa come capacità di progetto consapevole, responsabile e partecipato, di lunga durata”, ma a indicazioni incomprensibili e percepite come estranee, da subire piegandosi all’autoritarismo e non all’autorevolezza di chi le fa arrivare. Certo che le liste civiche non sono la trovata migliore del mondo, non sono il futuro, non sono il progresso: ci mancherebbe altro che dover rinunciare a chiamare speranze, disegni, progetti, con il loro nome, specialmente –come nel caso cui ci si riferisce– se quel nome è tanto buono e giusto quanto sbagliato e ingiusto ne è stato l’esempio storico realizzato. Ma non butteremo via il cristianesimo perché Franco e Pinochet erano cattolici, o l’Islam perché Bin Laden è musulmano, o l’ebraismo perché Sharon professa quella religione. Ma quando uno si rompe una gamba bisogna mettergli un “tutore” (ora il gesso si chiama così), che non è il massimo della vita, ma finché serve serve. Ecco, in questo momento, per la “gamba rotta” della democrazia, il tutore può essere la lista civica. Forse non è il massimo: ma potrebbe esser peggio, se la democrazia invece della gamba si rompe i coglioni e si leva di torno.


stemma mediceo + piccolo

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