Mattinata di fine Dicembre al Palazzo della Biscotteria Piano Secondo, ultima stanza a sinistra guardando Piazza Gori, quella per intenderci meglio che si trova in angolo perpendicolarmente sotto “The Foolish Clock” (citazione che i rockettari gradiranno particolarmente) l’orologio pubblico pazzo che ogni tanto va “a sciambere” anche lui e si mette a segnare ora l’ora di Buenos Aires ora quella di Pechino ora quella di Mosca. La nostra lunga frequentazione (in diverse vesti) di questo edificio, ci dice che siamo nell’ufficio del Sindaco, anche se l’ultimo inquilino delle gloriose mura che racchiusero il meglio del pensare di Cosimopoli ha apportato un decisivo mutamento, dando veramente un segno di novità e cambiamento, di rottura con il passato. Egli infatti da quel profondo riformatore che è, da quell’originalone anticonformista che è ha ardito nientemeno che di far spostare la sua scrivania di 90 gradi, talché la luce della finestra ora giunge dalle sue spalle e noi lo vediamo circonfuso di un’aura novella. Siamo tra la pattuglia degli scribi che affolla la stanza resa in fondo angusta, in piedi, per giusta punizione di essere colà giunti in forte ritardo, e ci rimarremo per tutta la conferenza stampa poiché al coadiuvante notiziatore del Primo Cittadino, troppo preso nel bere le di lui parole, col viso trascolorato dall’illuminarsi di tanta grandezza, non passa neanche per l’anticamera del cervello (?) di alzare alto il ditino per comandare al valletto di turno, ovverosia impegnarsi direttamente egli stesso, dando prova di immensa democrazia, affinchè sia aggiunta una sedia, uno sgabello o altro sedile di qualsiasi foggia (o Bari avrebbe detto Totò). Soprassediamo metaforicamente (restando in piedi) ed ascoltiamo finchè dalle alte antenne il discorso cade giù in basso, fino giusto all’opera del famiglio incaricato, in guisa di pubblico cantore, di magnificare le gesta ageniali, fuochiste nurriche e frattali, dietro elargizione generosa di valsente (nostro), e di poetar di chiari cavalieri tra giardini andanti con accenti bentinti o maltinti o ancora gaudenzi o sbertuccianti a suo piacimento, perch’egli della fiducia del padrone gode, ed in virtù di ciò può imperare. Insomma qualcuno dei presenti, peraltro educatamente, rimprovera al Sindaco, e di riflesso al suo primo trombettiere, una produzione di comunicati stampa dal tono dichiaratamente troppo autoincensatorio infino all’agiografico (o musico di corte, non prenda il dizionario, qualcuno pesa più di una sedia anche se ella certo lo ignora) L’argomento punge però la Grande Guida Comunale nostra che sbotta: “Ma cosa vuoi autoincensare quando qui non c’è proprio niente di niente da incensare?” In teatro si chiama "porgere la battuta", non possiamo esimerci dal chiosare in ultimo: “Bravo Sindaco, al Ponticello questo lo chiamerebbero un autogol!”