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A Sciambere: Turiero

Scritto da : Sergio Rossi
Pubblicato in data : sabato, 24 gennaio 2004

Non sempre noi selvaggi elbanesi siamo stati tolleranti, come oggidì, verso i diversamente orientati sotto un profilo sessuale, i gay erano un tempo oggetto di scherno e derisione. Non facevano eccezione i goliardi elbani degli anni 60 che in una delle loro memorabili feste cantarono una canzoncina sull'aria della notissima "Luna tu non sai dirmi perchè". La strofe era indirizzata ad uno di loro che era paragonato scherzosamente ad un famoso personaggio, un sarto francese che usava riposare le stanche membra all'Elba e che ostentava una certa propensione per il sesso (si fa per dire) forte. Il tizio dileggiato veniva appunto accusato di somigliare a: ".. un famoso turier che s'incipria il derriere e il suo nome è Monsieur Balmain!" Si noti la chicca linguistica di quel "turiero" (Torero o Toreador) che poteva tradursi con "uomo di scarsissima virilità". Perchè? Perchè agli occhi del selvaggio elbanese la iconografia classica rappresentava un "espada" o matador nei rituali stretti abbigliamenti che fuorviavano l'immaginario collettivo tribale, talché il maschio esercizio della tauromachia, il periglioso affrontare il mostro senza altro usbergo che una muleta, era pressoché obnunilato dalla subitanea impressione dettata dall'attillato succinto vestire che richiamava nei semplici sardanapalesche costumanze (nota di servizio: tradurre per il futuro assessore Frangioni). Altro appunto che veniva fatto all'oggetto dello sberleffo era appunto l'uso di cospargersi le basse terga di cipria o talco, pratica assai comune per i delicati glutei dei neonati ma che era considerata disdicevole nel maschio adulto, come fa riferimento un altro appellativo sovente lanciato, che poteva avere la stessa valenza di "turiero" e che suonava: "culo incipriato". Berlusconi s'incipria la faccia (non fa molta differenza) e ha combattuto molti anni per donarci quel sorriso beota si è immaskarato anche quando non era carnevale ha fatto mettere le calze davanti alle telecamere per spianare le rughe, si è fatto mesi di massaggi per tonificare le pellanciche (borse d'epidermide), ha dedicato alla sua augusta dentatura più tempo che alla questione meridionale. E' stato eroico ma poi ha dovuto cedere, ma a testa alta e con sprezzo del dolore ha affrontato il bisturi del lifting. Ha speso probabilmente una cifra con cui si potevano salvare dalla morte per fame cinquemila bambini africani, con cui si potevano pagare cinquecento gambe nuove (anche se finte) di altri bambini gioiosamente saltati su mine padane. Ha sofferto, ma alla fine ha trionfato, ed è tornato tra noi giovanilissimo, più bello e splendente che pria con la sola prescrizione di portare addosso un cartello multilingue: "Attenzione, tenersi almeno a m. 1.20 di distanza, un improvviso cedimento delle grappe potrebbe uccidervi in coseguenza della "frustata d'orecchio". Se questa icona del nostro spiritualmente povero tempo, in un magico ritorno al passato fosse proiettato in quei nostri elbanesi anni 60 e iniziasse a concionare rammentando tutti i sacrifici estetici, lo straziante dolore dell'impianto del raro capello, la pena della dieta tibetana, il sacrifizio patito nel farsi cospargere il corpo d'unguenti, le mille maschere al cetriolo applicate, la pesantezza del resistere inceronato sotto i padelloni che sparano caldo e luce, l'ansia della colatura del trucco, e infine i mille patimenti del farsi per noi scarnificare il volto, qualcuno sicuramente gli direbbe: "Oh vientene, turiero!" e a nessuno gli passerebbe, ci perdonino i gay, per l'anticamera del cervello di dargli un voto.