A fine maggio probabilmente terrà il Congresso nazionale di Federparchi che non potrà non affrontare la questione più di fondo che riguarda il futuro dei parchi su cui non si registrano al momento apprezzabili e serie proposte politiche e programmatiche. Il Congresso dovrà ovviamente fare un bilancio del lavoro svolto dalla associazione e decidere –come gli compete- sul da farsi in una fase così carica di rischi. E non potrà farlo certo ignorando il dibattito che specialmente nell’ultimo anno si è sviluppato tra diversi soggetti e che ha riguardato anche il Gruppo di San Rossore per il Rilancio dei parchi che ha predisposto documenti, promosso iniziative che si possono trovare sul sito www.grupposanrossore.it. Qui vorremmo ripercorrere rapidamente alcune fasi che hanno riguardato non solo gli impegni di Federparchi. A fine Gennaio del 2009 il Congresso di Federparchi approvò 9 risoluzioni sulle future iniziative della Federazione. Al primo posto figurava la riforma dell’intero comparto delle Aree Marine Protette, il potenziamento del ruolo dei parchi regionali,il rilancio di APE e delle Alpi e delle azioni di sistema, una maggiore funzione dei parchi metropolitani e periurbani, l’ampliamento della rete dei parchi geologici, un ruolo più attivo e organico delle componenti tecniche e professionali degli Enti associati, l’applicazione dei contratti di fiume nella gestione dei parchi fluviali e, infine, per il contrasto ad alcuni aspetti gravi e involuti della annunciata riforma della legge regionale lombarda in materia di aree protette. Sono da allora passati tre anni tanto che si avvicina il nuovo congresso nazionale della associazione e se uno si chiede che seguito è stato dato a quelle risoluzioni e conseguenti impegni istituzionali, politici e culturali non fatica a rispondere che non ne trova traccia. Neppure il ventennale ha fatto alcun riferimento serio a quegli impegni e proposte. Vale la pena quindi ricordarle a partire proprio dalle aree protette marine oggetto della legge in discussione al Senato. La risoluzione approvata dal Congresso denunciava la eterogeneità della gestione, la frammentazione, la mancata integrazione con i parchi terrestri, l’assenza di strategia Stato-regioni. La carenza di finanziamenti, di personale, irrisolta questione dei direttori, il loro non coinvolgimento nei piani a mare e delle coste e quindi nella programmazione nazionale e regionale. Nessuna di queste questioni dipendeva dalla legge 394 o dalla legge 426 ma solo da decisioni politiche e istituzionali che da allora continuano a latitare. L’avere deciso che per fare qualcosa bisognava prima modificare la legge che peraltro pregiudica proprio alcune delle esigenze poste dalla risoluzione è stata quindi una scelta assolutamente sbagliata che sta incoraggiando operazioni del tipo che abbiamo detto. Le stesse esigenze di programmazione su ampia scala nazionale e interregionale erano poste nelle risoluzioni riguardanti le Alpi, APE, i fiumi e i parchi regionali per i quali si chiedeva un maggiore coinvolgimento in quei piani riproposti a partire proprio dal mare e le coste oltre ai fiumi etc. Come si può facilmente capire qui era delineato un percorso politico, istituzionale e culturale per l’associazione non a caso proposto dai parchi marini, alpini, appenninici, fluviali, metropolitani che avevano firmato le varie risoluzioni. Nessuna di queste questioni è stata oggetto di particolari iniziative e proposte e non ve n’è traccia neppure negli emendamenti presentati al Senato. Ma se non si riparte da qui i parchi resteranno senza voce e quindi soggetti passivi dinanzi a tutto quel che sta bollendo in pentola e che non riserva nulla di buono per tutte le aree protette. Un’ultima considerazione riguarda –diciamo così- il clima che si registra oggi tra gli amministratori e i tecnici ( dove ci sono) dei parchi nazionali ed anche regionali. In altre stagioni come si può vedere dallo speciale di Parchi dedicato al ventennale, ma anche in libri come Uomini e Lupi di Giulio Ielardi dove sono raccolte testimonianze sulle diverse provenienze non solo politiche ma anche culturali e associative e ovviamente territoriali di chi approdò ad un impegno comune e ‘nazionale’ nei e per i parchi. Il Centro Studi Valerio Giacomini di Gargnano fu un momento estremamente importante anche sul piano internazionale di questo impegno di cui restano tracce di notevole valore culturale che confermano il ruolo appunto nazionale di Federparchi che seppe coinvolgere e attivare istituzioni, parchi, mondo della ricerca e operatori in un confronto che rinsaldò e qualificò il suo ruolo non meramente ‘sindacale’. Oggi il clima è purtroppo profondamente cambiato e si fatica a cogliere momenti in cui questo amalgama, questa sintonia tra amministratori, istituzioni, ricercatori superi le dimensioni locali senza arrivare a pesare e incidere in quelle scelte che spesso maturano addirittura nella clandestinità. Ecco perché c’è attesa per l’esito del Congresso. Nel periodo trascorso tra il precedente congresso e quello ormai prossimo l’associazione non ha dato il meglio di se sul piano di una chiara e determinata capacità di proposta e di iniziativa che abbiamo registrato invece in altre associazioni rappresentative anch’esse chiamate a rispondere ad una crisi istituzionale molto seria. Sono stato impegnato insieme a molti altri amici del Gruppo di San Rossore in Federparchi per tanti anni e trovo francamente sconcertante la diffidenza – e talvolta anche peggio- dell’associazione nei confronti di chi sta lavorando e non clandestinamente per il futuro dei parchi. Mi chiedo come tutto ciò possa creare disagio in una associazione che mai come in questo momento ha bisogno di poter contare su idee e una presenza autorevole.
parco uccellina