Il decennio che va dal 1865 al 1875 deve essere considerato un periodo d’oro per l’archeologia elbana. Grazie a Raffaello Foresi e a Vincenzo Mellini, due grandi studiosi locali di cui l’Elba non può che andare fiera, l’isola calamitò l’attenzione dei migliori specialisti del tempo. Il primo, appassionato archeologo e perfetto umanista, è il vero iniziatore degli studi di paletnologia elbana. I 1256 ‘oggetti antestorici’ da lui raccolti, di straordinario interesse scientifico, furono inviati e ammirati perfino alla Mostra Universale di Parigi. Il secondo, genio multiforme e direttore generale delle miniere di ferro, si occupò con altrettanta competenza soprattutto di antichità etrusco-romane e dei ‘fabbrichili’, ossia dei resti di forni per la riduzione del ferro. Per merito loro i manufatti archeologici elbani diventarono oggetto di discussione fra i più insigni studiosi, compreso Luigi Pigorini di cui, a Roma, il Museo Nazionale Preistorico Etnografico porta il nome. Dal continente si imbarcarono per l’isola Gaetano Chierici, celebre studioso emiliano che aveva scavato fra l’altro siti archeologici ancor oggi basilari come Remedello (Brescia) e Bismantova (Reggio Emilia), e Pio Mantovani, professore livornese di scienze naturali, al quale si devono scoperte anche in Sardegna e in Calabria. I due ricercatori riuscirono a instaurare ottime relazioni con la popolazione, tanto che furono più volte avvisati di ritrovamenti archeologici di rilievo. Per inciso in quell’epoca non c’era alcuna norma (la prima legge di tutela del patrimonio storico/artistico/archeologico è del 1909) che prevedesse di informare le autorità nel caso che dal sottosuolo affiorassero ‘cose’ antiche: anche nel caso che fosse venuto in luce un vero e proprio tesoro, lo scopritore avrebbe potuto tenerselo tranquillamente. Spinto per l’appunto dal rapporto di fiducia, nel 1872 il dott. Carlo Bagnoli sottopose all’analisi di Mantovani e Chierici, cui consegnò la relazione del rinvenimento, i corredi funebri di quattro tombe a fossa (“gli scheletri avevano tutti la direzione da levante a ponente, col capo a est e i piedi a ovest, e tutti gli oggetti erano collocati sul lato sinistro dalla testa ai piedi”) scoperte in località Casa del Duca. Tre di esse, profonde un metro circa, erano di epoca ellenistica (III-II secolo a. C.) ed erano connotate da oggetti provenienti dalla circolazione mediterranea di beni di consumo di buona qualità (candelabri di piombo, ramaioli di bronzo, piatti e coppe a vernice nera di produzione etrusco-settentrionale e campana, boccali e bottiglie di manifattura iberica o egea, alcune olle e patere in ceramica grossolana di fabbricazione locale o còrsa, un singolare vaso globulare con gli organi sessuali maschile e femminile replicati diametralmente a rilievo). Solo la coeva necropoli del Profico presso Capoliveri può vantare una gamma tipologica più articolata. La quarta tomba, più superficiale (appena 50 cm dal piano di campagna di allora) ma più antica (circa metà del V secolo prima di Cristo), ci offre informazioni di primo piano su accumuli di ricchezza che – senza dubbio grazie alla produzione e al commercio del ferro – dovettero verificarsi all’Elba in epoca classica. Lo scheletro contenuto nella fossa sepolcrale era più piccolo degli altri, “onde gli scavatori arguirono che appartenesse a una donna”. Aveva ai piedi uno specchio di bronzo e presso la testa una situla bronzea a decorazione cesellata, mentre il rimanente corredo funebre era distribuito lungo il lato sinistro. L’oggetto più appariscente era una collana in lamina d’oro composta da venti globetti (10 lisci e a spicchi, 10 a granulazione finissima e a pulviscolo) e, al centro, da un pendente a forma di fragola. L’abbigliamento era completato da un orecchino e da una fibula d’argento, da frammenti d’ambra, da un braccialetto di perle in pasta vitrea multicolore del tipo ‘a occhi’, da un anello d’oro massiccio con gemma “nella quale è figurato un fauno, che piegato il ginocchio a terra tende l’arco”. Considerata la presenza di un siffatto complesso di oggetti d’oro e d’argento, di pasta vitrea e d’ambra, di bronzo e di steatite, senza dubbio fuori dell’ordinario, mi piace pensare - anche se non potremo mai dimostrarlo - che a Casa del Duca, di fronte a Portoferraio, quasi 2500 anni fa sia stata sepolta una giovane principessa elbana.
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