Qualcuno ha suggerito (non a torto) che le dispute verbali, le accuse e le attribuzioni delle responsabilità, ad ogni livello istituzionale, siano opportunamente rinviate al momento giusto, mentre adesso c’è bisogno di organizzarsi e di agire sul piano operativo per risolvere i notevoli disagi creati dall’emergenza maltempo ancora in corso. Superata la quale, ci si potrà confrontare in modo (se possibile) onesto, serio, civile e costruttivo. Ebbene, visto che la fase critica dell’emergenza sembra avviarsi verso un progressivo miglioramento, mi permetto di anticipare una riflessione senza alcun intento polemico, né provocatorio, anche per “riscaldare” idealmente il clima gelido di queste giornate. Allargando subito l’orizzonte del ragionamento, la notizia quantomeno inquietante e tragica riguarda l’Europa dell’Est, dove fino a questo momento si registrano oltre 600 morti causati dall’ondata di gelo proveniente dalle regioni siberiane. Ma tra le vittime per assideramento, addirittura 40 si contano in Italia. E non mi pare un dato irrilevante. E’ vero che il clima terrestre sta letteralmente impazzendo, nel senso che l’estrema variabilità e l’instabilità meteorologica sono diventati ovunque una caratteristica costante e permanente, ed è altresì vero che i mutamenti atmosferici su scala planetaria sono stati provocati dall’azione umana che ha saccheggiato il territorio in modo irrazionale e scellerato. In particolare, le responsabilità vanno ascritte ad un modello di (sotto)sviluppo capitalistico inquinante e devastante, che si è rivelato fallimentare sotto ogni punto di vista, non solo sotto il profilo strettamente ecologico, ma pure sul versante economico e sociale, per cui fenomeni climatici che un tempo potevano risultare rari o eccezionali, oggi costituiscono la norma. Tuttavia, che una serie di nevicate così intense e prolungate, di portata e durata a dir poco eccezionali (stando alla mia memoria e alla mia esperienza personale, francamente non riesco a ricordarne un’altra di dimensioni simili), possa paralizzare per giorni l’attività di numerosi centri urbani che, almeno in teoria, dovrebbero essere attrezzati per prevenire e fronteggiare simili “emergenze meteorologiche”, per quanto si verifichino ogni mezzo secolo, non credo sia una notizia confortante. Dunque, c’è da preoccuparsi e interrogarsi molto seriamente sul sistema di prevenzione e protezione nazionale, al di là delle sterili polemiche e degli ignobili scaricabarile a cui abbiamo assistito ultimamente. Chi fa politica, non credo costretto da qualcuno, decide volontariamente di cimentarsi nella gestione della pubblica amministrazione, a prescindere da ogni schieramento di parte, perciò si espone inevitabilmente alle critiche quando le cose non procedono bene. Di conseguenza, dovrebbe avere il coraggio e l’onestà intellettuale di assumersi le proprie responsabilità, non respingerle o scaricarle su altri livelli, come ha fatto il sindaco di Roma. Il quale ha preferito presenziare in un “tour” di trasmissioni televisive per scagionarsi e colpevolizzare altre figure istituzionali, non certo esenti da errori o inadempienze, anziché preoccuparsi di coordinare gli interventi necessari e idonei a fronteggiare e contenere l’eccezionale ondata di maltempo che ha investito la capitale. Nella realtà quotidiana dell’Alta Irpinia, il maltempo ha innescato conseguenze estremamente drammatiche e rovinose, che oltretutto sono difficilmente tollerabili e perdonabili proprio perché si tratta di comuni situati in territori d’alta montagna, in cui le temperature glaciali, le bufere di vento gelido, sia pure di origine artica o siberiana, le abbondanti precipitazioni nevose come quelle verificatesi nei giorni scorsi, dovrebbero essere affrontate nell’ottica di un “fenomeno naturale” facilmente prevedibile grazie agli strumenti tecnico-scientifici dell’odierna meteorologia. Nelle nostre zone, anche un’ondata di gelo polare e le nevicate più fitte e copiose dovrebbero essere fenomeni atmosferici riconducibili e sopportabili nell’orbita della “normalità”, e non diventare una tragica calamità, o addirittura una emergenza regionale o nazionale. Inoltre, benché questo elemento non rientri nel discorso sulle responsabilità legate all’emergenza, inviterei a ragionare molto onestamente e seriamente sulle funzioni e sulle competenze spettanti alle cosiddette “comunità montane”. A proposito delle quali è lecito domandarsi (già da tempo) quale siano i vantaggi concreti procurati ai cittadini da questi enti territoriali locali, inutili sin dalla loro istituzione, al di là dell’elargizione di rendite, prebende, appannaggi, franchigie e poltroncine ai soliti “amici degli amici”. Premesso che “a monte” esiste anche una questione di mentalità, ossia un problema di ordine etico, culturale ed educativo, premesso che le responsabilità politiche e morali, oltre che personali, sono ascrivibili a vari livelli e ruoli istituzionali, ma non per questo ciascun soggetto è legittimato a discolparsi, accusando altri e rimbalzando le proprie responsabilità, sorge spontaneo chiedersi, soprattutto in un periodo non più di “vacche grasse” ma di grave austerità economica, perché si continuino a sprecare ingenti fondi pubblici per mantenere enormi carrozzoni politico-clientelari ed assistenziali che sono tanto inutili quanto costosi, invece di stanziarli a favore di una politica di risanamento ambientale, di prevenzione e salvaguardia del territorio, provvedendo affinché i singoli enti locali siano efficacemente attrezzati e coordinati per intervenire nel caso di abbondanti precipitazioni nevose, specie quando sono annunciate in modo tempestivo.
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