Partiamo da Porto Santo Stefano alla volta del Giglio a bordo di un Classe 300 della Guardia Costiera accompagnati dal Comandante. A bordo, oltre a me, agli uomini dell'equipaggio e a Roberta della Nuova Ecologia, il sottosegretario alle Infrastrutture e Trasporti Guido Improta che ci ha invitato a un sopralluogo rispondendo a una nostra richiesta di incontro per discutere dei traffici pericolosi nel Tirreno dopo la Costa Concordia. Quando arriviamo in prossimità del luogo dell'incidente l'impressione e' quella di vivere un sogno, o forse meglio un incubo. La scena ha un che di surreale, un gioco di prospettive improbabili che ricorda un quadro della pittura metafisica di De Chirico. La zona del porto è la base delle operazioni. Non ha più' nulla dell'atmosfera del luogo di vacanza, del piccolo porticciolo dell'isoletta del Tirreno. E' un enorme quartier generale che dirige la più incredibile operazione di salvamento e recupero che sia mai stata messa in piedi. L'impressione però è rassicurante, c'è operosità, ma non c'è disordine, non c'è confusione. Ci raggiunge Angelo Gentili, della segreteria nazionale dell'associazione, che con gli amici di Legambiente Grosseto aveva preso il traghetto delle 10. In una delle tende che fanno da sala operativa, fra le carte che riportano le mappe e le sezioni della nave, incontriamo il sottosegretario. Ascolta le nostre preoccupazioni, gli parliamo di quest'episodio come di una pagina vergognosa per la storia della navigazione italiana, una pagina firmata dal nome di una famiglia, Costa, che pure ha fatto quella storia. Qualche settimana fa l'incidente con la perdita dei fusti tossici al largo di Livorno. In quel caso il cargo era della Grimaldi, un altro nome storico per il naviglio italiano. E' probabile che dopo che le foto della Concordia avranno fatto il giro del mondo il nostro Paese dovrà smettere di pensarsi come un "popolo di navigatori". Eppure gli sguardi e i volti di chi ci circonda, i vigili del fuoco, i sommozzatori, i ragazzi della guardia costiera, i volontari della protezione civile, i carabinieri, i cittadini che hanno risposto coralmente a questa tragedia, quelle facce ti restituiscono il volto migliore della gente di mare, non quello sbruffone di un comandante in vena di smargiassate. Eccolo il popolo di navigatori, silente e infangato da pratiche diffuse e colpevolmente tollerate: gli inchini ossequiosi, i passaggi ravvicinati alle isole minori per offrire ai loro ospiti l'"effetto presepe", per far toccare il campanile di San Marco ai crocieristi che passano da Venezia. Intanto il bestione sembra dormire su un fianco, anche se ogni tanto si registrano piccoli spostamenti. Hanno cominciato a far brillare piccole cariche esplosive per aprire nuovi varchi, punture di spillo che non sembrano inquietare la nave. L'assalto dei giornalisti all'uscita è asfissiante, ci sono troupe da tutto il mondo, che documentano uno spettacolo triste che qualche gaglioffo usa gia' come metafora della situazione del Paese: un paese arenato e sull'orlo del baratro. Anche per questo è necessario fare presto e fare bene, per scongiurare il più grave disastro ambientale lungo le nostre coste e per riconquistare credibilità agli occhi del mondo. I grandi incidenti nella storia della navigazione hanno sempre rappresentato un'occasione per migliorare le normative in materia di sicurezza e tutela dell'ambiente: dal Titanic fino alla Erika e alla Prestige i cui nomi oggi stanno a indicare pacchetti di norme più stringenti che hanno esteso l'obbligo del doppio scafo e rafforzato i vincoli nel trasporto di sostanze pericolose. Il sottosegretario Improta annuisce ed accoglie le nostre proposte di rotte sicure, che allontanino i rischi dalle aree sensibili, rispettose dei vincoli e della valorizzazione dell'ambiente marino che la nostra Repubblica ha voluto e degli accordi internazionali che ha sottoscritto. Dovrà essere cosi anche per la Costa Concordia, per il rispetto delle vittime prima di tutto, per onorarne il ricordo, e poi per il rispetto di questi luoghi, un parco nazionale dentro il Santuario Pelagos, l'area marina protetta più grande del Mediterraneo e che rischia, di questo passo, di diventare la più inutile.
legambiente venneri mazzantini