Tardò all’epoca scavava pozzi, un lavoro duro e pure pericoloso che però gli consentiva di mantenere in tutta decenza la sua famiglia. Erano tempi in cui i contratti si facevano a voce e si “siglavano” con una stretta di mano e raramente si mancava ad un impegno o “alla parola”. In un caso però, a lavoro terminato da mesi e mesi, eseguito per conto di un foresto (un imprenditore sbarcato dalle padanie tra di noi, che chiameremo col nome di fantasia di Carugati) Tardò dovette penare assai per ottenere quanto sacrosantamente gli spettava. Il tizio era un buffo signore piccolo di statura, rossiccio-pelato, chiacchierone e vestito sempre in maniera bizzarra (spesso con pantaloncino corto, calzino e sandalo), in pratica l’opposto di Tardò nerocrinuto, alto e massiccio, tendenzialmente silente, con le lunghe gambe eternamente infilate negli austeri calzoni di “anchina” blu del proletariato. I due frequentavano lo stesso bar ferajese, e ripetutamente Tardò aveva approfittato degli incontri occasionali per ricordare, con le buone maniere, che lui il lavoro glielo aveva fatto e bene e sarebbe stato pure il caso che il beneficiario lo pagasse. Carugati invariabilmente si mostrava comprensivo e rassicurante e rispondeva che - questione di giorni – e avrebbe saldato il suo debito, impegno che puntualmente poi disattendeva. Un giorno Tardò era appoggiato al banco in attesa del caffè, Carugati si stava avvicinando al bar mulinando le sue zampette. Per un attimo, scorto il debitore, si era bloccato fuori della porta, probabilmente intenzionato a girare sui tacchi per cambiare aria, ma forse temendo di essere stato già adocchiato, mutò tattica tentando il contropiede, avvicinandosi e attaccando lui: “Buongiorno signor Fortunato (così Tardò si chiamava, almeno all’anagrafe) .. allora per quanto riguarda quei soldi …” Ma Tardò lo interruppe, si voltò verso di lui, ponendosi una delle manone davanti agli occhi e dicendo: “.. per carità Carugati stia zitto, faccia finta di non avemmi visto, non mi dica niente perché, se mi ripiglia pel culo un’altra volta, mi tocca stioccalli un cazzotto in capo che ce lo pianto in tera... vada via per carità …” Due giorni dopo (a riprova che con le buone maniere si ottiene tutto) Carugati scucì le dovute palanche. Orbene, abbiamo provato a far viaggiare Tardò nel tempo, e lo abbiamo fatto approdare, con immutato spirito, sul moletto del pesce di una ridente paesello elbano, si è portato sul viso la manona (nel caso per tapparsi oltre che gli occhi anche il naso) e ha detto: “… per carità state zitti, smettetela di pigliammi pel culo, che se ridite che qui l’acqua è pulita e balneabile mi tocca pesca’ sette o otto stronzoli e tiravveli dietro …”
Marciana Marina inquinamento 2 Luglio 2011 4