Gentile direttore, in merito all’Asciambere di ieri, vorrei porgerle la mia più sentita solidarietà, ma avrei da proporle una riflessione che invece va in direzione ostinata e contraria. Siamo appena tornati, sani e salvi, da una gita scolastica nella verde Umbria. Diciotto scatenati, meravigliosi adolescenti, che si trovano in quell’età ingrata caratterizzata da sorprendenti asimmetrie, e due prof. prec. accompagnatori. Il viaggio, da noi ideato e scrupolosamente progettato, con il supporto dell’agenzia di viaggio, aveva come meta Assisi , il Rinascimento umbro e compagnia bella, ma come lei ben sa, sotto sotto c’era la subdola intenzione di INCULCARE in quelle tenere testoline i pericolosi germi della decrescita felice. Chi meglio di frate Francesco e sorella Chiara avrebbero potuto far riflettere sulle vere ricchezze della vita? Il cielo e le stelle, il sole e la luna? Invece, devo fare pubblica ammenda: ho portato diciotto cuccioli indifesi (si fa per dire) nella spietata landa biblica di Sodoma e Gomorra, nella capitale del vizio e del traffico di souvenirs. Incredula (eppure era la terza volta che mi affacciavo su quella santa terra che aveva calpestato il fraticello scalzo) ho assistito impotente ad un carosello di furbizia, maleducazione e grettezza d’animo. Non voglio generalizzare, sono ancora convinta che la maggior parte degli umbri siano persone semplici e generose, ma l’Assisi-system è tutt’altra cosa. Tanto per cominciare il direttore dell’albergo ci ha fraternamente accolto dicendoci: “Mi raccomando, sa, il proprietario non prende volentieri le gite!” Sicuramente avrà anche dato prova di stoica sopportazione per il bonifico anticipato dell’intero importo delle due sere di permanenza. Appena arrivata, e con ancora la soggezione del cantico delle creature nel cuore, non mi sembrava carino sottolineare che se il proprietario non voleva le gite bastava non prenderle. La prima uscita serale nell’antico borgo medievale è stata una caduta libera nella voragine della perdizione. Ristoranti esclusivi, gioiellerie abbaglianti, negozi d’antiquariato, pasticcerie in stile neorococò che rigurgitavano creme e panna. Ma i ragazzi, si sa, a volte devono fare anche la pipì. “Mi raccomando, entrate, comprate qualcosa e chiedete cortesemente della toilette”. Così abbiamo anche scoperto che i gestori dei bar non mandano volentieri i ragazzi al bagno, anzi non ce li mandano proprio. Cinque o sei pipì valgono molto di più di due brioches, tre pacchetti di caramelle ed altre amene schifezze. Ma Assisi è davvero bellissima. In una gloriosa giornata di primavera Giotto, Cimabue, il Lorenzetti e la sottile, laica corrispondenza con il frate povero ci hanno fatto piangere di commozione e stupore. Forse ho pianto anche per aver visto i miei scalmanati studenti stare attentissimi e in silenzio di fronte alle magnificenze dell’ingegno umano che la guida ci stava man mano svelando. Usciti sul sagrato abbiamo anche potuto osservare un alto prelato che in pieno spirito francescano aveva pacificamente varcato quelle sacre soglie della basilica inferiore soltanto con una dimessa mercedes blu dotata di un austero autista. Anche i questuanti non sono più gli stessi. A parte una signora un po’ malmessa che educatamente chiedeva degli spiccioli dando in cambio santini di Chiara e Francesco, ci siamo imbattuti in una specie evoluta degli antichi mendicanti. Due tipi ben vestiti, di cui una signora anziana curata e distinta, che con ricetta alla mano chiedevano cinque euro per comprare una medicina essenziale ma a pagamento, dato che il bancomat non funzionava più. Probabilmente nessun pellegrino che si reca ad Assisi resiste alla pena di vedere due poveri cristi con la tessera bancomat smagnetizzata. Mattina della partenza. L’accogliente proprietario dell’albergo non aveva capito che avevamo diritto ai cestini da viaggio e dato che “vaucher cantava” ci ha chiesto cortesemente di aspettare una mezz’ora in mezzo alla strada. Nel mentre vedevamo sfumare l’appuntamento con la guida alla cascata delle Marmore, ma serbando nel cuore ancora qualche traccia di umana indulgenza nei confronti di chi non si era neppure scusato, abbiamo permesso ai ragazzi di giocare a pallone in cerchio e senza correre, nella piazzetta semideserta alle otto e mezzo di mattina, cosa che avevamo visto fare a decine di ragazzi fin dal primo momento in cui siamo arrivati. APRITI CIELO. Abbiamo scoperto di non portare rispetto, nell’ordine: a San Francesco, Santa Chiara, il Papa, quello attuale e quello appena beatificato, al sindaco di Assisi, al proprietario dell’albergo, al venditore abusivo di quadretti al margine della piazza, ai piccioni e giù fino alle forme di vita più elementari. La fatica più grande è stata dover mantenere una certa calma di fronte ai ragazzi e incanalare la loro scomposta reazione (“si dà foco a tutto”), in una educata protesta: “I souvenirs (quei pochi che ancora dovevano essere acquistati) compriamoli da un’altra parte”. Goodbye Assysy, ora ho realmente capito perché Francesco e Chiara avevano scelto di vivere altrove.
assisi basilica san francesco