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A Sciambere "I' vo gridando: Pace, pace, pace!"

Scritto da : Sergio Rossi
Pubblicato in data : martedì, 22 settembre 2009

Ieri sera su LA 7 uno dei pochi canali televisi decenti restati ad informare le genti d’Italia, si svolgeva un interessante dibattito sul senso del nostro impegno militare in Afghanistan, mentre il TG1 dello scodinzolante Minzolini censurava il gesto (condivisibile o meno, comunque cronaca) clamoroso di un attempato signore che petrarchescamente, al termine della Messa funebre per i paracadutisti caduti a Kabul, si avvicinava al microfono per scandire tre volte “Pace Subito”. Partecipava il sociologo Pino Arlacchi attualmente eurodeputato per l’Italia dei Valori ma già direttore dell'UNDCCP (ufficio delle Nazioni Unite per il controllo delle droghe e la prevenzione del crimine) e direttore generale dell'ufficio delle Nazioni Unite a Vienna , come dire uno dei massimi esperti che circolino sul pianeta sul fronte della lotta al narcotraffico. Arlacchi ha buttato lì pacatamente un argomento che avrebbe dovuto gelare qualsiasi velleità interventista in quella guerra, ricordando che fior di giardino siano “i nostri alleati afgani” quelli che stiamo difendendo ed istruendo militarmente quelli per i quali abbiamo già mandato a morire 21 connazionali, 500 europei, 1500 soldati della Nato in una guerra che ha probabilmente fatto tra la popolazione civile più di 20.000 morti. Bene il primo step, come diceva in gergo un militare collegato era quello di consentire “libere elezioni” (in un paese occupato per metà da chi combatte la coalizione occidentale), una farsa nella quale l’attuale presidente Hamid Karzai si è distinto subito per i brogli che lo fanno apparire in testa, ma Hamid è solo il braccio politico di una famiglia rispettabilissima: il fratello minore Ahmed Walli Karzai è stato definito da Arlacchi uno dei più grandi esportatori di oppio (la materia prima per l’eroina) del mondo; il candidato vice di Karzai invece i suoi oppiacei affari se li cura personalmente così come fa una serie di personaggi del governo fantoccio che contribuiamo a tenere in piedi coi nostri soldi e con i nostri morti a Kabul, ma anche con i nostri ragazzi sfarinati a domicilio, in patria, nelle periferie urbane d’Italia, dalla merda che questi volgarissimi ma riveriti delinquenti mettono in giro per il pianeta. Informazioni che si possono (a cercarle) trovare pure in rete ma che non saranno mai fornite ai normali teleutenti per i quali Karzai è un distinto signore con la barba uno strano mantello e un berretto d’astrakan. E difficilmente gli italiani comuni difficilmente sentiranno parlare dei veri motivi economici di quella guerra, del percorso degli oleodotti prossimi venturi che per là dovranno passare, oltre e forse più della citata enorme produzione di papaveri da oppio etc. Nostro padre usava un’espressione “tra il canchero e la rabbia” e noi stiamo in Afghanistan esattamente così: tra il cancro dei narcotrafficanti (peraltro oscurantisti poco meno dei loro nemici) e l’idrofobia di quelli che definiamo Talebani, ma che sono in realtà un misto di fanatici islamici e guerrieri tribali in lotta contro Karzai e soci per le più disparate ragioni, in una guerra non definita tale che impone ai nostri militari di fare da bersaglio prima di rispondere al fuoco nemico correndo poi il rischio, come è accaduto in ripetute occasioni di bombardare persone innocenti ed inermi. Uscire da questo pasticcio quanto prima, o quanto meno ridefinire radicalmente la nostra missione in quello sfortunato paese, è obbligo morale non minore che onorare la memoria di chi ci ha perso la vita. Anzi sarebbe onorarla.


Francesco Petrarca

Francesco Petrarca