Succede che un giorno ti svegli, controlli la batteria di una modesta ma preziosa telecamerina digitale, infili il primo paio di scarpe che trovi, metti il primo piumino che ti capita e vai a fotografare un fosso, perché serve per un articolo sulla trascorsa alluvione. Destinazione S.Giovanni, perché noi fotoreporter d’assalto non ci fermiamo davanti al pericolo, non arretriamo di fronte al dovere dell’informazione, non ci scoraggiano neppure alla presenza di un torrente. E capita che mentre ti arrampichi sugli argini resi più impervi dai lavori di rinforzo delle ruspe, ti sorprenda il fruscìo delle canne al vento, e che tu avverta uno strano rantolare che annuncia lo scorrere dell’acqua più in basso. Sulla cima dell’argine, protetta dal mondo esterno da una barriera di giunchi, riscaldata dal tepore che si conserva nell’alveo, guardo giù, e trovo un fiume. Non è possibile, guardo nel mirino della macchina fotografica per avere una prospettiva più oggettiva, e ritrovo un fiume. Un bel fiume lento, cantilenoso, con gli argini interni più dolci, l’erba tenera che profuma di terra, una striscia modesta ma dignitosissima d’acqua che scorre con una sua eleganza e che nel suo piccolo non si fa mancare proprio niente. E quella che doveva essere una foto di servizio, una sfida ai tentacoli del fango, e forse anche un ripiego rispetto magari ad una carriera universitaria in qualche Ateneo pisano, diventa un cambiamento di prospettiva, e una correzione mentale della cartografia di quell’Isola che mi avevano sempre descritto senza fiumi e senza treni. Gli argini paiono solidi, viene da farci un pic-nic. E mentre penso ad un panino burro e acciughe, la mia scoperta dell’acqua dolce riversa i suoi rigagnoli sulle incrostazioni salmastre, accumulatesi in numerose stratificazioni estive di tuffi alle Ghiaie. La mia mente balneare educatasi sull’erbino della “seconda secca”, e su orizzonti densi di bettoline, fa un po’ fatica a riconoscere sull’isola la presenza a cielo aperto di un liquido che, se trasfuso in pentola per la cottura della pasta, necessita di una manciata di sale. Così, nel mentre sto meditando come e quando informare il mondo scientifico della mia rivoluzione idrografica, ogni volta che scorgo da lontano un argine e un canneto, non solo mi viene fame (e un po’ di sete), ma mi salta in mente, con un lieve e compiaciuto sorriso di superiore consapevolezza, l’immagine di un’isola senza treni.
fosso della madonnina portoferraio alluvione