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Controcopertina: Il Re è nudo, ma non gliene importa.

Scritto da : Sergio Rossi
Pubblicato in data : lunedì, 24 gennaio 2011

Il Re è nudo, ma non gliene importa. Confinato in una solitudine allucinata, senza nessun affetto di ‘pari’ che la attenui, continua a cercare nella quantità -alla quale gli permette di attingere la sua sconfinata ricchezza- ciò che ormai dispera (o che forse non ha mai sperato) di poter raggiungere nella qualità. Mille case, mille donne, mille voci (milioni) osannanti e segretamente invidianti; una corte di servitori fedeli e interessati, la cui vita dipende dalla sua sopravvivenza e dalla sua grazia; un consenso enorme di un ‘pubblico’ incantato dalla sua ‘fiction’, alla quale affida -come sempre accade negli spettatori- il riscatto delle proprie frustrazioni immedesimandosi nel protagonista. Uguale e lontano, ha il consenso di chi disprezza (perché non è ‘riuscito’); lontano e diverso, ostenta disprezzo per chi è fuori dalla portata della sua capacità d’acquisto, per chi è eterogeneo alla sua concezione mercantile delle interrelazioni, per chi si muove nella ‘qualità’. Oggi i giornali dicono che le ultime vicende non hanno intaccato più che tanto la sua ‘popolarità’, e i commentatori se ne stupiscono rallegrandosene o dolendosene a seconda dell’appartenenza politica. A me non sembra strano. Le ultime vicende non sono un fatto nuovo, ma l’iterazione di accadimenti già verificatisi. Ha fondato il consenso nella pubblicità di sé come uomo di popolo, incarnando desideri e fantasie segrete senza riservatezza alcuna e senza pudori: non ha mai rinnegato i propri comportamenti, ha solo e sempre negato che fossero fuori della giustizia e della legge; e quando risultava che lo fossero ha detto che quella legge e quella giustizia erano sbagliate perché contrarie al suo successo e alla sua utilità, e per ciò stesso al successo e all’utilità di ciascuno. Chi lo chiama a processo è contro la sua libertà e quindi contro la libertà di ciascuno. E infatti lui non si serve della mafia e non è a servizio della mafia: lui fa affari, e gli interessa il denaro di chi fa affari con lui; e se questo non deve apparire si farà in modo che resti fuori dai bilanci e dalle scritture contabili, che resti fuori dalla Nazione, che non compaia, che scompaia. Se c’è bisogno di qualcuno che dia una mano alla riuscita dell’operazione, se ne pagherà il ‘disturbo’, faccendiere, avvocato, giudice, poliziotto, politico che sia. E in questo è davvero uguale a moltissimi suoi concittadini, che operano allo stesso modo a un livello infinitamente inferiore come il Checco Zalone dell’ultimo film. Chi adorna gli armadietti degli spogliatoi, delle caserme, delle celle carcerarie, o le cabine dei camion; chi ‘scarica’ sugli schermi dei computer le immagini discinte di belle e disinibite fanciulle, certamente non si scandalizzerà se chi può si circonda delle medesime al vero, e lo fa perché ha agito nella sua vita in modo tale da avere risorse economiche tali da poterglielo consentire. Il ‘Popolo delle libertà’, che ha raccolto intorno al miraggio del ‘Paese dei balocchi’ dove i sogni più segreti si avverano, al quale ha offerto una rappresentazione continua negli anni da ‘Drive in’ al ‘Billionaire’, alle sue ville nostrane, a quelle dei mari incantati, gli rimane fedele perché ha riscattato la loro ‘cultura’ del “ciascuno per sé” dal giudizio severo di secoli di dottrina dello Stato, di fondamento etico, di ‘politica’. “Ciascuno per sé” e “Chiù pilu pe’ tutti”, traguardi proposti, da sognare se non da raggiungere. Gli avversari sono impotenti. Si aggirano sconsolati perché, ogni volta che sperano di esser vicini a vincere l’epidemia perniciosa che attanaglia la nostra società da più di vent’anni, devono prendere atto che la malattia è virulenta, e non si riesce a sconfiggerla. Le più diverse strategie elaborate -di mimesi, di opposizione, di incontro, di scontro- non sortiscono risultati. La qualità della proposta politica, che dovrebbe essere il punto di forza contro un avversario ‘senza qualità’, si perde nelle raffinate articolazioni o nelle raffinatissime banalità di una concorrenza interna che appare suicida. E che non sembra considerare come la forza delle ‘non qualità’ si incrementa naturalmente con il controllo dei mezzi di comunicazione di massa (non di ‘informazione’, che interessa poco al mondo del “ciascuno per sé”; ma di intrattenimento): ‘panem et circenses’ era il fondamento dell’Ordine Romano; e se il pane scarseggia, si aumentano i ‘circenses’. Oppure considera tutto questo, ma ormai ha deciso che non c’è altra strada, e che bisogna aspettare la morte dell’Avversario (quella politica e quella fisica probabilmente coincidono), perché solo dopo si riaprono i giochi, giacché non lascerà eredi, non può lasciare eredi perché nessuno è come lui. Questo spiegherebbe il ‘piccolo cabotaggio’ dell’opposizione, il ‘navigare a vista’, il mantenere le posizioni con lo sguardo rivolto più ai concorrenti interni che non all’esterno. Può essere una scelta plausibile. Del resto il dibattito nelle opposizioni prescinde di fatto dall’esistenza di questa maggioranza. Si stanno operando dei riposizionamenti che sembrano fare riferimento a una situazione nella quale, accanto alla ‘Destra’ apolitica della Lega e di quanto rimarrà del ‘Popolo delle Libertà’ (o quel che sarà) dopo l’eclisse totale del Leader, si vanno formando un ‘Centro’ moderato e liberale, un ‘Centro’ riformista e liberale, e una ‘Sinistra’ tradizionale di opposizione e di elaborazione politica, destinata a costituire il paradigma critico del Centro. Quando sarà il momento, quando si sarà chiuso questo ciclo perverso, sorgeranno tempi nuovi e “magnifiche sorti e progressive”. Non vorrei, per continuare con i poeti, che fosse l’ennesima “favola bella che ieri m’illuse, che oggi ti illude”. Sono convinto anch’io che il “Popolo delle libertà” non sopravvivrà al suo leader. Ma tempi nuovi e sorti progressive non si costruiscono sul vecchio. L’operazione del Congresso di Vienna dopo la bufera napoleonica non ebbe un gran successo, perché il tempo che passa non consente ritorni all’antico. Abbacinati dalla ventura (o sventura) degli ultimi decenni, forse non abbiamo visto quanto il nostro mondo sia cambiato, quanto gli strumenti di lettura, di conoscenza, di comunicazione si siano rivoluzionati, quanto i modelli di aggregazione, di relazione, di organizzazione si siano evoluti. Occupati a pensare alla Restaurazione, ci siamo lasciati scappare una realtà più vasta del nostro orticello, della nostra nazione, della nostra Europa che intanto correva avanti, e ci siamo dedicati con passione a un sano moralismo senza respiro e senza prospettiva. Occupati a esorcizzare Lucignolo, rischiamo di parlare ai mille Pinocchi che ci crescono accanto come il petulante Grillo o come l’accorato Geppetto, impotenti.


luigi totaro

luigi totaro