Il comunicato della Giunta di Portoferraio sul riassetto della costa che va dalla zona porto fino a S.Giovanni, a parte una furbata sul rapporto fra le villette o villone, che un giorno non ci sono e l’altro invece si, e l’UTOE Porto (e sarebbe l’ora che, visto che si tratta di comunicati diffusi al pubblico, negli stessi comunicati venissero allegate delle note per spiegare in soldoni cosa significano le sigle citate) contiene, forse per la prima volta, una nebulosa ammissione dello scambio che si sta cercando di far digerire ai portoferraiesi e agli elbani se il progetto andrà avanti (vedi sostenibilità). Sostanzialmente la Giunta ci dice: volete che privati investitori realizzino un progetto industriale con lo scopo di attivare una filiera nautica che porterà benessere e lavoro? Bene, in cambio dobbiamo consentire agli stessi privati investitori di costruire un tot di volumi immobiliari (a destinazione civile, commerciale, artigianale) necessari a finanziare l’investimento e cioè la ristrutturazione del cantiere Esaom che, ci viene promesso, avvierà un mercato indotto per attività commerciali e artigianali tale da favorire lavoro e benessere (non vengono citati dati derivanti da analisi nè più nè meno approfondite). Anche ammettendo che i portoferraiesi intendano regalare la propria terra (e il proprio mare) in cambio della promessa che un giorno, sempre ammesso che tutto funzioni, alcuni di loro avranno un lavoro, e gli altri una piscina e una pista ciclabile, l’operazione presenta incognite molto concrete (c’è davvero chi è convinto che abbia ancora senso progettare una filiera nautico industriale all’Elba, essendo palese che i costi logistici (sia per i produttori che per gli utenti) di una tale attività le impediranno di essere competitiva con i diretti concorrenti – in buona parte già attivi - della costa tirrenica?), oltre al fatto, non secondario, di suscitare l’impressione che qualcuno voglia prendere schiaffi con la faccia degli altri. Intendo dire che, se qualcuno pensa che un tale progetto industriale possa diventare produttivo sarebbe il caso che se lo finanziasse da solo, senza chiedere che i portoferraiesi, o meglio gli elbani in generale, ci mettano il loro capitale comune, terra e mare, visto che non ne saranno soci. D’altro canto, se, al contrario, questo qualcuno ha seri dubbi sulle reali possibilità del progetto, tanto da non volerlo finanziare in proprio, forse non è il caso che glielo finanziamo noi, considerando anche che, diamo pure per buono che tutto l’ambaradan arrivi a compimento, chiudiamo gli occhi sul danno ambientale, se alla fine la famosa filiera non funziona, che ci vogliano 3 o 5 o 10 anni, buona parte dei volumi commerciali, industriali o artigianali saranno convertiti in civili, vale a dire prime (forse qualcuna) e seconde (sicuramente molte) case. Agli elbani resterà la pista ciclabile, per pedalare.
mitile cozza