Sono veramente sorpreso come molti isolani rivendichino a grande voce candidati elbani alle regionali e si sentano vittime di un complotto dei politici continentali atto, ad escludere dalla vita politica ed amministrativa gli elbani. Nessuno si è mai chiesto il perché? Il motivo è molto semplice. L'elbano non fa politica sul territorio ma, all'Elba, la politica è intesa solo come una corsa alla poltroncina (a volte davvero ina ina). Non esistono sezioni di partito, non esistono iniziative sul territorio, non esiste vera opposizione ai governi locali. Non c'è nulla di tutto ciò. Solo in prossimità delle elezioni c'è un grosso agitarsi nel pollaio, ognuno alla ricerca del proprio posticino al sole. Poi, ad elezioni compiute, cala il sipario. A Campo ad esempio, per accogliere la Faenzi e la sua corte, il "coordinamento locale del PDL" ha invitato i cittadini a partecipare numerosi all'incontro (leggi "claque"). Tale cooordinamento è comparso per la prima volta proprio in questa occasione. Ma chi ne è a conoscenza, da chi è costituito, chi è il coordinatore? O forse è stato costituito "ad hoc" per questo appuntamento? Non mi risulta esista sull'isola un coordinamento del Pdl che rappresenti il partito sull'isola o un portavoce che possa fare da interlocutore con i propri riferimenti provinciali e regionali. Questo vale per tutti i partiti in tutta l'isola (forse Bosi escluso). E' chiaro che questo modo di "non fare politica" arrivi anche ai livornesi ed ai fiorentini che non hanno nessun interesse a rappresentare l'isola nelle elezioni che contano, visto che gli isolani stessi se ne disinteressano. L'elbano è, al contrario, straordinario quando si tratta di difendere la propria isola (vedi la questione tralicci) o quando si stringe intorno al dramma, anche personale, di un proprio concittadino (in questo frangente è addirittura commovente). Ma purtroppo, dalla politica ci si difende con la politica. Probabilmente sarebbe il caso di costituire una sola singola grande sezione per ogni partito (es. a Portoferraio) in modo da dare una voce univoca alle problematiche dell'isola. E forse incominciare seriamente a pensare al comune unico o, addirittura, alla Provincia dell'isola d'Elba. Per avere un peso più grande in ambito continentale o addirittura per governarsi da soli. E buonanotte. G. Palombi Caro Gianluigi In una società molto più facile da leggere come quella che mi ha visto crescere in quanto assai meno articolata di quella in cui sto invecchiando, di faceva politica con più certezze. I limiti fondamentali ed i pregi dell'homo ilvates erano gli stessi; con una sinistra fortemente influenzata dalle scaturigini anarchiche ed una destra abbastanza imprintata dal libertarismo borghese l'Elba anche allora produceva molti violini solisti e pochissimi direttori d'orchestra, ma, male o bene, l'indice di correzione lo dava l'ordine nuovo, quella Costituzione della Repubblica che definiva (e definirebbe ancora) il ruolo dei partiti politici e il loro fondamentale ruolo democratico. Nella mia maturità, qui come altrove, ho assistito alla involuzione dei partiti al loro progressivo allontanarsi dal dettato costituzionale, al loro mutarsi in casse di rappresentanze di più o meno leciti interessi, in luoghi dove il potere contava sempre di più ed il confronto democratico e la tensione ideale sempre di meno. Nel contempo qui partiti perdevano quella che ritengo sia una funzione fondamentale: la funzione formativa, perché all'esercizio delegato della democrazia occorre formarsi, che comporta il leggere, lo studiare leggi e problemi. ed il confronto con pensieri opmogenei e disomogenei. E manco a dirlo quando l'etica politica è stata sfarinata da un brutale pragmatismo in base al quale il potere è un valore in quanto tale, ergo tutti i mezzi son buoni per conseguirlo, ho assistito a due fenomeni consequenziali: craxismo e berlusconismo informati, entrambi alla conquista del consenso acritico in luogo della conquista delle coscienze sulla base del confronto sugli argomenti come i "vecchi" partiti della democrazia italiana perseguivano originariamente. Non a caso parlo di due regimi o para-regimi caudillistici all'interno dei quali la democrazia interna diventava, nel migliore dei casi, un'optional. Non serviva nel partito-Comitato d'affari di Craxi, figuriamoci nel partito-azienda del padrone di Berlusconi. Finita come sappiamo la parabola craxiana, prossimo al fine corsa Berlusconi (la sua favola populista è già una bolla di sapone piena di crepe prossima a scoppiare su mille spigoli), si incomincia a risentire nella società la necessità di rappresentanza e di partecipazione, e di strumenti idonei ad esercitarle. Non sono affatto sicuro che questi partiti, nelle forme che conosciamo siano quegli strumenti, propendo anzi a leggere l'attuale come una fase evolutiva, verso aggregazioni diverse e diversificate (il fiasco del bipartitismo veltrusconiano è tangibile), ma so che la democrazia ha bisogno di strutture solide che non possono e non debbono essere assimilati ai pur utili "movimenti". Vedi Gianluigi mi è capitato ogni tanto di sentirmi chiedere in quale università mi fossi formato, ho sempre risposto con un po' di vezzo e un po' d'orgoglio(lo ammetto): "nell'Università della Classe Operaia", come dire che ad un Partito Comunista vissuto seriamente devo la parte maggiore di quel poco che so e di quel poco che so fare. Mi piacerebbe rivederli i partiti intesi come punti di aggregazione in cui si va per confrontarsi partecipare e decidere, in cui si va per apprendere e per emozionarsi per la politica, vedrei questi nuovi partiti come case di vetro in cui la democrazia non fosse forma ma sostanza, dove si abolisse il termine "segretario" per mancanza di segreti da custodire. Esistessero già soggetti così all'Elba anche i movimenti che è giusto sorgano e si esauriscano su singoli problemi o serie di problemi avrebbero interlocutori più certi, e nella scelta delle amministrazioni sarebbe più facile elevare la qualità media umana delle proposte, si vedrebbero meno furbi interessati e meno ambiziosi sciocchi alla caccia poltrona o dello sgabello, ed il miglioramento della classe dirigente isolana è il secondo presupposto perché l'isola conti di più sullo scenario regionale e nazionale. Quanto al primo ti rimando a quattro versi dell'Inno di Mameli (della parte meno conosciuta che non si canta mai) ".. noi fummo per secoli/ calpesti e derisi/ perché non siam popolo/ perché siam divisi .." sì, il linguaggio è un po' datato ma pure la madre di tutte le questioni elbane, la semplificazione istituzionale comincia ad essere insopportabilmente, assurdamente vecchia, e sarebbe facile per chi volesse denigrarci rispondere: "Ma che vogliono questi barudda di elbani che neanche sono stati capaci di riunirsi in un solo comune?" Un abbraccio
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