Caro Direttore, prendo atto con piacere che il Signor Marco Mantovani ammette di aver esagerato nel suo accostarmi ai nazisti (che, a proposito, erano dichiaratamente “animalisti”) e alle loro pratiche omicide di selezione della razza. Non poteva saperlo, ma per me quella è un’offesa dolorosa e sanguinosa: nella storia della mia famiglia, fatta da anarchici, comunisti e socialisti e di felicissimi sanguemisti, ci sono morti, imprigionati e torturati per aver combattuto quelle idee genocide. Prendo atto anche del suo onesto riconoscere a Legambiente una funzione positiva. Quindi, sgombrato il campo da parole tropo pesanti per continuare un qualsiasi confronto, possiamo discutere di quello che si può fare per difendere e valorizzare l’ambiente di questo nostro arcipelago che, assicura Mantovani, sta a cuore a lui almeno quanto a noi. Per farlo non possiamo certo affidarci a sensazioni o interpretazioni politiche localistiche di quel che sia necessario, a cominciare da una legge 394/91 che anche secondo Legambiente ha sicuramente bisogno di aggiornamenti ma che, ad esempio, diversamente da molte leggi nazionali di altri Stati sulle Aree protette (mitica Francia compresa) dà inusuali poteri agli enti locali. Se poi, come all’Elba, invece di esercitarli gli Enti Locali preferiscono trasportare all’interno del Direttivo e della Comunità del Parco la loro inconcludente litigiosità, questo non è certo colpa della legge, e temo avverrebbe con qualsiasi altra legge e con qualsiasi altro Piano, come purtroppo dimostra la storia politico-amministrativa di questa nostra isola. Visto che l’Arcipelago Toscano non è su un altro pianeta, le necessarie modifiche della legge dovranno avvenire all’interno degli accordi nazionali ed europei su parchi, aree marine protette e biodiversità che l’Italia ha sottoscritto e che si è impegnata ad attuare, altrimenti ogni proposta (e ogni protesta) sarà solo puro velleitarismo. Per esempio, tornando alla discussione sull’immissione di specie, Mantovani pensi solo che ai pericoli per la fauna autoctona portati dalle specie aliene ed invasive è stato dedicato quest’anno l’International Day for Biologiocal Diversity e che l’International Union for Conservation of Nature ha in corso l’iniziativa planetaria Count Down 2010 per la Biodiversità. Il 2010 è stato indicato come l'anno in cui la comunità internazionale avrebbe dovuto raggiungere l'obiettivo di una significativa riduzione del tasso di perdita di biodiversità, prima nel 2002 dalla Conferenza delle Parti de L'Aja della Convenzione sulla Diversità Biologica (cdb) e dal Summit dell’Onu sullo Sviluppo Sostenibile di Johannesburg, poi lo ha ribadito nel 2005 dal World Summit dell’Onu a New York. Nell’ottobre 2010 in Giappone si terrà la decima Conferenza delle Parti della Cdb nella quale i governi dovranno esaminare i progressi compiuti per la tutela della biodiversità ed indicare le strategie future per fermare l’estinzione delle specie viventi. La due questioni già sul tappeto con i documenti preparatori (ai quali naturalmente ha dato il suo contributo ed appoggio il nostro governo) sono l’estensione delle aree protette, soprattutto quelle marine, e la lotta contro le specie invasive. Sempre nel 2010 verranno resi noti i del progetto The Economics of Ecosystems and Biodiversit (Teeb) che quest’anno ha già presentato un rapporto intermedio sul valore economico della biodiversità e dei danni derivanti dalla sua perdita. Ieri Gianfranco Bologna scriveva su Greenreoport: «Sin da quando la comunità internazionale si è data questo obiettivo del 2010 sulla riduzione della perdita di biodiversità, la comunità scientifica si è contestualmente data da fare per individuare un set di indicatori che, applicati dalle varie nazioni, potesse fornire dati il più possibile oggettivi per sapere di essere sulla "strada" giusta nell'ottenimento di una concreta riduzione della perdita di biodiversità». Io credo che la discussione dovrebbe partire da quegli indicatori e non dagli umori e dalla inconsapevolezza di molti che all’Elba credono che si possa sfruttare all’infinito un’isola ed un mare che gli indicatori che abbiamo già a disposizione (ad esempio il Piano del Parco o i dati Istat) ci dicono che ha già superato il crinale della sostenibilità. Io, da ignorante consapevole, non mi invento ricette, mi affido con gratitudine ed ammirazione alla a scienza, agli studi ed agli esperti per proporre interventi e politiche di salvaguardia, faremmo bene a farlo tutti, visto come economisti, politici e imprenditori hanno ridotto il pianeta. Come sollecita Bologna, «Entriamo un po' nel dettaglio e vediamo quali sono i 26 indicatori considerati. Il primo è costituito dall'abbondanza e la distribuzione di alcune specie selezionate che, a loro volta, costituiscono un segnale di stato di salute degli ecosistemi (in particolare gli uccelli e le farfalle). Poi segue la Lista Rossa delle specie minacciate in Europa per verificare gli eventuali cambiamenti in positivo relativamente al loro status o per registrare le azioni di protezione che le hanno riguardate, quindi lo status delle specie considerate di "interesse europeo" dalle Direttive esistenti , i trend esistenti nella copertura dei diversi ecosistemi, gli habitat di interesse europeo, lo status della diversità genetica delle specie domestiche, lo stato dei sistemi di aree protette in ogni nazione nonché quello dei siti designati dalle Direttive dell'Unione Europea Habitat e Uccelli, l'eccesso di carico critico di azoto, i trend delle specie aliene, l'impatto dei cambiamenti climatici sulla biodiversità (in particolare sulle specie di uccelli), l'indice dei livelli trofici nei mari europei (come status e trend dell'integrità degli ecosistemi marini), lo stato di frammentazione di aree naturali e semi-naturali, lo stato di frammentazione dei sistemi fluviali, lo stato dei nutrienti nelle acque costiere e marine, lo stato di qualità delle acque dolci, lo stato delle foreste, lo stato degli alberi morti nelle foreste, i bilanci di azoto nelle zone agricole, le aree agricole sottoposte a gestione che favoriscono la biodiversità, la situazione delle aree di pesca, la qualità delle acque per l'acquacoltura, le impronte ecologiche delle diverse nazioni europee, l'applicazione dei brevetti basati sulle risorse genetiche, il livello dei finanziamenti per la gestione della biodiversità, la situazione complessiva della sensibilizzazione del pubblico e la sua partecipazione». Insomma questa è la “gabbia” entro la quale i governi, non io o Mantovani, si trovano in questo momento di duplice crisi planetaria (ecologica ed economica) a decidere urgentemente le politiche di salvaguardia e gestione dell’ambiente, un recinto invalicabile di cui dovremmo tener conto anche nelle nostre ultra-periferiche discussioni elbane. A meno di non voler fermare il mondo per far scendere l’Elba. Vede, Mantovani, io credo che l’Elba debba liberarsi degli ibridi pelosi chiamati impropriamente cinghiali e ridurre fortemente i mufloni perché rendono impossibile il loro lavoro dei contadini e sterminano e danneggiano quella flora e quella fauna autoctona che il parco (ma anche chi ha davvero a cuore l’Elba) deve difendere come il nostro bene più prezioso; altri difendono il diritto dei cinghiali-maialati a vivere qui da noi per poterli sparacchiare con più facilità e non sembrano interessati se gli esseri che insieme a noi e prima di noi hanno abitato e reso magnifica questa isola spariscono per l’immissione irresponsabile di specie aliene ed invasive che inquinano, divorano e danneggiano questa nostra preziosa e delicata trama vivente che ha fatto dell’Elba un ambiente unico. La sfida vera che abbiamo davanti è quella tra un’isola “isolata”, artificializzata, indifferente alla complessità (pur vivendo col turismo una globalizzazione inarrestabile), e tra un’isola del mondo che è l’isola della biodiversità e del rispetto, della sostenibilità e dell’amore per la complessità che è anche bellezza e sostegno per il futuro dell'uomo, un’isola consapevole di essere un pezzo prezioso, unico e importante del grande puzzle che forma il pianeta.
Umberto Mazzantini n.