C’è una cruda espressione elbana che suona: “Se fossimo e se avessimo era il patrimonio dei coglioni” che va tenuta sempre presente anche quando si ragiona di politica. Tuttavia è impossibile a bocce ferme, dopo le elezioni non fare una ipotesi: cosa sarebbe accaduto se il PD non avesse fatto l’ultimo dei suoi patti con Belzebù “alla ricerca del bipartitismo perduto” (dopo la sciagurata serie di quelli che condussero alla caduta di Prodi, e alla campagna elettorale “inglese” dell’evanescente Veltroni ) regalandoci lo sbarramento al 4% delle europee. Sarebbe accaduto che oggi commenteremmo un risultato sostanzialmente e politicamente diverso, sarebbe accaduto che il centrosinistra nel suo complesso non avrebbe perso un solo seggio europeo, anzi probabilmente ne avrebbe guadagnato qualcuno, perché quelli persi dal PD sarebbero stati recuperati (con gli interessi) da Rifondazione, Sinistra e Libertà e Radicali e che la constatazione che la marcia trionfale del Cavaliere era interrotta e ripiegante sarebbe emersa come reale dato politico della consultazione. Ciò premesso è d’obbligo un altro ragionamento: Di Pietro è stato definito “il vero vincitore con la Lega” delle elezioni europee, tanto che si propone come nuovo asse baricentrico del centrosinistra, eppure i suffragi complessivamente raccolti dai dipietristi sono stati in numero inferiori a quelli ottenuti dai due partiti della sinistra antagonista e dai radicali. Ma quello che veramente indispone (lo abbiamo sentito ripetere fino alla noia in queste ore) è che potenzialmente, partendo dalle analisi comuni sui bisogni dei cittadini, e sulle necessità comunemente acclarate di difendere le libertà civili dall’attacco dello “stalinismo” di Berlusconi e dei suoi esecutori, sarebbe stato possibile creare un cartello di sinistra con un programma comprendente molti più capitoli di quanti ne possa scrivere Di Pietro. Come dire che il problema della sinistra radicale-ambientalista (che poi in Italia si definisce talvolta radicale ed ambientalista chi fa delle scelte da democristiano tedesco) non è quello della mancanza di un elettorato, ma quello di esprimere una leadership di rissosa, settaria, incapace fino alla masochistica imbecillità. Mai come in questo momento c’è stata a sinistra una necessità di unità che cresca sul quotidiano e dal basso. Ma ragioniamo un po’ oltre che sui principi anche sul dato elbano (nella fattispecie quello portoferraiese) e sulle sue conseguenze. A Portoferraio è accaduto qualcosa di traumatico: una somma di eventi e fattori politici pregressi sui quali non stiamo a disquisire, ha condotto Rifondazione a correre da sola per le elezioni e la situazione contingente creatasi, con la paura di una rivincita della destra ha determinato una situazione tale che per una manciata (10 se non sbagliamo i conti) di voti dopo moltissimi anni esca dal consiglio comunale un soggetto politico strutturato e significativo, con legami con il territorio storici e culturali non indifferenti. Ed è accaduto contemporaneamente che l’altra anima della sinistra portoferraiese (quella che si riconosce in Sinistra e Libertà) abbia fornito alla vittoria di Peria un contributo, numeri alla mano, rilevante. Ovvio che così stando le cose gli eletti di Sinistra e Libertà dovranno “riscuotere” una visibilità commisurata al ruolo di seconda forza politica dell’alleanza, ma il punto è pure che quanto si è determinato li carica di una responsabilità ulteriore. Non si tratta, sia chiaro, di rappresentare chi non c’è, di svolgere una funzione suppletiva di una forza politica assente, ma di tenere conto delle istanze e dei bisogni espressi da tutta una fascia di popolazione che è nella realtà più omogenea dei suoi rappresentanti istituzionali. Soprattutto però oltre che nei consigli comunali la sinistra deve tornare a far politica con la gente e tra la gente, individuando alcune linee guida di confronto su temi concreti quali la partita dei servizi alla persona e dei trasporti, del turismo e dell’occupazione, della salvaguardia ambientale e delle politiche idriche e dei rifiuti, dell’istruzione e della pianificazione territoriale, della rete distributiva e della eterna “semplificazione istituzionale. Se la sinistra non sa dire come Brecht ai cittadini “punta col dito, chiedi: questo cos’è? perché sei tu che devi pagare il conto” se la “partecipazione” non cessa di considerarla un concetto astratto, se non riconduce all’impegno personale (magari con nuovi mezzi e in nuove forme) politico la cittadinanza, allora la sua partita è persa in partenza.
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