L’unghiata del fuoco ha scavato una buca nera e puzzolente accanto alla torre di San Giovanni, ma è una mano scura ed aperta quella che sale da San Piero verso la cima dell’Elba, con dita calde ed immonde che si spingono lungo la pineta, per cercare di afferrare Monte Perone. Ed il palmo della mano è un immenso pugno pesante che ha annerito su, fino alla montagna, incenerendo tutto e poi è sdrucciolato verso il mare in una valanga di fuoco. Nella pineta delle Piane al Canale sta cadendo una strana neve primaverile, milioni di frammenti di un verde tenero, alieno e fosforescente, che coprono la cenere grigia: l’agonia delle robinie che si spogliano delle foglie per riuscire a sopravvivere su un terreno che scotta, brucia, fuma e vomita ancora scintille. Di qui, si vede, è passato un drago, un drago nero, veloce e fumante, un’oscena bestia paziente che ha arrostito tutto con un volo radente, da corvo e da avvoltoio, pesante, portato dal vento. Un drago infernale, trascinato al guinzaglio dell’odio, un mostro che con una scrollata del capo strappa la catena più grande e va dove vuole. Quel che rimane è cenere che raffredda piano, alberi strinati dal fuoco e dal sale, monconi fumanti ed una oscura, immonda materia che sembra respirare, un’impalpabile sostanza che pulsa di calore e di polvere puzzolente di legno ed animali inceneriti. Ma più in là, sotto le creste dentate del Capanne, nelle valli strette sconosciute ai sentieri dove si nascondevano mufloni e cinghiali, lungo i millenari passaggi delle martore scure che attraversano il crepuscolo dell’isola come frecce feroci, dove striscia e sibila la vipera più segreta, lì non è rimasto nulla. Solo qualche falco inchiodato nel cielo alla ricerca di serpenti sopravvissuti, la picchiata impietosa di un gheppio ad artigliare un ramarro troppo verde, il rumore di acqua che corre tra felci polverizzate e i ricordi di ginestre scomparse, un liquido, bollente funerale fangoso per raganelle ed insetti che non canteranno più. E poi niente, nemmeno le rondini in alto, scappate anche loro, migrate altrove, dove l’uomo non ha ancora portato il drago nero a guinzaglio. Non c’è più rifugio e cibo, spariti i nidi e le tane visitate dal respiro del fuoco, inceneriti gli ontani giganteschi che scendevano in verde processione lungo il fosso dell’Inferno, che proteggevano felci ed animali sotto un’ombra antica e sicura. Uccisi i castagni centenari di Valle Grande che ricordavano ancora farina e fame di cavatori. Sconciate ed imbrattate le memorie etrusche, i caprili di pastori solitari e superstiziosi, cotta la terra e le tombe degli antichi padroni di un’isola persa nel tempo, coperti dalla cenere i pesci cristiani e i remoti ricordi spezzati di chi credeva che la Grande Madre governasse il fulmine e il tuono e fosse lo spirito benevolo e terribile che parlava ogni giorno con il sole e la luna, le piante e gli animali. Questo ci hanno lasciato i codardi ammaestratori degli artigli del drago: un deserto di cenere, un velo nero di morte, il lezzo freddo di milioni di vite carbonizzate, la desolazione più scura attraversata dalle strade chiare e sabbiose lungo cui camminavamo alla ricerca della bellezza, del lampo di un animale in fuga, del fiore di un giorno, di un serpente silenzioso e veloce, dell’arcobaleno di un Gruccione, di un ruscello di acqua fredda, di un masso appoggiato su un cielo trasparente da cui guardare la bellezza, la trama segreta di un arcipelago seminato nel mare luccicante, un profumo di Mediterraneo che brulicava del ronzio della vita nascosta. Un pugno di imperdonabili ladri ci ha tolto la bellezza più inconsapevole, la perfezione più caotica, la pace più innocente, la parte più segreta e selvatica della nostra anima elbana. Questo ci hanno lasciato, e per questo non c’è perdono.
Incendio gentini 710 5
perone animale ?