Nonostante tutte le aperture di credito che si debbono a tutti i nuovi esecutivi, nonostante la crisi economica sia dura e costringa a provvedimenti originali per “non mettere le mani nelle tasche degli italiani”, nonostante tutte le attenuanti generiche si vogliano considerare, questo governo rischia di passare alle cronache come il più dannoso di sempre per l’ambiente del nostro paese. E’ vero, ci sono stati i governi democristiani responsabili del sacco delle città d’arte d’Italia (Roma in particolare), quelli dei grandi insediamenti industriali in aree di pregio, i governi a partecipazione socialista responsabili di corruzioni che hanno avuto come vittima l’ambiente e perfino le amministrazioni di centro-sinistra che hanno avuto grosse responsabilità in piani regolatori faraonici o nel non arrestare l’abusivismo. Ma quello che sta succedendo con questa maggioranza sembra davvero mostrare pochi confronti con il passato. Consumo di territorio, grandi opere inutili, energia nucleare, parchi e aree protette e nuova legislazione sulla caccia sono i parametri più preoccupanti. Invece di scegliere decisamente la strada delle energie rinnovabili, della maggior efficienza e del risparmio il governo prende quella vecchia e senza sbocchi del nucleare. Come se entrando in un negozio volessimo acquistare una radio a valvole o volessimo fare il pieno con benzina arricchita in piombo tetraetile. L’uranio è un combustibile fossile (come gli idrocarburi e il carbone) e si esaurirà in un tempo non lunghissimo (meno di mezzo secolo), suscettibile di essere considerevolmente ridotto, come è intuibile, se ne aumenterà l’utilizzo. Inoltre produce scorie radioattive che rimangono potenzialmente pericolose per migliaia di anni: come si fa a paragonarlo al sole o al vento ? Questa strada non avrà alcun risultato nella lotta al cambiamento climatico e aumenterà solo la dipendenza del Paese dai combustibili fossili (seppure nucleari) di cui, come si dovrebbe sapere, non possediamo alcun giacimento. Impiantare una centrale nucleare richiede oggi circa 4 miliardi di euro, e il costo vero del kWh ottenuto per questa via potrà essere calcolato solo quando il primo rifiuto della centrale più vecchia sarà diventato inattivo, cioè fra oltre diecimila anni. Inoltre, con l’emergenza clima alle porte e gli accordi internazionali che impongono obblighi e tempi, non sembra una risoluzione sensata quella di affidarsi a reattori che saranno realizzati non prima di dieci anni. La ricerca per l'energia nucleare ha già bruciato il 90% delle spese destinate a quella su fonti energetiche alternative ai combustibili fossili. Non più dipendenti solo dal punto di vista delle fonti energetiche, ma anche da quello tecnologico: questo il risultato dell'accordo italo francese sul nucleare annunciato oggi. A pagare, in tutti i sensi, saranno i cittadini-contribuenti, che vedranno lo Stato sostenere coi loro soldi una scelta che li penalizzerà sotto il profilo della dipendenza energetica e tecnologica e non consentirà al nostro Paese, ancora per decenni, di attrezzarsi davvero per la lotta contro la CO2 e i cambiamenti del clima. L'Italia, in sostanza, dipenderà dalla Francia anche dal punto di vista tecnologico, e questo nonostante la precedente fallimentare esperienza del reattore Superphoenix, alla fine chiuso per manifesta inefficienza. Il progetto EPR in Finlandia già mostra enormi problemi dal punto di vista della realizzazione e della sicurezza. Il nucleare in Italia ha problemi enormi di localizzazione, essendo un territorio fortemente sismico, pervaso dal dissesto idrogeologico e con spazi fluviali ancor più ridotti e prosciugati per buona parte dell'anno (fenomeno che aumenterà con l'acutizzarsi degli effetti dei cambiamenti climatici). Il nucleare offre un modestissimo contributo al fabbisogno energetico mondiale. Si parla di circa 6,5%, ma questo dato è già sovradimensionato. Il reale contributo del nucleare è addirittura inferiore a quello dell' idroelettrico (secondo la IEA nel 2006 la produzione idroelettrica ammontava a 3.121 TWh contro i 2.793 TWh del nucleare). Secondo l’agenzia Moody’s, la realizzazione di nuovi impianti nucleari avrebbe costi molto superiori ai 7.000 dollari a kW installato. Come se non bastasse Moody’s afferma che i costi del kWh nucleare saranno destinati a crescere con un ritmo del 7% annuo e questo comporterebbe un raddoppio del costo del kWh nell’arco del prossimo decennio. Così le bollette degli italiani aumenteranno, senza peraltro migliorare la sicurezza energetica del nostro Paese che continuerà a dipendere dai combustibili fossili per i trasporti, il riscaldamento degli edifici e tutto il resto. Il nucleare, infatti, serve solo, e a caro prezzo, a produrre energia elettrica ma nel nostro paese (come la maggior parte dei paesi) l’energia elettrica è meno di ¼ dell’energia complessivamente impiegata. Il caso della centrale finlandese di Olkiluoto. Questo caso sta diventando paradigmatico della dubbia sostenibilità economica degli investimenti nucleari, a causa di ritardi nella costruzione, aumento dei costi e utilizzo inefficace dei sussidi pubblici. Essendo il primo reattore costruito nel mercato liberalizzato europeo dell'energia, nel 2005 quando la costruzione iniziò fu descritto come una prova che l'industria nucleare può competere in questo nuovo mercato in seguito ai miglioramenti tecnologici avvenuti. Per ridurre i rischi per l'acquirente - l'utility finlandese TVO - la società franco-tedesca Areva ha siglato un accordo chiavi in mano a prezzo fisso per la nuova centrale, a prescindere dall'ammontare finale delle spese effettive per il costruttore. Inoltre, l'accordo prevede una multa di 0,2% del costo per ogni settimana di ritardo rispetto alla consegna alla prima criticità prevista entro 48 mesi dalla posa della prima pietra. Le condizioni favorevoli previste dall'accordo avevano l'obiettivo di dimostrare la competitività dell'"affare" rispetto alle altre opzioni sul mercato. Già nel primo anno si sono verificati una serie di problemi tecnici e ritardi nella costruzione, resi poi pubblici dall'ente regolatore dell'energia della Finlandia. Dopo 16 mesi di lavori il progetto aveva accumulato un ritardo di ben 18 mesi, con un aumento dei costi stimato in circa 700 milioni di Euro. Va aggiunto che già nel 2006 in seguito agli anticipi effettuati Areva ha registrato una perdita di 300 milioni di Euro. Va notato che la Bayerische Landesbank che ha guidato un syndicated loan di 1,95 miliardi di Euro per il progetto - che copre il 60 per cento dei costi - ha applicato tassi estremamente vantaggiosi del 2,6 %. Inoltre le agenzie di credito all'esportazione Coface e SEK hanno garantito operazioni di Areva per 720 milioni di Euro. Ciononostante il progetto potrebbe causare una forte perdita per Areva ed in prospettiva anche per l'utility finlandese. La DG Competition della Commissione Europea ha anche indagato sulle particolari condizioni concesse da queste agenzie ad Areva e sulla possibile violazione dei principi di concorrenza nel mercato europeo. E' chiaro quindi che il progetto Olkiluoto emerge come un sonoro fallimento che mostra la palese incapacità dell'industria nucleare di competere in mercato liberalizzato dell'energia quale è quello europeo oggi, anche se si tratta di progetti in via di realizzazione in condizioni ottimali e in paesi molto avanzati sia dal punto di vista economico che in materia di regolamentazioni e sicurezza. E non parliamo qui del problema irrisolto delle scorie e degli incidenti possibili.
tozzi mario bar roma