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Controcopertina: Bilancio critico di Gragnoli sull'esperienza di Portoferraio Domani

Scritto da : Sergio Rossi
Pubblicato in data : mercoledì, 25 marzo 2009

Cari amici dell’Isola e la Città, in un recente articolo di “Elbareport” sul “bolleggiume” portoferraiese si accenna allo scontento del Laboratorio “l’Isola e la Città” riguardo al programma che l’Amministrazione Peria starebbe preparando per candidarsi a una conferma; e si indica come punto critico “la politica urbanistica cittadina, vale a dire la questione delle aree portuali”. In realtà, a mio avviso, i punti critici sono più d’uno; o, se si vuole, il vero punto critico è la concezione generale della politica, che per ciò che mi concerne si muove su piani diversi rispetto al PD, ma anche rispetto alla Sinistra Democratica, ai Verdi, e anche al Partito della Rifondazione Comunista. L’esperienza maturata nel quinquennio amministrativo che ora si chiude ha resa chiara la differenza che già la forma organizzativa del nostro gruppo rappresentava: non un partito, non un gruppo portatore di (legittimi) interessi di ceti o di classi, ma un’istanza etica, cioè civile e politica, intesa a modificare la realtà consolidata dalla “tradizione” dei partiti politici, dalle mediazioni, dagli scontri di ideologie tendenzialmente immobili, dalle bandiere e dalle “storie”. Per quella tradizione abbiamo sempre avuto il massimo rispetto, ma non ci interessa entrare in concorrenza con nessuno dei già numerosi appartenenti, e non corrisponde al nostro modo di vedere il futuro. E la forma di “gruppo” più o meno spontaneo non prevede leadership: ognuno contribuisce come può, ma rappresenta fondamentalmente se stesso. Per questo le presenti considerazioni non sono la voce de “l’Isola, la Città”, ma quelle di uno degli appartenenti al gruppo, che vuole contribuire per il futuro, e finché sarà possibile e utile, a sviluppare l’idea originaria di una “forza di trasformazione” della politica cittadina; il che è ovviamente contrario all’idea di un qualunque consolidamento, di una qualunque “conferma”: appunto, un “movimento”. Ho fatto parte dell’Amministrazione come Consigliere Comunale di una maggioranza che originariamente rappresentava il progetto audace di unità di tradizioni differenti e poteva costituirne il superamento: l’esperimento non è riuscito; e senza escludere responsabilità anche di persone, l’impressione che ne ho ricavato è quella di una rivincita del “vecchio” che si voleva superare, di un ritorno ai propri orti e orticelli, con le lacerazioni che sempre si manifestano quando si vanno a segnare dei “confini”. Ho così accompagnato fino alla conclusione l’esperienza amministrativa di Roberto Peria, lealmente dandogli l’appoggio promesso e significandogli i punti, non pochi, di distinzione. Ma ora so con certezza che questo modo di far politica non mi interessa. La mia riflessione in questo momento mi porta a ricercare percorsi diversi: il piano urbanistico, che per la parte relativa al cosiddetto Water-Front presenta aspetti assai discutibili, ha il suo difetto maggiore (e grave) nel non nascere da un progetto complessivo per il futuro della Città e dell’Isola, ma dal volere costituire un punto separato, una “sistemazione”, un tassello in assenza dell’impianto d’insieme. L’urbanistica, come insegnano quelli che sanno, è un progetto di vita non un “piano regolatore”, un “piano di fabbricazione”, un’occasione economica. Chi proponga oggi (nel mezzo di una crisi destinata a sconvolgere tutti gli equilibri economici, ecologici e culturali degli ultimi cento anni) un’idea di sviluppo pensata anche solo un anno fa, mostra una fondamentale estraneità alla realtà nella quale è immerso, o una visione talmente ristretta da perdere i contorni dell’insieme. La frontiera della sopravvivenza è nel mantenimento della qualità dell’ambiente nel quale viviamo: lo hanno detto finora alcuni profeti, mentre i più propugnavano lo sviluppo economico senza limiti. Oggi le cose si stanno chiarendo, e tra i profeti si è affacciato anche il nuovo presidente degli USA. Non vi è dubbio che ci troviamo davanti a una vera e propria rivoluzione, e si impone la scelta radicale di stare da una parte o dall’altra, perché in relazione a questa scelta si fanno da ora in poi i programmi. Bisogna partire da una proiezione nei prossimi venti-trenta anni, cercare di capire ora cosa potrà succedere, predisporre ora gli “strumenti” per governare realtà nuove. Il modello economico che ha guidato le politiche nazionali e locali si è basato sulla rendita fondiaria prima e capitalistica poi. Dalla grande crisi economica del 1929 si è usciti con l’economia resa possibile (e necessaria) dalla guerra: armamenti e ricostruzione. La ricostruzione ha comportato un uso del territorio ai limiti della sostenibilità; il proseguimento della politica del costruire per costituire la rendita degli affitti e poi, col benessere, delle seconde case (di vacanza) ha proseguito nel “consumo” della terra disponibile, innescando un processo difficilmente riconvertibile della attività edilizia, che sconta ora la difficoltà di trovare nuovi spazi e nuovo mercato. Il rischio grave è che l’emergenza suggerisca, come mostra il provvedimento legislativo allo studio del Governo, di ricorrere nuovamente alla “risorsa” dell’edilizia, magari assistita, come se i danni prodotti da una scelta analoga da parte di Bush nei primi anni Duemila non avesse insegnato nulla, e non ci trovassimo oggi nella condizione in cui siamo proprio in forza del nodo giunto al pettine di una “bolla speculativa” delle nuove case e dei relativi mutui. Bisogna capire bene che l’economia basata sull’edilizia non paga, e divora se stessa. Che l’economia del costruire e dell’affittare, anche da noi, è un’economia sbagliata e pericolosa, perché consuma l’unica vera nostra ricchezza, che è la qualità del territorio. Bisogna capire, per quanto ci riguarda più da vicino, che è urgente passare da un’economia della rendita (che funziona solo per livelli alti di ricchezza concentrati nelle mani di pochi) a una economia dei servizi e della qualità della vita. Bisogna capire che è suicida investire in ciò che esaurisce le disponibilità naturali, e spostare l’investimento sulla cultura, sulla professionalità, sulla conoscenza, sulla tecnologia. Bisogna capire che per questo è necessario un ricambio radicale del personale dirigente a tutti i livelli, della politica e dell’impresa, della scuola e delle professioni. Bisogna trovare persone in grado di pensare in grande e di guardare lontano. A questo riguardo gli ultimi cinque anni, che pur hanno conseguito importanti risultati “restaurativi”, sono stati cinque anni persi. I prossimi cinque rischiano di esserlo ugualmente, e il rischio è reale e grave. A me non interessa investire tempo ed energie in qualcosa che appartiene al mio passato, ma non mi fa intravedere alcun futuro per quest’isola e le persone che la abitano e la abiteranno. Non intendo affatto però ritirarmi nel mio orto. Mi dedicherò, con tutti coloro che condividono o condivideranno questa prospettiva (soprattutto con quelli che hanno venti, trent’anni), a creare il progetto nuovo che si comincia a intravedere, a sentire in giro. Nel campo delle energie rinnovabili, nel campo dell’autonomia dei servizi per la comunità, nel campo di uno sviluppo turistico che coniughi qualità, professionalità dei servizi, e progressivo decremento dell’occupazione del territorio sia dei residenti (decremento dell’edilizia), sia dei turisti, che siano meno numerosi e più consapevoli della bellezza naturale e della qualità culturale che possiamo offrire. Per quel che mi riguarda non si tratta affatto di “mal di pancia”, come dice Sergio. E come vedete, qualunque cosa sia, mi pare difficile che a poterla curare sia “il resto della coalizione” con il suo attuale programma.


Gragnoli andrea testina rett

Gragnoli andrea testina rett