Nonostante tutte le aperture di credito che si debbono a tutti i nuovi esecutivi, nonostante la crisi economica sia dura e costringa a provvedimenti originali per “non mettere le mani nelle tasche degli italiani”, nonostante tutte le attenuanti generiche si vogliano considerare, questo governo rischia di passare alle cronache come il più dannoso di sempre per l’ambiente del nostro paese. E’ vero, ci sono stati i governi democristiani responsabili del sacco delle città d’arte d’Italia (Roma in particolare), quelli dei grandi insediamenti industriali in aree di pregio, i governi a partecipazione socialista responsabili di corruzioni che hanno avuto come vittima l’ambiente e perfino le amministrazioni di centro-sinistra che hanno avuto grosse responsabilità in piani regolatori faraonici o nel non arrestare l’abusivismo. Ma quello che sta succedendo con questa maggioranza sembra davvero mostrare pochi confronti con il passato. Consumo di territorio, grandi opere inutili, energia nucleare, parchi e aree protette e nuova legislazione sulla caccia sono i parametri più preoccupanti. Consumo del territorio Il piano casa del governo è, sostanzialmente, un condono edilizio mascherato da provvedimento a favore dell’economia. Legare i movimenti economici all’edilizia è un vizio tutto italiano che non ha nessuna ragione di esistere in un paese già così gravemente costruito come il nostro. Ogni secondo che passa in Italia un metro quadrato di territorio viene ricoperto di cemento per un totale di circa 150.000 ettari di cemento e asfalto all’anno. Tutto questo in un paese con una densità di popolazione elevata che non tiene conto del fatto che solo una parte della nazione può effettivamente essere abitata (dobbiamo scartare per esempio le zone di alta montagna e le aree protette). Sono centinaia di migliaia le abitazioni costruite subito dopo l’annuncio degli ultimi condoni e altrettanti sarebbero gli interventi dopo questo. In un paese a crescita zero (e in calo demografico da vent’anni) è singolare l’interesse che si riscontra per “la camera per il figlio in più”: secondo lo stesso criterio si dovrebbere eliminare un vano ogni volta che muore qualcuno, a meno di non voler assomigliare alle devastanti costruzioni degli Amish statunitensi, che crescono per i figli, ma almeno in un territorio sconfinato. Si tratta di un’operazione al buio, con il rischio di un processo edificatorio che porta ad una nuova occupazione di suoli liberi, sebbene nessuno conosca ancora quanti siano da un lato le cubature residuali dei vari piani regolatori e dall'altro quante siano le cubature abusive ancora soggette a centinaia di migliaia di domande di condono delle quali alcune risalenti ancora al 1985. Si tratta poi di una mina vagante per i piani paesaggistici regionali, attualmente ancora in corso in tutte le regioni italiane, capace di stravolgere ulteriormente i già faticosi processi di pianificazione territoriale; inoltre le stesse aree Parco rischiano di essere travolte dopo anni in cui gli enti hanno rappresentato l'unico argine all'espansione edilizia indiscriminata in zone spesso tutelate anche da vincoli internazionali. Così facendo l'infinita polverizzazione edificatoria che ha travolto coste e campagne, vallate e borghi storici rischia di aumentare. In Lombardia la superficie urbanizzata ha raggiunto il 10% del territorio negli ultimi 15 anni. Non vanno molto meglio regioni come il Veneto e Liguria dove la superficie impermeabilizzata da cemento e asfalto è sempre più alta. Secondo i censimenti agricoli del 1950 e del 2005 mancano oggi all'appello più di 3,5 milioni di ettari di superficie libera da infrastrutture e costruzioni: un territorio più grande dell' Abruzzo e del Lazio messi insieme. Solo nel Molise, una delle regioni più piccole e demograficamente stabili, l'urbanizzazione è cresciuta di oltre il 500% negli ultimi 50 anni, dai 2.300 ettari del 1956 agli oltre 12.000 del 2006. Gli effetti negativi sono molto chiari: scriteriata impermealizzazione dei suoli (già molto consistente); modificazioni climatiche localizzate; distruzione e frammentazione degli habitat di specie di importanza planetaria; alterazione degli assetti idraulici superficiali e sotterranei; riduzione dell'estensione e della capacità produttiva agricola. Soltanto negli ultimi 15 anni circa tre milioni di ettari, un tempo agricoli, sono stati asfaltati e/o cementificati. Questo consumo di suolo sovente si è trasformato in puro spreco, con decine di migliaia di capannoni vuoti e 25 milioni di vani sfitti: suolo sottratto all'agricoltura, terreno che ha cessato di produrre vera ricchezza. La sua cementificazione riscalda il pianeta, pone problemi crescenti al rifornimento delle falde idriche e non reca più alcun beneficio, né sull'occupazione né sulla qualità della vita dei cittadini. Questa crescita senza limiti considera il territorio una risorsa inesauribile, in un meccanismo deleterio che permette la svendita di un patrimonio collettivo ed esauribile come il suolo, per finanziare i servizi pubblici ai cittadini (monetizzazione del territorio). Di più: in molti casi le nuove costruzioni hanno impegnato aree che dovevano essere lasciate libere perché a rischio naturale elevato, come è il caso delle abitazioni abusive costruite alle pendici del Vesuvio, nella zona rossa di Sarno, lungo le coste tirreniche a rischio tsunami e ovunque ci siano vecchie frane o corsi fluviali che possono esondare. Ma l’Italia di oggi non è sensibile ai problemi ambientali, meno che meno quando comportano regole e vincoli, e quello che era il giardino d’Europa sta per diventarne il cortile. L’esempio della Sardegna è illuminante: il programma di governo di Renato Soru è stato il primo a mettere l’ambiente al centro dell’azione di governo: da un lato allo scopo di respingere gli attacchi della speculazione edilizia sulle coste sarde (per esempio contro il paventato master plan Costa Smeralda 2), e più in generale, contro l’alluvione di cemento che era stata già tentata dalle precedenti giunte. Dall’altro per la conservazione e la tutela del paesaggio primordiale sardo, attraverso un piano paesistico che non permette, fra l’altro, costruzioni nuove neanche in campagna se non si hanno più di 5 ettari a disposizione: come a dire che si tende a conservare valori e paesaggi atavici nella loro destinazione originaria. Peraltro proprio su questo punto la giunta Soru è caduta a causa delle perplessità di una parte del centro sinistra locale che, ancora una volta, si è trovato a combattere una battaglia di retroguardia rispetto alle visioni ambientali del presidente imprenditore (come questa logica tafazziana abbia preso piede anche in Sardegna, dove la giunta ha sperperato la larga popolarità di cui godeva e aveva un programma ambientale di primissimo piano, resta un mistero legato allo scarso calibro di alcuni politici locali). I sardi sapevano bene cosa, invece, proponeva l’altra parte politica: prima di tutto, il ritorno dell’assalto alle coste, tentato attraverso un referendum per abolire la legge salvacoste disertato dalla popolazione (solo il 20% dei votanti), e costato 9 milioni di euro che avrebbero potuto trovare una migliore destinazione. Nel corso della sua gestione Soru ha difeso le coste non permettendo di costruire a meno di 2000 metri dal mare e tutelato la memoria della Sardegna primordiale. Seppellita dai dati istat, che certificano il turismo nell’isola essere in aumento, l’accusa che quelle leggi deprimessero l’economia sarda, Soru è stato comunque sconfitto e orizzonti foschi si presentano per l’ambiente isolano. E non solo per la Sardegna.
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