Cracovia (Polonia) «Il pericolo maggiore era quello di perdere la dignità». Dall’enorme schermo del cinema di Cracovia gremito di studenti e insegnanti, Piero Terracina, intervistato dallo storico Giovanni Gozzini, racconta la sua storia di deportato. L’intervista apre l’incontro tra i sopravvissuti dei campi di sterminio e i ragazzi, che ha concluso la giornata di ieri, al ritorno dalla visita di Auschwitz I. Un incontro, introdotto da Ugo Caffaz e condotto da Giovanni Gozzini, che ha toccato momenti di grande intensità e profonda commozione. Le prime a parlare sono le due sorelle Andra e Tatiana Bucci, le due italiane più giovani sopravvissute ai campi di sterminio, deportate ad Auschwitz da Fiume all’età di 4 e 6 anni. «Quando siamo state separate dalla mamma e messe in una baracca di bambini, lì è cominciata un’altra vit a. Tanto che dopo un po’ trovavamo normale quella vita là, la morte, il camino, le fiamme, il fumo. Sapevamo che molti di noi passavano da lì. Giocavamo intorno ai cumuli di cadaveri. Un giorno la mamma non venne più a trovarci, e pensammo che fosse morta. Credo di non aver provato neanche dolore. Dovevamo continuare a vivere». Aveva invece 15 anni Marcello Martini, toscano, portato a Mauthausen perché attivista politico. «In Germania c’erano 1.632 campi: una macchina perfetta che funzionava a tutto regime. E nei campi non c’erano solo ebrei. Se sono 6 milioni gli ebrei sterminati, altrettanti sono i non ebrei. I deportati politici furono 40.000». E ne aveva 17 Maria Rudolf, quando decise «di collaborare con la Resistenza senza neanche chiedere il permesso alla mamma. Facevo la staffetta, portavo le lettere, fui arrestata per una spiata. Sei giorni dentro un carro bestiame, quando arrivai ad Auschwitz rimasi di stucco. Ci sono rimasta ‘solo’ 40 giorni, ma furono sufficienti per vedere tutti gli orrori: la fame terribile, l’odore di carne bruciata, i pidocchi, le umiliazioni, il terrore quando facevano le selezioni: dovevano spogliarci per vedere in che condizioni eravamo e decidere se tenerci in vita per farci lavorare o eliminarci». Non solo ebrei, e non solo deportati politici, nei campi di sterminio. Per ricordare le altre vittime, parlano Demir Mustafà, il rappresentante della comunità rom di Firenze («nei campi sono stati sterminati 500.000 rom, ma la persecuzione dei rom non è mai finita, continua ancora»), e Davide Buzzetti, di Arcigay («200.000 omosessuali uccisi nei campi nazisti. E chi è tornato a casa, aveva paura a parlare. Per molti anni è calato il silenzio su questa tragedia nella tragedia»). Tomas Boeler, diciannovenne di Ebensee, Austria, dov’era u n campo nazista, fa servizio civile al Museo della Deportazione di Figline di Prato. L’ultimo a parlare, a nome degli studenti, è Luigi Cino, presidente del Parlamento degli studenti della Toscana: «Tutto quello che abbiamo visto rimarrà per sempre nella nostra memoria e nella nostra vita».
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