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Controcopertina: Nel giorno della Memoria

Scritto da : Sergio Rossi
Pubblicato in data : martedì, 27 gennaio 2009

DALLA POLONIA SCRIVONO I RAGAZZI IN VISITA AL CAMPO DELLA SHOA Dalla Polonia (Cracovia)Troviamo un momento, mentre siamo in albergo a Cracovia, per esprimere la nostra gratitudine all'Isis Foresi, alla Provincia di Livorno e alla Regione Toscana per averci consenito di partecipare al Treno della Memoria.Dopo 20 ore di viaggio in treno, nella mattina di lunedi' siamo giunti ad Oswiecim (Auschwitz). Subito abbiamo visitato "la fabbrica della morte", vale a dire il campo di sterminio di Birkenau, dove trovarono la morte un milione e mezzo di persone.Le guide ci hanno condotto tra le baracche e i viali fornendo approfondite spiegazioni e rispondendo alle nostre domande. Una semplice ma suggestiva cerimonia si e' svolta al monumento, dove hanno parlato Ugo Caffaz, dirigente della Regione, e l'assessore regionale alla pubblica istruzione Gianfranco Simoncini. Perticolarmente toccanti sono stati due momenti: la preghiera ebraica pronunciata da un rabbino e i 600 nomi di deportati detti al microfono da altrettanti studenti. Il dopo cena e' stato caratterizzato dalla partecipazione al concerto di musica Klezmer nella Sinagoga Tempel di Cracovia. Un modo per cogliere qualche aspetto della cultura ebraica. E nonostante la stanchezza accumulata durante il viaggio e la visita al campo, le due ore di musica hanno visto il coinvolgimento degli studenti e degli insegnanti che hanno accompagnato i musicisti.Nel corso della giornata abbiamo avuto modo di riflettere sulla tragicita' della Shoah, continuando nel percorso formativo svolto a Portoferraio con il nostro prof. Nunzio Marotti che ci sta accompagnando in questo viaggio.Ci fermiamo qui: e' notte, dobbiamo riposare perche' fra qualche ora dobbiamo riprendere la nostra visita al Museo di Auschwitz. Chiara, Davide, Gemma, Joy, Letizia, Marta (Isis "Foresi" di Portoferraio) IL RAZZISMO DI CASA NOSTRA E DI OGGI Un’indagine ha rivelato che olre il 40% degli italiani nutre sentimenti vagamente ostili nei confronti degli Ebrei; mentre il 12% è decisamente “razzista”, senza limitarsi per la verità alla “razza ebraica” ed estendendo il proprio sentire anche ad arabi, neri (anzi negri), slavi, zingari, e più generalmente non europei (nordamericani esclusi). I numeri sono allucinanti, ma utilmente confrontabili con quelli dell’analfabetismo di ritorno. Il confronto non consola per niente. Ma la confusione non si limita a espettorazioni più o meno controllate, cui partecipano ahimè anche belle anime della sinistra “filopalestinese”: l’analfabetismo non è esclusiva di nessun schieramento; la confusione trova alimento anche in coloro che condannano il razzismo antisemita, e che con le migliori intenzioni si condolgono per gli stupidi e violenti insulti “razzisti”. A me piacerebbe che qualcuno mi spiegasse che cosa vuol dire “razza”: in generale, ché già è difficile andare oltre alcuni caratteri somatici come il colore della pelle, la crescita o meno della barba, l’altezza o quant’altro; in particolare, per quanto riguarda gli “ebrei”, nei quali è difficilissimo individuare caratteri somatici peculiari. E si capisce bene, perché quel “popolo” che si riconosce come ebraico è formato da miscele di etnie diversissime realizzatesi nel corso dei secoli (a partire dalla cosiddetta “diaspora”). E’ dunque qui il nodo del problema. E non è da poco. Il 27 gennaio si celebra la giornata della memoria, nell’anniversario della liberazione del lager di Auschwitz da parte delle truppe dell’Unione Sovietica nel 1945. Perché non cominciamo a dire che il Nazismo ha trucidato nei campi di sterminio oltre sei milioni di “uomini”, e basta. E che la perversa “motivazione” secondo la quale appartenevano a razze “impure” –con netta prevalenza della impura “razza ebraica”– era solo pretestuosa, perché le motivazioni reali, ampiamente documentate, appartengono tutte alla storia di quegli anni e di quella società: la prima delle quali era la necessità di compattare l’opinione pubblica contro un nemico interno, e il suo essere indefinito e indefinibile (se non per una appartenenza culturale importante e una altrettanto importante appartenenza religiosa) lo rendeva facilmente proponibile come “il nemico”. Sei milioni di “uomini” uccisi non sono un dramma minore di sei milioni di “ebrei” uccisi. La motivazione abbietta riguarda gli assassini più che gli assassinati. La razza ebraica non esiste. Esiste la storia antica di un popolo che identificava se stesso come popolo di Dio, e questa storia lunga ha prodotto una cultura che ha permeato tutta la civiltà occidentale oltreché mediorientale; poi, da lungo tempo, la cultura ebraica ha percorso la strada della secolarizzazione come il cristianesimo –a differenza dell’Islam o delle religioni orientali–. Ma nessuno dirà che Roberto Baggio o Richard Gere è “uno sporco muso giallo”, neanche in un caratteristico film americano sulla guerra di indocina. Per quanto riguarda gli “ebrei”, sarebbe poi assai difficile rilevare delle differenze “razziali” dai “palestinesi”, mentre invece sussiste una differenza di cultura e di religione abbastanza marcata. E poi c’è un’altra bella differenza: gli “ebrei” hanno uno Stato, i “palestinesi” no. Anche qui, per la nascita dello Stato di Israele vi sono motivazioni storiche che spiegano tutto, e riguardano la storia degli ultimi sessanta anni (non certo quella millenaria, nella quale sarebbe impossibile ricostruire e semplicemente ridicolo voler ripristinare gli assetti dei diversi popoli). Non è il caso di ridiscutere quelle motivazioni, perché lo stato di fatto è irreversibile. Dunque esiste lo Stato di Israele e lo Stato Palestinese non è invece mai nato; e malgrado tutti dicano di volerlo, non riesce a nascere. Ci sarà pure un motivo. E’ difficile far sorgere uno Stato in quei luoghi: non ci sono risorse naturali, a cominciare dall’acqua; la terra è un deserto disperato; non c’è petrolio né altri minerali interessanti economicamente. E non ci sono mai stati, come non vi è mai esistita un’entità statale nel senso che noi intendiamo, perché certamente tale non poteva essere considerato l’Impero Ottomano. Israele però esiste, si dice; e costituisce un esempio straordinario di abnegazione l’aver strappato al deserto spazi irrigati e coltivati. Il fatto poi che produrre un limone a Israele costi venti volte di più del suo prezzo di vendita, e che questa differenza è colmata da aiuti internazionali e segnatamente americani, non toglie nulla a quella abnegazione; ma spiega perché non nasce lo Stato Palestinese. Cosa gli facciamo fare ai Palestinesi? Creiamo delle industrie, portando le materie prime e comprando i manufatti, con costi allucinanti? Creiamo un’economia dei servizi? Facciamo dei mercatini etnici? Eppure di denaro ai Palestinesi ne arriva tantissimo, perché sono sessanta anni che vivono senza avere industrie, senza produrre servizi, senza costituire un mercato; e comprando armi, e usandole e ricomprandole. Ma è molto più facile mandare soldi e lasciare che le cose vadano come vanno, inchiodando due popoli in un inferno nel quale bruciano immense ricchezze costretti a un tenore di vita inutilmente sacrificatissimo. Anche i siriani hanno uno Stato, ma hanno il Giordano e l’Oronte (almeno fino a quando i Turchi lasceranno che arrivi l’acqua), e sono passati gli inglesi e i francesi che hanno cambiato la cultura della popolazione originaria con i metodi garbati che conosciamo; e Sadat, che è venuto dopo, non è stato da meno, proseguendo nell’occidentalizzazione di una società la cui cultura ormai è stata praticamente distrutta. Già la Giordania sta parecchio peggio, malgrado gli aiuti dei Paesi Arabi che vi hanno dirottato i Palestinesi emigrati al tempo della fondazione di Israele, e pagano per loro ”la retta”. Del Libano basta guardare gli ultimi decenni di storia. Come sempre i problemi sono assai più complessi di quel che appaia quando si considerano senza considerare tutti gli aspetti, e con un’ottica molto casalinga che ignora storia, cultura e tradizioni degli altri. I campi di sterminio che commemoriamo il 27 gennaio restano la più grande tragedia del ‘Novecento. Ma sbaglieremmo se ci limitassimo alla condanna indispensabile di coloro che se ne macchiarono le mani; anche perché ormai stanno scomparendo tutti, e le nuove generazioni sono innocenti di tutto quel sangue versato. Ma la tragedia che si sta consumando dalla fine della II Guerra Mondiale a oggi nel Vicino Oriente non è da meno. E come ben si vede non importa invocare abbiette quanto vane motivazioni razziali per commettere olocausti. Si può anche, più tranquillamente, riempire di soldi tutti e lasciare che si scannino fra loro. Attendendo che un giorno qualcuno celebri un'altra commemorazione, di quando l’umanità, sarà liberata dal lager dell’ignoranza, dell’egoismo, della falsa coscienza di chi (noi) ha sacrificato alla propria pace una parte del mondo, del quale il Vicino Oriente non è che il Settentrione. Prof. Luigi Totaro A RIO ELBA UNO SPETTACOLO SUL LAGER DEI BAMBINI Nell’ambito delle iniziative del “ Giorno della Memoria” al Teatro Garibaldi, Giovedì 29 Gennaio alle ore 21,30 Ubaldo Pantani presenta: “Le parole della notte - Un commediante nel Ghetto di Terezin” di Fabrizio PARRINI Regia Simone Tamburini Tra il ’42 e il ’44 Terezin, vicino a Praga, diventò il ghetto dell’infanzia, una delle più mostruose invenzioni del nazismo, un’incacellabile vergogna della storia. Quindicimila bambini dai sette ai quindici anni furono strappati dalle loro case e costretti a vivere in un mondo terribile e brutale. Da Terezin, poi, questi ragazzi furono trasportiti ad Auschwitz e qui uccisi. A coloro che si opposero alle barbarie con la musica, con la parola, con il teatro è dedicato questo evento di musica e di versi. Il Comune di Rio nell’Elba vi invita a voler partecipare ricordando che lo spettacolo è a ingresso libero e gratuito. L’organizzazione è a cura dell’associazione musicale Amedeo Modigliani. Per info e contatti: Comune di Rio nell’Elba Ufficio Culura Tel. 0565 943428/0565 943459 E.mail- inforioelba@tiscali.it Comune di Rio nell’Elba "ZACHOR" UNA MOSTRA FOTOGRAFICA Un percorso di immagini attraverso i momenti più bui della nostra storia. A cura dell’Associazione SHALOM di Firenze In occasione della ricorrenza dedicata alla Giornata della Memoria (27 gennaio) l'amministrazione Comunale di Portoferraio ha deciso di realizzare la mostra fotografica Zachor (ricorda) che si svolgerà presso la Sala Espostiva Telemaco Signorini dal 2 all’8 febbraio La mostra è costituita da pannelli in modo da formare una “Menorah” (lampada/candelabro, letteralmente lume tradizionale ebraico, simbolo del popolo di Israele e oggi dello stato ebraico): l’uso della simbologia della “Menorah”, oltre ad un richiamo alla storia e alla cultura ebraica vuole ricordare lo sterminio ad opera della barbaria nazista. La mostra si avvale di fotografie provenienti dall’archivio del Museo Yad Vashem di Gerusalemme e del Holocaust Memorial Museum di Washington. E’ stata esposta in Europa, Israele e Stati Uniti ricevendo numerosi premi e riconoscimenti. La mostra sarà aperta con il seguente orario giorni feriali 16.00 - 19.00; domenica 11.00 - 13.00. La mattina sarà riservata e aperta alle scolaresche su prenotazione.


shoa baracca

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Nazi

Nazi

shoa bambini deportati

shoa bambini deportati

Candelabro ebraico

Candelabro ebraico