La contaminazione tra scienza, economia e politica che si è addensata intorno alla questione climatica fin dal primo rapporto Ipcc (1990) sta oggi mostrando i suoi frutti più avvelenati, in particolare sul cosiddetto web 2.0, cioè sui blog, sui forum, sui gruppi di discussione. Mentre la scienza peer-reviewed sembra ormai orientarsi sempre più verso una sostanziale coesione riguardo alla significatività del ruolo antropico nel surriscaldamento climatico, nel popolo del web interattivo la guerra tra i “negazionisti” e i cosiddetti “catastrofisti” sembra ormai senza quartiere. Il problema sta proprio nelle definizioni che ormai vengono adottate in via pressoché universale nelle discussioni: “catastrofista” è ormai chiamato non più, come fino a pochi anni fa, chi diffondeva allarmi insensati basati su una sostanziale ignoranza, come ad esempio chi (ed erano e sono tuttora molti) attribuiva ogni evento climatico intenso al global warming senza avere verificato una effettiva correlazione. “Catastrofista” non è più chi gridava allarmi climatici davanti ad ondate di caldo normali, a normali cicloni tropicali, a normali ondate di gelo invernale. Oggi è “catastrofista” l’Onu, l’Ipcc stesso, è catastrofista James Hansen, guida del centro studi Goddard della Nasa, è catastrofista Giampiero Maracchi, direttore dell’istituto Ibimet del Cnr, è catastrofista chiunque indichi, nelle ferventi discussioni in atto on-line, le conclusioni a cui la comunità scientifica sta giungendo con sempre maggiore unanimità. E’ “catastrofista” chiunque indichi variazioni nei sistemi fisici e biologici che non sono attribuibili a normali dinamiche evolutive ma che sono invece da ascrivere al Global warming: è “catastrofista”, in ultima analisi, chiunque evidenzi dinamiche correlate non al costante fenomeno naturale chiamato “riscaldamento globale” ma alla sua distorsione da parte antropica chiamata “surriscaldamento”. Sappiamo che il quarto rapporto Ipcc afferma che la probabilità che il ruolo dell’uomo nel Gw sia significativo (“significative ”, “discernible ”) va dal 66 al 90%. E conosciamo l’ampia varietà degli scenari proposti da esso per il 2100, scenari che vanno da un sopportabile +1,1 gradi rispetto al 1990 fino a un terrificante (e per fortuna molto ipotetico) scenario che prevede un incremento di 6,4 gradi. Scenari che vanno considerati «aleatori», lo ha detto lo stesso Maracchi nell’intervista rilasciata a greenreport il 2 maggio scorso chiarendo però che, «indipendentemente da quale sarà il futuro, ciò che è già successo è sufficiente per preoccuparsi» poiché gran parte dei «cambiamenti climatici dal 1990 in poi sono ascrivibili con certezza al ruolo umano, e la discussione verte solo su quanto l’uomo abbia influito e influisca». Eppure, avanzando queste considerazioni sul web 2.0, occorre solo aspettare qualche tempo, e presto giungerà implacabile l’accusa di... “catastrofismo”: chiunque ascriva, in tutto o in parte e citando dati scientifici su cui ormai il dibattito sta finendo e le certezze sono sempre maggiori, la minima colpa al ruolo umano nel Gw, compie una specie di peccato originale: l’uomo non vuole colpe, l’uomo non vuole limiti. Forse solo perchè ha paura che il suo sistema economico collassi (e, rapporto Stern a parte, è una preoccupazione in parte giustificata, se espressa in buona fede), o forse ha solo paura di assumersi le sue responsabilità, come un bambino che sostiene che quella macchia di cioccolato sul grembiule è comparsa per magia. E intanto, nessuna pubblicazione peer-reviewed potrà essere ritenuta superiore a una storiella inventata e diffusa da spin-doctors d’oltreoceano, nessun dato scientifico oggettivo potrà ricevere la considerazione che merita: come sempre, il web 2.0 è l’ideale luogo di incontro tra l’alchimista e lo scienziato, tra il luminare e il giovane desideroso di imparare, tra l’ignorante e il colto, che hanno sempre qualcosa da insegnarsi a vicenda. Ma come sempre, il tavolo di discussione si può trasformare nel supermarket delle posizioni opposte, dove nessuna verità può essere tale, perchè c’è sempre un link che dice il contrario. Riccardo Mostardini da www.greenreport.it
global warming panic