La due giorni organizzata dalla Regione e dalla Provincia per parlare di politiche ambientali si è conclusa con un clamoroso colpo di scena: la folta pattuglia di “visi pallidi” (assessori e tecnici fiorentini e livornesi in loden e incravattati) scesa baldanzosamente dalla nave con l'intento di insegnare agli isolani cafoni come si vive su un'isola si è dileguata precipitosamente spaventata dallo scirocco. L'annuncio dell'improvvisa interruzione dei lavori è stato dato col tono di chi, comunicando un’imminente pericolo, si preoccupa di non creare panico. Questo non ha però impedito nervosi movimenti alla ricerca di borse, sciarpe e uscite. I pochi elbani che erano ancora in sala e che osservavano ironici, avranno comunque avvertito un senso di solitudine. Si saranno anche chiesti come si sarebbero comportati questi eroi in caso di terremoto. L’ambientazione elbana di questo episodio è comunque perfetta: alcuni anni fa la cerimonia di fondazione del Made, movimento in difesa degli elbani, fu interrotta perché i partecipanti avevano freddo ai piedi. Eppure, i temi da trattare erano interessanti ed importanti perché, oltre a cercare di trovare un terreno comune di intesa su come sviluppare la nostra industria turistica senza rovinare l'ambiente, si trattava di capire, per esempio, perché i sindaci elbani, nei loro piani strutturali, hanno ignorato l'esistenza del Parco Nazionale; c'era da riflettere sul gravissimo problema della carenza idrica e, soprattutto, se questa debba essere utilizzata come uno strumento utile a limitare le presenze turistiche in alta stagione, come qualcuno ha detto; e anche se è giusto che l'isola d'Elba, oltre che colpita dalla crisi delle presenze, dal nubifragio, dall'ambientalismo fanatico, dal governo che non manda i soldi per la ricostruzione, debba adesso diventare addirittura terreno di sperimentazione per un nuovo modo di gestire il territorio: centinaia di aziende adesso sanno che c'è il rischio di essere utilizzati come cavie. Queste cose gravi, importanti o bizzarre ci sono state dette con un linguaggio circospetto, quello di chi va in casa d'altri e mentre spiega di andarci per aiutare teme di essere scambiato per colui che, in realtà, mira all'argenteria: tutti i relatori (nessuno escluso), infatti, si sono cautelati spiegando che comunque erano all'Elba per aiutare, ma che "l'Elba è degli elbani" (ci mancherebbe altro…). . E gli elbani presenti, insospettiti e diffidenti (come tutti gli isolani), capivano che quei signori in loden, quei “visi pallidi” scesi in riserva anche con il tempaccio non miravano all'argenteria, ma a gestire i miliardi della ricostruzione, semmai arriveranno (molto “semmai”), perché cosi fecero in Versilia ed andò tutto bene. E si sono ricordati, non senza disagio, che in Versilia i soldi la Regione li aveva dati subito; qui, invece, viene a proporsi di gestire quelli che ancora devono arrivare, non facendo nulla, oltretutto, perché ciò si verifichi.. Oltre a questo, vi era purtroppo un altro disagio: un senso di fuori sintonia che prova colui che si trova ad assistere ad un rito sbagliato. L'impostazione della conferenza è apparsa ancora intrisa dello spirito vagamene vendicativo e massimalista del dopo alluvione. Che, trasportato come un relitto sull'onda emotiva ingigantita dal disfattismo ambientalista, ha provocato più danni dello stesso nubifragio. A due mesi dall'evento quello spirito non c'è più, o non ci dovrebbe più essere, perché dai monitoraggi eseguiti dagli enti pubblici si sa che gli elbani sono stati vittime e non artefici del disastro. Inoltre, questo convegno arriva nel momento più sbagliato per parlare di “ambientalismo strategico”, proprio quando gli elbani cominciano a disperare di ottenere i soldi per la ricostruzione e temono per la prossima stagione. Il presidente degli albergatori ha ricordato che ci sono 12 alberghi che rischiano seriamente di non riaprire. Arriva, questo convegno, non con un’idea per accelerare l'iter previsto per l’erogazione dei fondi per la ricostruzione, ma per spiegare l'utilità dei vincoli in difesa dell'ambiente e i vantaggi di un turismo di qualità, cioè fatto solo da clienti ricchi. In altre parole, secondo regione e provincia, gli imprenditori elbani devono procurarsi clienti danarosi in grado di spandere ricchezza e non rovinare l'ambiente e non famiglie operaie scassate e caciarone, con cani e bambini al seguito, che mangiano pizza nei giardini pubblici, gettando carte unte e lattine per terra. Se si pensa che questa sia la strada, ammesso che ciò possa risultare moralmente corretto (specialmente per una giunta di sinistra), bisogna allora invitare gli albergatori, i gestori di campeggi e gli altri operatori turistici e spiegare loro che cosa devono fare. Almeno si divertirebbero o si preoccuperebbero al pensiero che in Regione c'è chi pensa che questo risultato possa essere ottenuto con un atto di volontà. E non intervenendo sulle strutture per adeguarle (con necessità, dunque, di investimenti e un minimo di impatto ambientale) non solo alle necessità dei ricchi, ma anche e soprattutto ai nuovi standard internazionali e alle richieste del mercato. Gli organizzatori, invece, avrebbero dovuto invitare tutte le categorie economiche, anche gli artigiani, gli agricoltori, i commercianti, gente che vive in quest'isola e dalla quale apprendere quali sono i problemi di chi dirige imprese sul territorio. A coloro che si sono comunque presentati, anche senza avere ricevuto un invito, e che hanno ascoltato pazientemente per un giorno e mezzo dissertazioni, anche interessanti, in materia di filosofia ambientale e di politica del territorio e che avrebbero voluto e potuto opporre, più semplicemente, fatti concreti, non è stato permesso di parlare, a causa dell'interruzione dei lavori. A qualcuno che ci ha provato è stata tolta bruscamente la parola. E' stato un vero peccato, perché i dirigenti regionali e provinciali, alcuni dei quali apparsi sinceramente motivati, avrebbero appreso molte cose su quest’isola, cose concrete e raccontate da chi ci vive, utili in ogni caso per chi intende contribuire alla gestione del territorio. Magari, avrebbero anche potuto apprendere come ci si difende dallo scirocco. Sembra chi si rifaranno vivi fra sei mesi. Insomma, un’occasione mancata, aperta da Ageno e chiusa dallo scirocco, che ci ricorderemo solo attraverso l'aria affranta e anche un po' scialata dell'assessore regionale all'ambiente Franci.
vento libeccio mare scirocco
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