Negli anni Cinquanta gli scalpellini di San Piero e Seccheto parteciparono alla ricostruzione di strade, piazze, porti, stazioni ferroviarie di molte città del centro-nord facendosi onore per la propria indiscussa abilità artigianale. Giuseppe (Peppino) Batignani, ottantenne, da qualche tempo ha abbandonato il lavoro nelle cave di granito, per dedicarsi alla coltivazione di uno spettacolare orto nelle campagne di Vallebuia e alla cura di alcuni vigneti d’ottima uva, bianca e rossa. Signor Batignani, cinquant’anni fa nella zona di Seccheto e San Piero operavano due importanti ditte che si occupavano dell’estrazione e della lavorazione del granito elbano. Ciò nonostante, molti scalpellini decisero di andare a lavorare in Continente. Perché? "Si, a quel tempo le ditte che operavano sul territorio erano la cooperativa 'Filippo Corridoni' fondata con una sottoscrizione di quote associative e la 'Italo Bontempelli'. Il fatto è che gli scalpellini erano pagati poco, il lavoro era abbastanza precario e non riuscivamo ad arrivare alla fine del mese né a risparmiare i soldi per costruire le nostre case. Eravamo tutti poveri, e riuscivamo a mettere insieme il pranzo con la cena anche grazie ai lavori extra delle vigne. Ma anche il guadagno come contadini era ben poca cosa e quindi, appena si presentò l’occasione, andammo a lavorare in Piemonte e in Liguria, dove le paghe erano superiori. In un secondo momento alcuni di noi proseguirono questa esperienza andando a lavorare addirittura in Svizzera". Quali erano le vostre condizioni lavorative nell’Italia settentrionale? "Prima di tutto bisogna inquadrare il periodo storico. Si trattava di partecipare alla ricostruzione di strade, marciapiedi ferroviari, piazze, banchine portuali ormai vetuste o danneggiate dalla guerra. Noi elbani eravamo usati solo come manodopera, non dovevamo lavorare il nostro granito ma sbancare e bonificare le zone interessate ai lavori e poi mettere in opera la ricostruzione utilizzando il materiale che ci veniva consegnato e che poteva anche provenire dalle cave di Seccheto, Pomonte e San Piero. I lavori erano dati in concessione a grandi ditte del nord e poi, in un secondo momento, frammentati in sub-appalti, erano gestiti da privati che chiamavano i lavoratori che ritenevano necessari. Il nostro era un lavoro a cottimo. Più lavoravamo, più guadagnavamo. Va da se che eravamo tutti grandi lavoratori, tra noi non c’erano scansafatiche e spesso ingaggiavamo dei veri e propri duelli per vedere chi, a capo di una giornata di lavoro, produceva di più. Inoltre eravamo molto apprezzati per la nostra precisione e la nostra eccellente abilità artigianale. Pochi scalpellini al mondo potevano vantare la nostra esperienza. Adesso sarebbe impensabile un atteggiamento simile. In questo modo, lavorando spesso anche nelle giornate festive, sacrificando completamente la vita familiare, riuscivamo a risparmiare un discreto gruzzolo che ci sarebbe servito per garantire una vita migliore alle nostre famiglie. Poi, quando arrivava la stagione delle vigne, tornavamo all’Elba a zappare". Signor Batignani, ricorda chi partecipava a queste “spedizioni” e dove sono avvenuti i vostri principali interventi di restauro? "E’ passato molto tempo e le generazioni si sono succedute, ma non posso dimenticarmi certamente le persone che si sono sacrificate per rendere migliore la vita di noi tutti. Sia San Piero sia Seccheto furono interessate da questo movimento migratorio. Ricordo i Galli, i Batignani, gli Spinetti, i Pierulivo, i Pancani e tanti altri, tutta gente con un nome importante per la storia del granito elbano. In molte città come Ponte Curone (Alessandria), Gavi Ligure e la stessa Genova abbiamo messo in opera i marciapiedi di intere strade. A Genova abbiamo partecipato alla ricostruzione della banchina portuale utilizzando i cavaocchi, cordoni lavorati più grandi della media. A Piacenza abbiamo lastricato piazza Cavalli e vicino a Pavia siamo stati chiamati ad abbellire delle ville padronali con recinzioni e lastricati. Ad Acqui Terme (Alessandria) abbiamo ricostruito completamente la strada principale, via Italia. Con il passare degli anni e con il miglioramento delle condizioni economiche dell’isola d’Elba, molti di noi, impegnati con il nascente fenomeno del turismo, hanno abbandonato ogni desiderio di emigrazione riuscendo a garantirsi un buon guadagno anche nel proprio paese d’origine. Che io sappia, la tradizione di esportare scalpellini è proseguita saltuariamente fino all’inizio degli anni settanta con i Pierulivo, i quali misero in opera i lastricati di piazza del Duomo a Pistoia e della piazza principale di Montecatini Alto". Un'ultima domanda, signor Batignani: che valore ha questa vostra esperienza? "In questo periodo non si fa altro che parlare di recuperare le nostre radici, le nostre identità. Anche qui a Seccheto e a San Piero sono nati due gruppi culturali (La Ginestra e le Macinelle n.d.r.) che si occupano di proporre vari aspetti della vita del passato con spettacoli teatrali, mostre fotografiche e documentari. Io ho voluto aggiungere una testimonianza in più per rafforzare questo concetto: è importante sapere che quello che i nostri paesi sono adesso, con la loro vocazione turistica e la loro modernità, non è nato dal caso o dal nulla. Dietro c’è il sacrificio di un’intera generazione che ha dedicato la propria gioventù, gli anni migliori della propria vita per rendere più agevole l’esistenza delle generazioni future in una terra, la nostra, senz’altro benigna ma che per secoli ha sofferto un pericoloso isolamento causato dalla mancanza di strade e altre comunicazioni. Ora siamo riusciti finalmente ad avere tutte le comodità, anche se avere puntato tutto sul turismo e avere abbandonato vigne e cave presenta molti pericoli. Le nostre campagne, difficili ma fertili, abbandonate a se stesse, sono ormai preda di branchi di mufloni e cinghiali inferociti".
storica granito scalpellino 1
Storica granito batignani peppino 2
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