Non c’era la folla delle grandi occasioni l’altra sera a Capoliveri. Il richiamo non era quello di un nome famoso, ma semplicemente l’interesse per la lettura di un romanzo, e questo è cosa di pochi. Il titolo del romanzo “L’ultima estate al mare” faceva pensare ad una storia d’amore tra adolescenti filtrata dalla memoria. Invece l’estate di cui si parla è quella del 1939 ed è l’ultima al mare perché quella seguente è attraversata da venti di guerra. Il romanzo infatti racconta come la vita di una normale famiglia della piccola borghesia della provincia toscana viene sconvolta dalla guerra, che porta perdite, separazioni, sofferenze a ciascuno dei suoi membri. Le vicende vengono raccontate dal punto di vista di un ragazzino che ha dieci anni all’inizio del romanzo e che quindi trascorre la sua adolescenza in quell’eccezionale periodo. Romanzo storico quindi e romanzo di formazione, se vogliamo incasellarlo nei sottogeneri della narrativa. E la trasformazione del ragazzo, da fervente Balilla a piccolo sostenitore dei partigiani, riflette la trasformazione di tanti italiani, di quella maggioranza silenziosa di persone in buona fede che avevano accolto senza traumi l’avvento del fascismo, che vivevano anche con orgoglio le ritualità a cui il regime le aveva abituate sin dall’infanzia, ma che non riuscirono più ad accettarlo quando questo si rivelò spietatamente incapace trascinando il paese in una guerra rovinosa. Nel romanzo si alternano quindi le vicende di Dario e della sua famiglia allargata (nonni, zii, cugini) a veloci ma puntuali appunti sulle vicende della grande storia a descrizioni della vita materiale (il lavoro della sarta in casa, la ricetta dei biscotti del Santi, il sistema per separare i chicchi di grano dalla pula, etc). Questo immerge il lettore in un mondo, di cui si sottolinea la semplicità e la genuinità dei sentimenti che lo animano, ferito dalla crudele assurdità della guerra. Una parte importante del romanzo è dedicata alla scuola, che è naturalmente la scuola fascista, legata alle retoriche celebrazioni del regime, ma nella quale non mancano insegnanti che, pur essendo ligi ai doveri a cui erano obbligati, cercavano di stimolare negli allievi la capacità critica. L’autrice, che è approdata alla letteratura dopo una vita di importanti impegni nella scuola e nella cultura italiana all’estero, ha svelato agli intervenuti che lei si è identificata in Dario, il protagonista e che alcuni personaggi, come ad esempio il nonno Ernesto, che affronta con un coltello da salumiere la pistola di un picchiatore fascista, sono presi dalla realtà dei suoi ricordi. La sua lettura di alcuni brani del romanzo li ha resi più vivi a chi li aveva già letti ed ha suscitato negli altri il desiderio di avvicinarsi direttamente all’opera. A qualcuno che le ha chiesto se il cinema di Ettore Scola o La storia di Elsa Morante siano stati suoi punti di riferimento, ha risposto che, pur ammirando moltissimo gli autori citati ed avendo sicuramente un debito con loro nella propria formazione, quando si scrive un romanzo è come se si creasse una nuova vita, come una mamma che pensa al bambino che sta formandosi e non guarda agli altri bambini. Ma quello che Carla Pesciatini teneva maggiormente a dire è lo scopo per cui ha scritto questo libro: mettere di fronte a tutti noi, che siamo spettatori quotidianamente, quasi sempre indifferenti, di scene di guerra, di cui sono protagonisti i bambini, che vengono colpiti dalle bombe, dalle mine e uccisi dalla fame e dalle malattie, una storia che si è svolta nel nostro paese e che mostra le sofferenze della guerra che noi stessi o i nostri padri hanno vissuto. Per questo il ricavato della vendita del libro sarà devoluto ad un’associazione che si occupi di aiutare i bambini vittime delle guerre.
Festa campestre epoca Sandolo 5