Leggo sulle vostre pagine, ma anche su quelle degli altri giornali, dell’ennesimo incidente stradale in cui è coinvolto un motociclista. Con un certo raccapriccio, oltre che con molto dispiacere. Non è la prima volta, né purtroppo sarà l’ultima. Di volta in volta si punta il dito sull’aumento del traffico, sulla mancanza di disciplina nella guida, sull’eccessiva disinvoltura spesso dimostrata dai motociclisti, che tendono ad affrontare la circolazione come un Gran Premio, sul non rispetto degli automobilisti verso i motociclisti. Tutto vero, ma non è tutto. Di fronte a cifre che sono a dir poco allarmanti, e che fanno dell’andare in moto uno dei modi più pericolosi di affrontare la mobilità, sento il dovere di dire qualcosa in proposito, qualcosa che ha che fare con l’esperienza personale. Non ho la pretesa di offrire la soluzione del problema (sarebbe troppo bello), ma il semplice desiderio di esprimere il risultato di alcune riflessioni. Partiamo dalla conclusione: il motociclista, oggi più che mai e sempre di più in futuro, deve essere consapevole dei rischi che corre, ed agire di conseguenza. I dati parlano, terribilmente, chiaro. Andare in moto è pericoloso, ed in più in Italia abbiamo anche qualche record non proprio lusinghiero in materia di incidenti. Un allarme rosso che si basa su due fatti incontrovertibili: l’aumento esponenziale del traffico e la vulnerabilità del motociclista. In auto si è sempre più protetti, in moto lo si è come, più o meno, trent’anni fa. Per contro la “giungla” della circolazione è sempre più fitta ed inestricabile. Inoltre le moto di oggi sono molto ben equipaggiate in funzione della sicurezza attiva: ottima frenata, tenuta di strada eccellente, maneggevolezza. Ma in quanto a sicurezza passiva, cioè resistenza alle conseguenze di un impatto, zero. Bisogna ammetterlo. In più c’è un altro fatto che può passare inosservato, e cioè che le moto di oggi sono eccezionalmente performanti, ma soprattutto facili da condurre. Il rapporto tra la potenza in campo ed il peso, la “tenuta” e la maneggevolezza fa della moto, sempre di più, un piccolo missile terra-terra. È qui che l’esperienza personale si inserisce nella riflessione. Essendo stato pilota professionista, e continuando ad essere motociclista anche per “lavoro”, sento di poter dire che la mia è una esperienza “allargata”, e come tale utile per provare a suggerire almeno una metodologia diversa per affrontare il problema. Non sono i deterrenti “intimidatori”, come gli autovelox o le sanzioni, che possono cambiare radicalmente la situazione. Non tre o quattro giorni di aumentata “vigilanza” all’indomani di un tragico incidente, e neanche maggiori informazioni e segnalazioni sullo stato delle strade (è noto, per esempio, che proprio all’Isola d’Elba le strade sono molto scivolose, a causa della salsedine, della rugiada al mattino, della polvere che si deposita sul manto stradale, del “consumo” dell’asfalto). Provvedimenti di questo genere possono, se applicati con diligenza e continuità, portare ad un miglioramento della situazione contingente, ma mai, credo, ad una inversione di tendenza in materia di incidenti e di gravità delle conseguenze. Credo, se posso dire la mia, che sia invece necessario concentrare l’attenzione e l’impegno su due “soggetti” diversi ma ugualmente molto importanti: l’educazione al senso di responsabilità del motociclista e la scuola di guida (ove possibile guida sicura). L’educazione dovrebbe basarsi su un semplice concetto deduttivo: “Per attraversare l’Isola in un giorno del mese di luglio o agosto, in auto posso impiegare anche mezza giornata, con i mezzi pubblici forse qualcosa meno ma non tanto, con la moto ci metto mezz’ora. Facciamo così: mi accontento di impiegarci un’ora. È già un bel guadagno, ed il tempo ”perso” rispetto ad un record lo posso impiegare per una maggiore attenzione sulla strada, sui pericoli potenziali, sulle distanze di sicurezza, ed anche su una maggiore “generosità” nei confronti del resto della popolazione mobile. In due parole, bisogna educare alla serietà ed alla pazienza, all’altruismo, ed insegnare a rifuggire dall’istinto del “pilota”, dimostrando al contrario un forte senso di responsabilità, sulle strade della normale circolazione. Secondo punto: le moto di oggi sono tutte molto performanti, e molto, molto maneggevoli. Sono spesso talmente facili da condurre, specie le più leggere ed agili, da trarre in inganno e sfuggire al controllo del conducente qualora si esca dalla “curva di sicurezza” rappresentata idealmente dalle condizioni della strada e dalla “tenuta” della moto in funzione delle prestazioni. È indispensabile, dunque, imparare a condurre la moto nel modo più appropriato ed impegnarsi per acquisire e migliorare continuamente la propria tecnica di guida. Poiché l’esperienza di strada, acquisita con la pratica personale e senza nessuna istruzione è spesso una scommessa persa in partenza, penso proprio che sia necessario considerare l’istruzione un passaggio incontornabile. La teoria che si insegna per l’ottenimento del patentino di guida è indubbiamente preziosa e basilare prima di mettere le due ruote su strada pubblica; tuttavia, l’insegnamento della pratica, dal mio punto di vista, dovrebbe rivestire maggiore importanza ed affrontare le condizioni “difficili” che rendono pericoloso l’utilizzo della moto: penso ad una frenata sulle strisce pedonali (bagnate e asciutte), all’attraversamento dei binari del tram con un angolo sbagliato, alla guida in caso di pioggia o su asfalto improvvisamente scivoloso (un filo di terra persa da un autotrasportatore in autostrada). Chiunque sa che bisogna fermarsi a semaforo rosso e allo stop, ma pochi sanno come funzionano i freni, o meglio, come bisogna usare i freni di una moto, specialmente in situazioni di pericolo improvviso. Per questo diventa fondamentale l’insegnamento non della guida di una moto, bensì della “guida in sicurezza” di una moto. Ci sono anche i corsi organizzati dalle case costruttrici, da scuole specifiche, dalle Amministrazioni. Il conseguimento del patentino non dovrebbe avvenire solo dopo un po’ di teoria e pratica anche con simulatori virtuali delle possibili situazioni di guida. Qui mi fermo, poiché da addetto ai lavori non vorrei essere male interpretato, per ribadire che, comunque, è su questi due punti fondamentali, educazione e tecnica, che si deve lavorare. L’una senza l’altra è niente, perché è inutile essere bravi ed irresponsabili, o responsabili e “negati” all’uso della moto. Pensiamoci su bene, e proviamo a prendere decisioni importanti, magari costose ed impegnative, per cercare di invertire una tendenza che può finire per condannare definitivamente il piacere e la comodità di andare in moto.
Rotatoria rilievi incidente