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A Sciambere del ripensare alle parole

Scritto da : Elena Maestrini
Pubblicato in data : martedì, 15 maggio 2007

Ciao Gunther, austriaco sconosciuto, caduto in volo. Ti ho intravisto per un attimo dai vetri dell’ambulanza che ti portava verso l’elicottero, con la maschera dell’ossigeno. Speravamo tutti che potessi farcela, nonostante le ustioni gravissime su tutto il corpo. Io, come cronista, l’ho sperato tantissimo per te, ma un po' anche per me. Per tutti. Perché tu potessi riscattare gli altri tre amici morti senza possibilità di appello. Perché in queste situazioni tremende, i cronisti si sentono utili e cinici, protagonisti e testimoni insostituibili. “Devo raccontare” mi sono detta, e ho descritto la morte, ed ho usato parole che sono state vendute sui giornali. Nel raccontare l’orrore volevo davvero certificare la misera condizione umana, la precarietà inaccettabile degli uomini, ma reale e di tutti i giorni. Drammatizzando il vero orrore dei corpi bruciati, mi sono detta, potevo però sdrammatizzare le bazzecole quotidiane, gli stupidi inciampi che trasformiamo in tragedie senza fine. Ma non so se sono andata oltre. Forse ho indugiato, ho descritto la morte di persone sconosciute senza il disgusto totale. Altrimenti non sarei neppure riuscita a battere sulla tastiera. Se ti fossi salvato, Gunther, avresti salvato un po’ anche me. Avresti riscattato le mie frasi. Avresti cancellato, con la tua vita che continuava, chi si è approfittato della morte, trattandola con poco rispetto. Avresti dato un senso ad un giorno di lavoro delle forze dell’ordine, dei tuoi primi soccorritori, Salvatore Cosimo e Sergio. Li avrei intervistati di nuovo, li avrei sentiti felici di averti salvato, e quelle sarebbero state parole sincere e liberatorie. Ma ora cosa resta. Dov’è il significato. Ciao Gunther, giovane austriaco volato via, che mi hai ridimensionato il senso delle parole e del loro mercato.


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