Di quel pomeriggio ricordiamo anche particolari assurdi come il vecchio tavolo ricoperto di plastica autoadesiva color vinaccia che rifletteva un poco la luce fioca dei tubi al neon, in quell’ambiente austero che era la sezione del P.C.I., dove i soldi “dei lavoratori” si amministravano con una parsimonia che sfiorava la taccagneria, le sedie scompagnate, le finestre senza persiane, un po’ perché costavano, un po’ perché così dalla piazzetta sottostante si poteva vedere che in sezione qualcuno c’era sempre. Ci aveva convocato il capogruppo, uno dei tanti rivolgimenti politici di quei tempi (cambi d’alleanze, mutamenti in Comunità Montana) imponeva di rimpiazzare due assessori in Comune a Portoferraio, che potevano essere scelti solo tra tre consiglieri: chi scrive, Daniela Calafuri e Giovanni Dellea, gli unici tre del gruppo comunista senza incarichi. Ascoltato il capogruppo esprimemmo curiosamente tutti e tre un parere identico, vale a dire che pensavano che gli altri due fossero i più adatti a ricoprire l’incarico esecutivo. Ce ne volle, perché la discussione andò avanti per molto ma alla fine risultammo noi i più convincenti, e Daniela e Giovanni entrarono in giunta come assessori. A leggere le “voci” che riporta Danilo nel suo intervento, ma anche semplicemente ad osservare quanto di se presumono gli attuali amministratori di Portoferraio, con quanta ferocia sono pronti a conquistare o difendere la poltroncina, questa potrebbe sembrare una storia di un altro mondo, o di questo ma distante secoli, eppure non è ancora cresciuta una generazione da allora. Abbiamo pensato a quanto stare in quel consesso (democratico, lo era infinitamente più di certi simulacri di partito) obbligasse ad avere senso autocritico, moderazione del personalismo, considerazione delle altrui opinioni, stile e dignità. Per questo proviamo disgusto quando uno squallido barzellettiere truccato impazza su tutti i canali usando il termine “comunista” come un manganello, senza pudore, senza ritegno e senza conoscere la storia vera del nostro paese. Ma ci rendiamo conto che è esercizio inutile, pari a dare confetti al maiale, parlare di dignità, pudore, modestia ad un vecchio vanesio e prepotente ed ai suoi locali berluscloni. Andiamo ancora più indietro con la memoria e ci ricordiamo di un maestro che al primo giorno di scuola (era nuovo per tutti noi) aprì il registro e disse: “Scegliamo il capoclasse .. chi si candida di voi?” Immediatamente si alzarono sei o sette mani, in quella numerosa classe. “Bene – disse il maestro – ora scrivete su un pezzo di carta il nome del vostro compagno che ritenete più adatto a fare il capoclasse, chi vi pare, ma non potete votare per voi stessi né per uno di quelli che ha alzato la mano” A stretto rigore di logica il maestro non fu esattamente democratico, ma aveva impartito la prima e forse la più importante delle sue lezioni.