Caro Direttore, il 13 dicembre, a proposito di un intervento di “Tiro Fisso” su Pinochet, dicevi di un tuo dubbio sulla “pertinenza del trattare argomenti globali insieme alle notizie commisurate al territorio delimitato di cui parlano le cronache di questo giornale”; e argomentavi: “Ci viene da risolverlo il dubbio pensando proprio a periodi diversi da questo, tempi in cui la politica aveva una "P" magari più ingenua e meno informata ma più maiuscola di quella di oggi. Allora anche a Portoferraio all'Elba si parlava di Vietnam, non si beveva acriticamente tutto quello che ci veniva ammannito dalla TV, non si correva il rischio odierno di un'overdose di informazione che annulla i tempi di una autonoma riflessione delle singole persone su ciò che accade nel mondo. Pensare con la propria testa serve anche a porsi domande scomode…” Mi permetterai di esprimere apprezzamento per la decisione di dilatare la prospettiva del tuo giornale oltre i confini del territorio cui sembra restringerlo il nome della testata, anche se per la verità mi pare che già in passato contributi su argomenti “globali” abbiano avuto ospitalità senza problemi, e ne sono testimone diretto e grato. Ma se questo diviene un carattere permanente, credo che tutta la comunità non abbia che da avvantaggiarsene. Tanto più che anche l’overdose di informazione cui accenni riguarda una sparuta minoranza, e sempre più spesso manca la riflessione ‘tout court’, non solo quella autonoma. Perché si vede che quelli che parlavano di Vietnam (cioè quelli della nostra età) non l’hanno insegnato bene ai figlioli che il mondo non finisce a Portoferraio; e i figlioli divenuti mamme e babbi non hanno saputo cosa insegnare ai ragazzi di ora, per aprire loro la mente e farli guardare lontano e alto. Fra quelli di allora e i ragazzi di oggi è passata la grande illusione di una ricchezza facilmente raggiungibile o raggiunta, di una felicità fatta di cose che si comprano e si esibiscono, di un’angoscia stemperata nel torpore dei mille stordimenti proposti (e venduti) da chi ha bisogno di clienti che pensano poco e a breve, facilmente coinvolgibili nel tirare a campare, e domani si vede. I vecchi sono fuori gioco, e in un certo senso è bene così. La generazione di mezzo, quella che occupa le sedi della politica, “respira piano senza far rumore”, ma per il resto evoca ben poco l’immagine di un’“alba chiara”: oltre il giardino dell’orto, sembrano perdersi –con le dovute eccezioni–; e hanno paura di qualunque ombra attraversi la loro strada. Ai figli danno le certezze che hanno, senza chiedersi quanto realmente valgano, e non speranze. Così, nel migliore dei casi, tutto è destinato a restare come è, arginato dalla paura del nuovo; e anzi il vecchio ritorna pian piano a occupare il campo: corruzione, usura, malavita più o meno collegata con le grandi centrali esterne. Come in tutte le epoche di riflusso economico, sociale, culturale. Ma tutto questo non è disperazione. I nostri giovani hanno largo accesso alla scuola, alla tecnologia continuamente innovata, all’Internet che è un’immensa palestra di confronto e di controllo dal basso. Dalla scuola al computer, si tratta di strumenti potenti e ancora esclusivi, perché i loro genitori li conoscono poco e male; e hanno una portata eversiva formidabile. I computer vengono usati per lo più per giocare? Non importa, se se ne impara la logica e la potenza. La “rete” viene usata per una comunicazione diffusa e insulsa (o scorretta, quando –come usa in questi giorni– serve per diffondere immagini di stupida violenza)? Impediamo come si può la violenza, ma lasciamo il gusto di comunicare, qualunque cosa sia che viene comunicata: quando si è imparato a comunicare, il mondo prima o poi diventa grande. La scuola è il luogo dove si gioca la parte più grande; ma la scuola sta dentro una tradizione complicata di rapporti con i giovani, e deve capovolgere una consuetudine sciocca che la individua come “controparte” di chi, in fondo, ne costituisce la ragione, e soprattutto la “paga”. Per gli insegnanti di domani sarà una bella sfida; per quelli di oggi occorre una rivoluzione personale spesso assai costosa. Ma la cui capacità di gratificazione è infinita. Ad accogliere i giovani fuori della scuola e ad aiutarli a mantenere e accrescere la loro capacità critica nei confronti della realtà attorno a loro è necessaria la presenza di stimoli straordinari ed eccentrici rispetto all’ambiente familiare e locale. Ecco l’importanza delle infinite sollecitazioni offerte dalla cultura: dalle arti figurative, dalla musica, dal cinema, dalla letteratura, dalla scienza, dalla tecnologia. E di tutte elemento catalizzatore l’informazione: ma appunto un’informazione senza confini, capace di inoltrare lo sguardo verso la grande realtà mondiale e di leggere in quel contesto le vicende collegate alla vita quotidiana e locale. Per questo, si potrebbe dire, c’è la grande stampa nazionale, c’è la stampa locale. Quanto siano letti a livello generale i giornali nazionali le statistiche lo dicono impietosamente, e l’esperienza diffusa lo conferma. Quanto poi siano letti dai giovani, è perfino allarmante. Uno strumento come “Elbareport”, come i numeri dei contatti dicono, è una fenomeno in felicissima controtendenza: forse anche per il “medium” usato, certo più vicino alle nuove sensibilità. E credo proprio che il suo ruolo più significativo nella preparazione di un futuro esistenzialmente sostenibile stia nelle riflessioni o nelle provocazioni dei “Tiri fissi”, dei Mazzantini o dei Tanelli, degli “A sciambere” o dei Meoni, dei Gavassa o dei Beneforti, e comunque di tutti coloro –compresi ovviamente i redattori ufficiali– che credono dignitoso e gratificante nutrire “quel tarlo mai sincero che chiamano pensiero”.
ragazzi al PC