C’è un’isola d’Elba nascosta che al di sotto della ricca vegetazione possiede ricchezze archeologiche insospettate, chiese risalenti all’alto medioevo, più di 200 caprili che ricordano nelle forme la civiltà nuragica, in cui si ritrova il filo di una storia che le pietre millenarie hanno raccontato finora soltanto alle felci pazienti del sottobosco. Con il progetto promosso dal Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano, che ha coinvolto le Università del bacino del Mediterraneo per lo studio delle emergenze storiche ed archeologiche del massiccio del Monte Capanne, è in fase di svolgimento la catalogazione e lo studio fotografico e fotogrammetrico di quello che si sta rivelando un enorme patrimonio archeologico, che potrebbe avere tutte le carte in regola per essere dichiarato patrimonio dell’Umanità da parte dell’Unesco. I lavori sono infatti coordinati dal Prof. Michelangelo Zecchini Direttore del Dipartimento di Archeologia del Forum dell’Unesco di Lucca e prevedono quattro fasi di ricerca. La prima riguarda la località delle Piane al Canale dove gruppi di studio formati da giovani ricercatori e dai loro docenti, sotto la direzione della Dott. Simona Pannuzzi, stanno rilevando, attraverso le più sofisticate tecnologie, tutte le possibile informazioni inerenti una piccola chiesetta avvolta nella vegetazione della quale si può ipotizzare una datazione che va dal XIII al XIV secolo d.C. La struttura, presso la quale non sono ancora iniziate le fasi di scavo, rivela la pianta rettangolare, la curvatura dell’abside, e alcune cromature del rivestimento interno, oltre che a impronte circolari esterne che potrebbero far pensare a torrette di avvistamento. Ancora più nascosto lungo un sentiero appena accennato, nella stessa zona in cui è stata scoperta la chiesa, è apparso un “caprile”, una struttura usata dai pastori sia come ricovero personale, sia come riparo per gli animali, particolarmente interessante perché interamente coperto dalla vegetazione che ne ha conservato l’integrità. Il “caprile” che - come ha dichiarato il Prof. Zecchini - è una fonte inesausta per capire la civiltà elbana, in quanto esso può abbracciare un arco di tempo che va dall’età del bronzo fino alla metà del secolo scorso, è una piccola costruzione circolare a sassi, a forma di igloo, realizzata con estrema perizia soprattutto per quanto riguarda la copertura a cupola del tetto e il sistema di aerazione che permetteva l’accensione di fuochi all’interno. La seconda fase prevede uno studio presso le cave di granito di Seccheto dove sotto la direzione del Prof. Massimo Ricci si cercherà di capire gli elementi distintivi che possano permettere di stabilire quali siano le estrazioni risalenti all’epoca romana e quali a quella medievale. La terza fase guidata dal Prof. Zecchini riguarderà lo studio dell’antica strada S. Piero - Seccheto risalente a 8-900 anni fa, ai lati della quale sorgono interessanti reperti, tra cui una macina per il grano ricavata in un blocco di granito che per tipologia ricorda quelle di epoca romana. Quarta ed ultima fase sarà un’indagine diretta dal prof. Giorgio Paoli sui marcatori genetici della popolazione del granito su individui che abbiano sia i nonni paterni che materni originari del posto. “E’ un primo passo – ha dichiarato il Commissario del Parco Ruggero Barbetti – affinché l’intero Arcipelago trovi la strada giusta per raccogliere il riconoscimento dell’Unesco. A questo proposito il PNAT entro il 30 maggio dovrà far pervenire la domanda per vedere le nostre isole annoverate tra i siti dichiarati Patrimonio dell’Umanità”.
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