Partiamo dall’attuale modello turistico e proviamo a farne un bilancio, non solo per il successo economico immediato, ma da un punto di vista di compatibilità e costi ambientali. Fino adesso tutta l’offerta turistica, legata essenzialmente alla balneazione ed al soggiorno estivo, e la conseguente promozione, si è concentrata sull’attrarre i flussi turistici europei e nazionali fino a raggiungere gli attuali livelli di concentrazione stagionale e di massa. Si è preso di tutto e si è detto di si a tutto, purché approdassero sulle nostre rive frotte di turisti, senza calcolare le conseguenze e l’impatto che il turismo di massa porta, oltre ai benefici economici, con se. A questa domanda suscitata negli anni del dopoguerra (EVE, APT ecc.) si è accompagnata una politica di forte espansione edilizia e ricettiva e una forte richiesta di servizi ed attività a terra ed a mare; tutte le amministrazioni hanno cercato di cogliere queste nuove opportunità di sviluppo occupazionale ed economico. Da un punto di vista urbanistico e ambientale le aree che maggiormente hanno dovuto sopportare i carichi urbanistici più intensi sono state le località balneari, le spiagge ed i retrospiaggia, le coste, le calette ed i golfi; inoltre le aree ed i fondali marini e gli specchi d’acqua antistanti trasformati in zone di parcheggio per natanti piccoli, medi e grandi.. Era ovvio che il business turistico vendesse meglio zone e aree vicine al mare. Oggi queste aree sono quelle più esposte ad un degrado ed ad un accaparramento selvaggio, con spinte alla privatizzazione ed all’esclusività d’accesso e molto spesso, con un impennata degli ultimi anni, con occupazione di suolo pubblico, concessioni demaniali di spiagge e specchi d’acqua sempre più estesi, che ne limitato drasticamente la fruibilità pubblica e libera da oneri. Questo sviluppo non sempre è avvenuto secondo una corretta programmazione territoriale che sapesse conciliare lo sviluppo economico con le cosiddette e tanto enfatizzate compatibilità territoriali. Non sempre si è accompagnata a questa espansione edilizia un’adeguata programmazione delle dotazioni ed infrastrutture d’urbanizzazione del territorio interessato. Non si è sempre fatto valutazioni preventive sugli impatti ambientali derivanti da una cosiffatta espansione. Anzi si è fatta la guerra contro il decollo del Parco o la politica urbanistica della Regione Toscana, presentati come la fonte di una eccessiva regolamentazione del territorio, come ostacoli al libero sviluppo economico; le attuali resistenze al piano strutturale unico dell’isola di certe amministrazioni, l’esaltazione autoisolazionista dell’Elbanità e del municipalismo sono le parole d’ordine del Centrodestra con le quali si è cercato e si cerca di liberarsi da responsabilità istituzionali, sociali ed ambientali e di agevolare questo ennesimo assalto al territorio, sfruttando le bellezze naturali del territorio Elbano, ricavare rendite elevate con costi ambientali e naturali altrettanto elevati da scaricare sulla collettività, sui beni pubblici e sul territorio. Molte le testimonianze ed i fatti che evidenziano questa aggressività verso il territorio Elbano. Il numero elevato dei condoni per abusi edilizi. Il rapporto presentato qualche tempo fa da Legambiente sulle eccessive volumetrie degli otto piani regolatori comunali o di megaprogetti speculativi in zone d’alto valore ambientale, suonano come campanello d’allarme per il prossimo futuro. Come campanello d’allarme sono le vicende giudiziarie d’Elbalopolis. Le ripetute denunce d’ambientalisti e scienziati. La recente iniziativa dell’amministrazione di Capoliveri di tutelare la spiaggia di Zuccale, che può incrinare un’immagine politica che per anni ha imperversato in quei luoghi ed anticipare un modello di fruizione turistica nuovo e compatibile. Tutto ciò ci segnala che è in atto uno scontro politico proprio su cosa dovrà essere il futuro di questo modello turistico e l’assetto territoriale dell’Elba. IL DEFICIT DI GOVERNANCE DEL TERRITORIO ELBANO. A questa emergenza però se ne deve aggiungere un’altra. Una emergenza che è al contempo causa ed effetto di tutto ciò. Un’emergenza dovuta principalmente al deficit di “governo unitario del territorio elbano”, di “governance istituzionale” e di strumenti di partecipazione e programmazione democratica adeguati. Se sul piano politico, il centrosinistra, non si pone questo problema, si rischia la debacle, senza avere la capacità di indirizzare, di pianificare e contrastare, in un quadro di sostenibilità l’attuale sviluppo turistico. Oggi abbiamo, da una parte il PNAT con i suoi vincoli e compatibilità ed i piani di sviluppo, dall’altra abbiamo i livelli istituzionali, Comuni, Comunità Montana, Provincia e Regione, con i loro altrettanto cogenti strumenti urbanistici. Poi c’è il territorio Elbano e dell’arcipelago con le sue bellezze e valori ambientali e con le attività economiche e sociali che necessitano di essere integrate, conciliate, regolate, in un modello turistico ecocompatibile. Il deficit di governance unitaria non deriva forse dal tuttora carente rapporto istituzionale sinergico tra questi vari enti? UNA NUOVA PERIMETRAZIONE DEL PNAT DA ESTENDERE A TUTTO IL TERRITORIO ELBANO. Ha senso che il territorio Elbano sia tuttora diviso per competenze incomunicabili? Da una parte un “perimetro asfittico” dell’Ente parco, quello istitutivo, che ha lasciato fuori, alla mercé di un uso squalificato, ampie zone di notevole pregio naturale e storico artistico come: le località balneari ed il mare antistante; i centri storici, altre zone di pregio archeologico e naturalistico, l’area marina circumnavigabile dell’arcipelago. L’attuale perimetro, minimale e sottodimensionato rispetto ad una piena tutela terrestre e marina dell’isola, è stato frutto di un compromesso allora utile per l’istituzione del PNAT, ma che oggi si sta dimostrando una palla al piede, un’ingabbiatura ed un depotenziamento per un effettivo rilancio del PNAT. Se vogliamo riconvertire l’attuale modello turistico in uno ecosostenibile, non solo è necessario inserire tutte le aree terrestri e marine valide e le attività turistiche, scegliendo quali di esse siano compatibili o meno con la realtà e le finalità del PNAT, ma necessiterà un’estensione ed integrazione tra la pianificazione del Parco e quella Comunale/Regionale. UN PIANO STRUTTURALE UNICO PER LEGGE. E’ la Regione, insieme ai Comuni, l’altro corno di una buona governance istituzionale sul territorio Elbano a condizione che vi siano scelte e strumentazioni adeguate per integrarsi con la realtà Elbana e del PNAT. I Piani Strutturali Comunali non possono ne essere una frammentazione municipalistica del territorio, ne distinti e contrastanti dalle finalità del PNAT: dobbiamo rompere il vecchio compromesso tra zone regolamentate e zone a sviluppo intensivo. Il progetto del Piano strutturale unico del territorio Elbano è un’esigenza impellente, improcrastinabile che la regione Toscana ha il dovere istituzionale di adempiere: se la procedura attuale di redazione con i Comuni Elbani non procede sufficientemente e celermente, la Regione non deve escludere, proprio perché ad essa la legge nazionale affida una diretta competenza, di prevedere nella legge urbanistica regionale la redazione di un piano strutturale unico per quelle aree territoriali omogenee ed uniche per condizioni fisiche, com’è l’Elba e l’insieme Arcipelago toscano. La Regione si gioca molto della propria credibilità in quest’area sensibile proprio perché dalle sue scelte dipende molto di quell’efficienza di governance oggi necessaria all’Elba. Per terminare, il centrosinistra nazionale e locale non devono contrapporsi, hanno in mano due leve di sviluppo decisive, il PNAT e la Regione; non si tratta ovviamente solo di farli funzionare, ma di coordinarne l’attività secondo un progetto unitario dello sviluppo turistico Elbano, un progetto alternativo all’attuale modello anarchico e spontaneo, che alla lunga potrebbe comprometterne le potenzialità.
Giuseppe Pino Coluccia