Siamo a pochi giorni dalla 7a edizione della Festa dell'Uva. I capoliveresi, acquisiti e doc, si riuniscono e lavorano insieme per qualcosa d'importante che fino ad 8 anni fa non avevano mai avuto: uno stimolo ad aprirsi e collaborare. I 4 gruppi dei rispettivi rioni sono intenti a dare il meglio di se. Il loro entusiasmo coinvolge anche chi capoliverese non è, o magari non lo è ancora. Su, alla Torre, hanno deciso di rievocare un fatto che sebbene legato all'epoca più violenta e antidemocratica della nostra storia recente, porta con se una nota d'ironia tutta elbana. Non so a chi sia venuto in mente d'andare a rimestare proprio in quel turpe periodo, né se l'aneddoto sia frutto di fantasia o se esitano fonti che ne attestino la veridicità. Mi chiedo inoltre se alla base di quest'idea vi sia una dose massiccia di beata ingenuità, se sia dovuta ad uno sbuffo di quello spirito scanzonato e dissacratore che contribuisce alla particolare indole capoliverese o se non fosse pura e semplice "nostalgia". Sono troppe le cose che ignoro, quindi, per semplicità, prendo per vero l'accaduto del "38 e accetto l'ipotesi dell'ingenuità, alla quale voglio aggiungere anche una sincera buona fede. Non posso però evitare di dare per scontato che, a tanto, si debba affiancare un enorme vuoto di memoria storica, quella facoltà che attraverso il ricordo e il rispetto del dolore provocato dalle ingiustizie del passato dovrebbe aiutarci a non commettere le stesse ingiustizie nel futuro. A parte questo, alla Torre ci si ritrova attorno al faccione del duce per adagiarvi con cura gli acini d'uva, mentre i ragazzini provano i costumi confezionati da qualche signora un po' più abile con la macchina da cucire. Si ride, si scherza e qualcuno con innocente ingenuità dice "almeno lui qualcosa di buono l'aveva fatto!" e "eh, si stava meglio quando si stava peggio!" Il bimbo vestito di nero sente, non capisce, ma registra. Intanto gioca con il suo manganello di plastica e il suo fucilino di legno insieme agli altri "cameratini" e forse, ricorderà questo come uno dei giorni più belli della sua infanzia. I primi messaggi diseducativi sono già stati abbondantemente trasmessi agli innocenti. La storia viene comunicata loro in maniera distorta. Poi arriva il gran giorno. Tra l'eccitazione e il tasso alcolico generale, sono tutti pronti per il gran baccanale di fine stagione. Tocca alla Torre. L'imbarazzo della presentatrice non chiarisce ciò che sta per accadere. Stupore ed incredulità tra l'ignaro pubblico: sta sfilando il faccione del duce seguito da un corteo di bimbi! Non c'è nessun provvidenziale filo della luce a mozzargli la testa. L'ironia non passa. Un Mussolini decapitato avrebbe trasmesso un messaggio ben diverso da quello che sta trasmettendo il suo faccione troneggiante in mezza piazza. Tra lo sconcerto generale qualcuno indignato se ne va. Qualche nostalgico si lascia andare in un applauso. Dei giovani fischiano per dimostrare quanto trovino di cattivo gusto tale esibizione. Un'anima più ardente lancia una bottiglia al faccione. L'ambiente si surriscalda. I difensori della festa non vogliono che il paziente lavoro di un intero paese sia rovinato da 4 ragazzetti antifascisti, così intervengono facendo notare loro di essere in maggior numero, ben motivati e di giocare in casa. A guardarli ricordano quegli squadroni tanto in voga nel periodo che si sta rievocando. Arrivano le forze dell'ordine. I 4 antifascisti si sentono salvati in extremis da sicuro linciaggio. Ma che succede? Perchè portano via solo loro e neanche uno degli aggressivi "squadristi"? Per una bottiglia di differenza? C'è qualcosa che non torna! Chi era che stava difendendo i valori fondamentali della Costituzione e della democrazia? E perchè alla fine della festa l'orrendo faccione è ancora lì a dare orribile sfoggio di se? Tra le note di "faccetta nera" intonate da un ritardatario gruppetto di ubriachi, il protagonista della giornata resta quel gelo che ha attanagliato una buona fetta di spettatori, quelli che l'antifascismo ce l'hanno nel DNA. I tedeschi non capiscono che cosa sia successo alla loro amata Capoliveri. Noi invece lo sappiamo bene. Il livello di guardia nei confronti dei fascisti è stato allentato, come nel resto d'Italia, dove piazze e strade vengono intitolate a gerarchi del "ventennio" con spudorata disinvoltura. Con questo clima, i fascisti trovano le vie per riemergere dal buio e dal silenzio in cui erano stati relegati per mezzo secolo. La crisi dei valori, la mancanza di ideologie, di cultura e coscienza storica fanno il loro gioco. Così, in un contesto che dovrebbe offendere persino la destra moderna, le forze dell'ordine (qui ed altrove) si comportano di conseguenza. E' il loro grande momento! Tatiana Paolini Tatiana sa benissimo, perché ci abbiamo parlato a lungo, che il nostro giudizio sui fatti di cui tratta diverge un poco dal suo, in particolare troviamo sbagliato trattare da “squadristi” (le parole sono pietre) dei ragazzi che si sono comportati da fessacchiotti, da bulletti di paese, che volevano fare una pecoreccia “giustizia sommaria”, che definire “linciaggio” è almeno un po’ sopra le righe. Troviamo molto pertinente invece la sua critica ai tutori dell’ordine. Anche se ci pare che uno degli “aggressori” sia stato condotto in caserma assieme ai due contestatori della manifestazione chi è intervenuto non ha infatti ritenuto opportuno parificare il comportamento del “bottigliatore” e socio, e dei “giustizieri”. Diciamo chiaramente che la cosa ci preoccupa, perché la comunità non deve nutrire dubbi né sulla moglie di Cesare, né sul fatto che le forze dell’ordine siano al servizio della democrazia e delle leggi, ed in primo luogo della madre di tutte le leggi: quella Costituzione di cui il rifiuto di una filosofia aberrante come il fascismo è un pilastro. Ripetiamo di apprezzare chi ha cercato di ragionare sull’episodio senza creare più divisioni di quante ne abbia già generate, chi forte di convinzioni antifasciste, ha cercato di rapportare il caso al contesto specifico in cui si è verificato. Ha comunque ragione Tatiana a denunciare in pericoli di un revisionismo (alimentato dall’incultura storica di educatori scolastici e familiari) che tende a fare della storia recente del nostro paese una indistinta marmellata senza valori in campo, senza vinti né vincitori, senza carnefici e senza vittime. Personalmente troveremmo imbarazzante “giocare” col fascismo così come con le vittime delle purghe staliniane, fare carri allegorici in cui si rappresenti un Lager o un Gulag. Ma ancora prima che condannare il comportamento di avvinazzati e nostalgici adulti che inneggiano al Duce, o intitolano vie ai gerarchi, e con ciò definiscono la loro miseria culturale, ci interessa parlare con i ragazzi bottigliatori ed antagonisti; per ragionare di fascismo, antifascismo e democrazia, con chi della democrazia sarà custode negli anni a venire, con chi speriamo viva da cittadino coraggioso e non da suddito un’Italia pacifica e libera dalle prepotenze di qualsiasi segno politico. E’ la speranza che domani ci siano tante donne e uomini che ragionino sulla falsariga dei versi di un vecchio “ragazzo rosso” come Pierangelo Bertoli, che ci ha lasciato da qualche giorno: “Canterò le mie canzoni per la strada ed affronterò la vita a muso duro un guerriero senza lancia e senza spada con un piede nel passato e lo sguardo dritto e aperto nel futuro”