Qualche giorno fa, i quotidiani hanno riportato, con discreta enfasi, il contrasto nato in seno al Partito della Rifondazione Comunista. Non riporto quanto è accaduto, perché credo sia abbastanza conosciuto. Alla luce dell’accaduto, il cui epilogo non è ancora noto completamente, ricorsi, controricorsi lo condizionano, il mio primo pensiero è stato di chiedermi in che anno viviamo. Poi, ho pensato a quali effetti l’andamento dell’economia, del costo della vita e di altre situazioni contingenti hanno avuto, recentemente, sulle classi meno abbienti, per non dire di quelle più povere. E, infine, mi sono domandato a chi s’indirizza il progetto politico di alcuni appartenenti a quel Partito. Mi sono risposto che, forse, non siamo nel 2006, a circa 40 giorni dal voto politico, che, forse, le classi meno abbienti hanno goduto di una fase di crescita talmente favorevole, da far loro dimenticare ogni tipo di problema, legato alla sussistenza, e che, di conseguenza, sia opportuno concentrarsi soprattutto sui problemi di politica estera, perché il nostro paese, in quest’ottica, ha sicuramente un peso rilevante. All’ultima domanda non ho saputo rispondermi, perché non lo so. Sai, a me piace sognare, anzi mi piacerebbe che davvero i problemi più importanti da risolvere fossero esclusivamente quelli di carattere diverso da quello economico. Perché concentrarsi sul debito pubblico, perché tentare di capire se l’Italia può e deve rimanere assolutamente dipendente dall’estero per l’energia, perché cercare di collegarsi alla ripresa economica che, seppure gradualmente, potrebbe caratterizzare i prossimi mesi, in area euro? Ma probabilmente mi sbaglio, perché, se davvero ci si concentra sulla discussione che non ho riportato, ma della quale sarai sicuramente a conoscenza, allora i veri problemi sono altri, ed è alla loro risoluzione che pensano gli abitanti della nostra nazione. O è solo un palcoscenico sul quale salire, per farsi notare? Sergio, se ne hai voglia, dammi il tuo parere. Grazie. Un saluto. Angelo Drusiani Caro Angelo La domanda che poni è, avrebbe detto quel grande che era Sandro Paternostro, quella delle cento pistole, a cui non so dare una risposta precisa perchè, forse da eccessivo cultore della lode del dubbio, mi capita spesso di restare sospeso "tra la ragione dei princìpi e la ragione della prassi". Cerco di rispondere non rispondendo, con una sorta di paradosso da cui parto e che farà strabuzzare gli occhi a qualcuno: Comincio a pensarla come Berlusconi: che la campagna elettorale, cioè quel complesso di regole entro al quale si dovrebbe svolgere il confronto tra le opzioni della democrazia, sia nella sostanza divenuta una negazione del confronto medesimo. Lo dimostra in primo luogo lo stesso Berlusconi, un governante fallito che è in "campagna elettorale perpetua" incidentalmente accelerata dalle scadenze elettorali, quando per non rispondere del disastro (non solo economico ma pure culturale ed etico) in cui ha condotto questo Paese, si mette ad imbonire gli italiani ragionando delle brache di nonna, agitando spettri di un passato non solo politicamente remoto ma archeologico, non scendendo neppure per un minuto da quel "palco" a cui ti riferivi, mascherando da princìpi gli interessi suoi personali e del particolare capitalismo, levantino, spregiudicato, incolto e straccione, che rappresenta. Se praticassimo la politica come in un paese normale, un giorno dopo l'altro, fenomeni come il berlusconismo che è la non-politica non avrebbero spazio, e pure le persone ispirate da principi conservatori (l'onesta destra di un tempo) potrebbero organizzarsi su base più decente di un partito-bottega autocratico che si sciacqua la bocca con la parola democrazia, non praticandola neppure al proprio interno. Allora se è giusto contestare a Berlusconi e dipendenti bugie, stravolgimenti storici, professioni di crassa ignoranza, giochi di prestigio statistici etc., sarebbe fare il suo gioco trasferire il confronto soltanto sui magari singoli (e sempre opinabili) principi. Mi spiego tornandoci io al de cuius sul quale hai glissato. Atteso che tutta l'Unione si è dichiarata contraria all'intervento in Iraq, a che minchia serve quando c'è da mandare a casa chi ha deciso quello (sciagurato) intervento, ed oltre a quella ragione per migliaia di altre ottime ragioni, dividersi sul "quanto si è contrari"? La campagna elettorale fabbrica palchi, caro Angelo e sui palchi una volta fatti c'è sempre qualcuno che ci monta, bisognerebbe abolirla.
Ferruzzi, Drusiani, Bartoloni, Pieruzzini, Rossi