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Essere contro Berlusconi è cosa buona e degna

Scritto da : Sergio Rossi
Pubblicato in data : giovedì, 09 febbraio 2006

Credo che capiti a tutti: a stare davanti alla televisione durante gli inesauribili dibattiti, quante volte uno vorrebbe esser lì e dire “la” parola definitiva su questo o quel problema, su questa o quella accusa o giustificazione; e tacitare e zittire l’impertinenza di oratori o interlocutori impudenti. E invece bisogna stare a sentire furenti, riportando un senso profondo di frustrazione e impotenza. Una delle accuse tradizionali mosse all’attuale opposizione è di trovare il proprio cemento nell’essere “contro” Berlusconi. E subito gli accusati a schermirsi, a dire che non è vero. E invece è vero, e giusto, e doveroso. Perché non proclamarlo a gran voce, perché non dar voce ai tantissimi che la pensano proprio così e non potrebbero, e comunque non vorrebbero, nasconderlo? Berlusconi –lui personalmente, perché l’immensa disponibilità di denaro lo rende protagonista assoluto della scena politica della sua parte, che domina praticamente incontrastato– è la causa diretta e immediata del disastro economico, sociale, culturale, istituzionale dell’Italia nell’ultimo decennio; ha soffocato e ha cercato di vanificare il tentativo della società italiana di intraprendere un nuovo cammino dopo la svolta epocale determinata dalla conclusione dell’esperienza del cosiddetto socialismo reale sovietico, con il terremoto di relazioni internazionali –e perciò stesso economiche– che quell’evento produsse: da “mani pulite”, alla necessità di reimpostare la finanza pubblica e privata (debito pubblico, evasione fiscale; passaggio da un ruolo strategico militare essenziale, con conseguente rapporto privilegiato con gli USA e pertanto protetto anche economicamente, a una posizione marginale nello scacchiere internazionale, e non più protetta), al bisogno di potenziare l’integrazione europea come alternativa nascente ai vecchi assetti internazionali. L’equivoco, rapido, smisurato arricchimento di Berlusconi lo ha, in certo modo, costretto a comportamenti spregiudicati che lo hanno sovente portato davanti ai tribunali, fino a farne l’unico capo di governo “pregiudicato”. Ma è evidente che il “focus” della sua azione “politica” è il proprio interesse privato, sotto forma di ulteriore arricchimento, di protezione della propria libertà di azione oltre o contro le regole, di creazione di un gruppo di potere forte e fedele. Del resto egli non ha mai respinto questa immagine di sé, che anzi ha proposto come modello imprenditoriale, comportamentale, esistenziale, come archetipo dell’Uomo Nuovo nel quale tutti potessero riconoscere quanto meno i propri sogni o la soluzione modello fiction delle proprie angosce quotidiane. In questo senso non si può dire che Berlusconi abbia peccato di ipocrisia: sceso in politica per proteggere i propri interessi, ha cercato di convincere i suoi elettori che quelli erano anche i loro interessi, e che pertanto qualunque azione si fosse prodotta per ottenere lo scopo prefissato sarebbe stata in sé giustificata. Di qui l’insofferenza nei confronti dei giudici e delle leggi che a quegli interessi si contrapponevano, e la conseguente necessità di combattere gli uni e le altre. Aver voluto ignorare tutto questo, o non aver avuto il coraggio di dirlo chiaro e forte, è stato tragico errore, da parte di tutti. Dei suoi alleati, che si sono illusi di poterlo controllare contando sulla lunga loro “esperienza” in politica, e sono stati trascinati su un piano che di quella esperienza poteva fare a meno e ha fatto a meno, e si sono trovati su di una china dalla quale ora non possono tornare indietro. Prigionieri dell’Uomo Nuovo –alleato con quegli altri uomini nuovi che sono i Leghisti–, i rimanenti alleati hanno cercato come potevano di ritagliarsi degli spazi di visibilità, strappando leggi e provvedimenti che li caratterizzassero nei confronti del loro alleato-avversario solo al centro della scena: e hanno ottenuto tutto ciò che chiedevano, perché chiedevano altro da ciò che premeva al Capo; e non potendo fare politica come le rispettive tradizioni avrebbero voluto, sono stati costretti a radicalizzare aspetti di pura immagine che spostassero almeno un po’ di luce anche su di loro: per tutti valgano gli esempi della Legge Bossi-Fini, dell’ultima perniciosa normativa sulle droghe (inserita nel decreto sulle Olimpiadi di Torino), per Alleanza Nazionale; dalla legge sulla ricerca scientifica genetica, alla Riforma della scuola e dell’Università, ai finanziamenti più o meno diretti al mondo cattolico, per l’UDC (e Comunione e liberazione e l’Opus Dei); per non parlare del procedere parallelo con la Lega nella destrutturazione delle Istituzioni, della Magistratura, della Finanza. Ed è stato tragico errore per i suoi oppositori, che hanno sperato di poter contrastare la sua azione cercando di strappare dalla sua alleanza le forze meno omogenee (Alleanza Nazionale e UDC) senza comprendere che fuori dell’alleanza con Berlusconi quelle forze non avevano ormai più storia (clamoroso è il caso di AN; più prudente quello dell’UDC, che è riuscita a evitare l’appiattimento lasciandosi qualche abile via di fuga verso scenari diversi). L’ultima legislatura non permetteva molto di più; ma dopo il primo governo Berlusconi è stato quanto meno ingenuo –a mio giudizio, però, direi quasi sventato– cercare di riconvertirlo alla “normalità” istituzionale (Bicamerale). La spietata azione politica del secondo governo Berlusconi ha messo in chiaro che non esiste mediazione con il suo progetto, né ora né mai. Per questo oggi tutte le alleanze sono necessarie per sconfiggerlo. Poi si tornerà alla politica, alle mediazioni (poche), alle integrazioni o alle distinzioni. Ma ora non è tempo di sottilizzare. E’ una questione di civiltà: per restituire alla politica la sua funzione regolatrice della vita pubblica, sottraendola alla condizione di ancella della vita privata di uno solo, nella quale è ora ridotta; per restituire alla dialettica politica le forze ora sue alleate che, talvolta con faticosi percorsi, hanno cercato di interpretare il ruolo di destra innovata e si trovano prigioniere di un blocco di potere che vanifica quel percorso; per restituire a tutti il senso della propria esistenza politica e della partecipazione. L’obiettivo è dunque sconfiggere Berlusconi, e con lui il disegno più o meno celato di distruzione dello Stato democratico appartenuto alle trame eversive dell’ultimo trentennio del primo millennio: disegno che prevedeva di servirsi di lui, secondo una antica prassi, ma che è stato da lui utilizzato (con le relazioni e le complicità di cui si è sempre valso) per il proprio personale, solipsistico disegno. Diciamolo allora con chiarezza, senza esitazione, senza remore. Poi ci saranno anche i programmi –e non sarà né semplice né gratificante governare risalendo dall’abisso nel quale cinque anni di questo governo hanno precipitato la nostra società–: ma alle difficoltà si può fare fronte, se solo si è in condizione di agire. Per creare quella condizione non c’è altra possibilità se non di “liberarsi” di Berlusconi e di ciò che ha rappresentato e rappresenta. Dopo la nuova “Resistenza” cui richiamava Borrelli, forse ora possiamo pensare davvero a una nuova “Liberazione”.


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