Caro Sergio, ti chiedo ospitalità per una risposta indiretta a un intervento critico ad alcune mie note comparse sul tuo giornale, a proposito della commemorazione fatta dal sindaco Martini di un noto professionista: non so dove è stato pubblicato –mi è stato trasmesso da un amico–, ma l’autore evidentemente legge “Elbareport”. Io non lo non conosco; è buon scrittore ma non attento lettore, e non controlla le informazioni: e se fonda un ragionamento su informazioni errate risulta errato tutto il ragionamento. Non voglio far perdere tempo a nessuno su cose che riguardano solo la mia modesta persona; ma visto che neanche Alberto Giannoni –questo il nome del mio contraddittore– mi conosce, bastava che chiedesse: iscrivermi fra “i professori girotondini” è cosa che non piacerebbe prima di tutto ai professori girotondini, e piace pochissimo anche a me; li conosco (il mondo è piccolo) ma non ci frequentiamo, né intellettualmente né in altro modo. Anche con i partiti in genere e con le loro correnti ho pochissime frequentazioni, e trovo Marco Travaglio un buon oratore –come lo stesso Giannoni, del resto– e nulla più. Ma veniamo alle cose più serie. Ho effettivamente scritto: “Se il giudice sbaglia…non si ha il diritto di processarlo per direttissima, né nel foro della pubblica opinione né in quello più subdolo della propria opinione”. Ma correttezza avrebbe voluto che il mio pensiero fosse riportato per intero, cioè con la frase che lo precedeva: “Voglio dire che noi dobbiamo essere certi che il magistrato opera secondo le leggi e secondo la giustizia: se sbaglia, il nostro ordinamento permette di rimediare all’errore con i diversi gradi di giudizio; e se l’errore è doloso –come in casi oggi all’attenzione della pubblica opinione– si ha la possibilità di portare il magistrato in giudizio”: ma questa non è una tesi giustizialista; è la semplice riproposizione dell’ordinamento dello Stato; se è stravagante si può cambiare, ma non mi pare giusto destituirlo di autorevolezza finché è vigente. Anche la parte che seguiva nelle mie osservazioni precisava questo concetto: e mi pare difficilmente riconducibile a atteggiamenti “rivoluzionisti” un richiamo così stretto alle Istituzioni dello Stato. Non credo di aver mancato di rispetto a nessuno, e meno che mai alla famiglia colpita dal lutto: non ho neanche vagamente fatto riferimento al merito di questioni che non conosco; e oltretutto non erano l’argomento delle mie osservazioni; ho apprezzato, invece, il sentimento di amicizia di Martini e il suo dolore. Non vedo cosa c’entri tutto questo col giustizialismo. Esiste una inchiesta; dobbiamo desiderare che sia conclusa al più presto, secondo quanto prevede la legge. Se questo è antidemocratico, elitario, qualunquista, reazionario lo sono anche le Istituzioni dello Stato repubblicano. A forza di sentirlo dire in televisione quasi ogni giorno negli ultimi anni da chi ha cercato in ogni modo di proteggere il proprio passato –e talvolta il proprio presente – dall’“ingerenza indebita” delle Istituzioni (Magistratura, Guardia di Finanza) nei propri affari, credo si sia ingenerato un processo di demolizione della fiducia nelle Istituzioni che tocca anche livelli e situazioni assolutamente non comparabili. E non so se sia segno di rispetto assimilare –come potrebbe sembrare dalle parole di Giannoni– il caso marinese a quelli dei quali si occupò a suo tempo la magistratura nella cosiddetta Tangentopoli. L’autolesionismo elettorale non mi riguarda, perché non ho da essere eletto da nessuno: e non essendo “girotondino” non ho dovuto votare né per Pomicino né per Carra. Non conosco il prof. Ripepe, e se le sue tesi corrispondono a quelle riassunte, non rimpiango di non conoscerlo. A voler essere maligni si potrebbero magari trovare echi del suo stile nell’oratoria del Giannoni. Sono invece persuaso della tesi richiamata: che “è la televisione che ci fa credere che il parere di ognuno è equivalente al parere di ciascun altro al di là di competenze diverse e di diverse professionalità. Ci ha convinto che ormai tutti si può parlare di tutto. E ci ha convinto che questa è la libertà di opinione alla quale è correlato il diritto di parola. Non è vero, è un inganno. Facciamolo, se vogliamo, col calcio, ma non con le istituzioni”. Naturalmente il problema non è quello dei titoli e neppure degli studi (che, non posso negarlo, un po’ aiutano); ma quello della competenza, meglio se confortata dalla professionalità. Io, in genere, parlo delle cose su cui ho esercitato la mia attenzione e che ho analizzato con profondità, studiandole a fondo; non ho né materie riservate, né materie proibite: e così anche il bidello (non il mio, perché non ho neanche bidelli) o chiunque altro. Certo se mi devo fare un’idea del caso Sofri o sulle sentenze di Piazza Fontana o del Petrolchimico di Marghera non vado a informarmi al “Maurizio Costanzo Show” o a “Striscia la notizia”; e anzi ho imparato a fidarmi il giusto anche dei telegiornali, dei giornali, degli “speciali”, e così via; e ogni volta ripercorro tutte le vicende cercando di capire, senza voler affermare tesi preconcette. A me è più facile, perché lo fo per mestiere. Ma anche il Bidello tifoso della Fiorentina lo può fare, e spero tantissimo che lo faccia, così pensa meno alla Fiorentina (o ci pensa “meglio”) ed evita di esprimersi in difetto di informazione fidandosi solo del “foro più subdolo della propria opinione”. Poi voti come vuole. E’ vero: talvolta “gli intellettuali (e gli studenti) – come dice Giannoni– sono andati dietro ai pifferai di tutte le rivoluzioni possibili (quella bolscevica, quella morale azionista, quella culturale maioista, l’antifascismo militante, la rivoluzione giudiziaria…). A volte li hanno seguiti fino a scelte folli e violente”. E anche vero che talvolta sono andati dietro ai pifferai del Fascismo e del Nazismo, del Franchismo, dei “regimi” militari. Poi sono andati dietro ai pifferai dell’“immagine” e degli “spot”. Talvolta hanno pensato con la propria testa e hanno studiato, anche a rischio di rimanere in pochi, o soli. “La gente “normale”, a sinistra –prosegue Giannoni–, gli operai, i bidelli, stavano coi piedi per terra, col Partito (coi partiti), con il Sindacato, con Lama, volevano le riforme, le rivendicazioni salariali, lo statuto dei lavoratori, il divorzio, l’aborto, i diritti civili, cose così (che qualcuno liquidava come “borghesi”). Erano invece cose “popolari”, democratiche e anche “di classe”. Togliatti lo sapeva bene, Berlinguer meno”. Già! Poi è arrivato Maurizio Costanzo, e il Gabibbo. Ora, meno male, col “compagno” Giannoni sorge di nuovo il sole dell’avvenire.
luigi totaro