Certe volte questo, cari lettori, è proprio un mestieraccio. Ce ne accorgiamo nel caso si debba lavorare una notizia come quella che abbiamo dato in apertura del giornale: una trentina di righe su cui abbiamo passato delle ore, cercando di pesare e ripesare parola per parola, invidiando i giornalisti elbani di altre testate che hanno potuto lasciare l'incombenza di dover scrivere sulla vicenda ai loro colleghi livornesi. La notizia è (indubbiamente) di quelle che "strilla", che emerge da sola; non la si può edulcorare perché si corre il rischio di apparire reticenti ed insensibili verso problematiche (quelle della protezione dei minori e delle donne) che devono vedere impegnati tutti i cittadini (pubblici informatori o meno), ma anche solo riportandola nella sua essenziale crudezza, si rischia di contribuire a gettare un'ombra pesantissima su persone che non sono solo un nome sulla carta o su una pagina elettronica ma "gente" vera, che abbiamo conosciuto e che ci duole assai vedere impelagata in una brutta storia (brutta tanto che si dimostri vera come in caso contrario). Abbiamo scelto la linea della chiarezza, di dire quello che sapevamo, non per un pugno di lettori in più, ma come atto di fiducia nell'equilibrio delle persone che ci leggono. E' un'apertura di credito verso i 2500/3000 elbani e non che scorreranno queste righe, quelle persone che abbiamo tentato in questi anni di stimolare (dire educare sarebbe decisamente presuntuoso) ad assumere un atteggiamento di profondo rispetto sia nei confronti del lavoro di inquirenti e magistrati, sia dei cittadini ai quali si fa carico di comportamenti contro le leggi, potenti e deboli, amici o avversari di chi scrive. Chiunque essi siano, sempre e comunque nella presunzione di innocenza, perchè non si può essere garantisti a corrente alternata. Non è compito di chi scrive celebrare processi, assolvere o condannare; chi scrive deve raccontare i fatti ed eventualmente commentarli. E l'unico commento possibile in un caso come questo è esprimere la speranza di una rapida conclusione della vicenda, sia che la sentenza metta riparo ad un torto subito da una minore, sia che fughi le ombre di colpevolezza su un nostro concittadino. Un adagio elbano di profonda saggezza recita: "Le cose lunghe diventano serpi"
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