Terra Entro 50 anni la vita sul nostro pianeta potrebbe essere impossibile. L'Onu affida il suo grido d'allarme a un rapporto presentato in 9 capitali mondiali. Uno studio lungo 4 anni, preparato da 1.300 scienziati di 95 paesi. Le priorità: fermare il processo di desertificazione e proteggere le foreste Il 60% degli ecosistemi che mantengono la vita sulla Terra sono gravemente compromessi o sfruttati in maniera tale da non potersi più riprodurre. E le decisioni dei singoli paesi sui programmi di sviluppo economico e tecnologico sono troppo lontane dalla comprensione della gravità dei problemi che nei prossimi 50 anni la vita sul nostro pianeta potrebbe diventare impossibile. È il grido di allarme sull'ambiente e la possibilità di uno sviluppo economico sostenibile che l'Onu ha lanciato oggi da 9 grandi città, a partire da Tokyo, la prima in ordine cronologico secondo il fuso orario est-ovest, con la pubblicazione del rapporto Valutazione sugli ecosistemi del Millennio. Lo studio è stato preparato da 1.300 esperti e scienziati di 95 paesi, in stretta cooperazione con gli organismi internazionali e i governi dei paesi membri dell'Onu. Un lavoro di 4 anni, voluto nel 2001 dal segretario generale Kofi Annan sulla base degli obiettivi fissati dai leader mondiali nel Vertice del 2000 sugli obiettivi di sviluppo globale per il nuovo millennio. A Tokyo il rapporto è stato presentato dal sottosegretario generale e rettore dell'Università dell'Onu Hans Van Ginkel e dal direttore dell'Istituto di studi avanzati dell'Università dell'Onu, lo scienziato malaysiano A.H.Zakri. «Il rapporto dimostra - ha detto in un videomessaggio Annan - che le attività umane stanno causando danni ambientali su vasta scala in tutto il pianeta, e come la biodiversità, che è la vera base della vita sul pianeta, vada estinguendosi a un ritmo allarmante. Ma ci dice anche come noi e i i governi dei singoli paesi possiamo ancora cambiare direzione». «È significativo che il rapporto venga lanciato in anteprima mondiale proprio da Tokyo, capitale del paese che ospita l'Expo internazionale di Aichi 2005, dedicato al tema “La saggezza della Natura”. Mi auguro che si comprenda finalmente il disastro verso cui l'umanità si sta dirigendo. L'Onu fa la sua parte ma spetta ai singoli paesi membri avviare con urgenza i giusti processi decisionali», ha ricordato van Ginkel. Sono 4 le conclusioni del rapporto: gli ultimi 50 anni hanno visto i cambiamenti più rapidi ed estesi degli ecosistemi nella storia, a causa della domanda crescente di cibo, acqua potabile, legname, fibre e combustibili. Si è trasformato più terreno in coltivazioni agricole dal 1945 a oggi che negli interi secoli XVIII e XIX. Più della metà dei fertilizzanti sintetici a base di azoto, creati nel 1913, sono stati usati nel pianeta negli ultimi 20 anni. Questo ha portato a una perdita sostanziale e in gran parte irreversibile della biodiversità, con il rischio di estinzione di una percentuale dal 10 al 30% delle specie viventi di mammiferi, uccelli e anfibi. Dei 24 sistemi esaminati soltanto 4, tra cui i raccolti agricoli e i capi di bestiame, sono migliorati. Le risorse ittiche e l'acqua potabile sono molto al di sotto della domanda. La desertificazione e il disboscamento rischiano di far riapparire vecchie malattie come il colera e la malaria, con la comparsa di nuove. La sfida per arrestare e invertire il degrado degli ecosistemi può essere vinta solo all'interno di alcuni scenari che comportano significativi cambiamenti di politiche economici e istituzionali. Cambiamenti che per ora non si vedono all'orizzonte. «Il rapporto è allarmante. Ma occorre capire che l'inversione del processo di degrado comporta un approccio complesso, differenziato, continuativo, attento alle sfumature. Semplificazioni e spettacolarizzazioni non sono ammesse» ha ammonito van Ginkel. «Occorre però agire subito, sopratutto nei paesi in via di sviluppo, quelli dove il degrado degli ecosistemi significa il peggioramento della povertà e della fame - ha concluso Zakri - Se si mi chiedesse qual è il compito più urgente, non ho esitazioni: fermare il processo di desertificazione e proteggere le foreste naturali. Questo non soltanto conserva fauna e flora selvatiche, ma preserva l'acqua potabile e riduce le emissioni di carbonio, responsabili dell'effetto serra».