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Una giornata in Messico e un consiglio di lettura sul tema

Scritto da : Elena Maestrini
Pubblicato in data : mercoledì, 16 febbraio 2005

Plaza Garibaldi, Mexico D.F. - 1 gennaio 2005- Plaza Garibaldi non si è forse ancora ripresa dai festeggiamenti della notte precedente, che già si appresta ad essere teatro della prima partita del nuovo anno. Le statue di Lola Beltran, Cirilo Marmolejo Cedillo, Juan Gabriel e gli altri miti della musica popolare messicana, assistono solenni allo schieramento delle due formazioni in campo, mentre la logica abbandona la composizione delle squadre. Potrebbero essere passanti contro parcheggiatori, giovani contro adulti, amanti di tacos e tortillas in sovrappeso contro bevitori di pulque. Sono solo in sei, ma ognuno con lo sguardo determinato di chi vuol dare il meglio di sé, un vero ganador in maniche di camicia rimboccate, o in un paio di pantaloni che scesi sotto la cintura diventano impossibili da gestire. Le porte: due sassi da una parte, una panchina dall’altra; si corre, si lotta, si suda, ci si insulta, si ride. Importa davvero chi sta vincendo la partita della mattina di Capodanno? Nonostante il sole ormai alto, l’atmosfera è quella dello stadio Atzeca sotto i riflettori, anche se ogni tiraccio fra le sedie dei comedores lì intorno è accolto come una benedizione della Vergine di Guadalupe per riprendere fiato, e non ci sono ringraziamenti per quel cameriere invidioso, che invece di continuare a lavare tavoli, rilancia subito il pallone in campo. Forse nessuno tiene il punteggio, di sicuro non quelle strane figure affatto interessate al risultato, che lentamente, con fare solenne come a rendere omaggio agli eroi di bronzo, consapevoli dell’eredità che rappresentano, si muovono ai bordi della piazza, verso il patio affacciato su Avenida Lazaro Cardenas; dieci, poi venti, poi cinquanta e più, vestiti soprattutto di nero, ma spiccano anche alcune macchie bianche, in quella piccola folla silenziosa, discreta, che come ogni giorno si raduna a prendere possesso del luogo dedicato dalla consuetudine e dalla tradizione alla musica mariachi. Chitarre incrociate cercano accordi giusti; larghe cravatte rosse annodate in svolazzanti fiocchi e spille a forma di cavalli, sfilze di medaglie mai vinte, pompose bordature argentate sulle maniche e giù fino agli stivali lucidissimi, a tracolla le scure custodie degli strumenti, il tempo passa e questo è l’importante. Non c’è ansia, non c’è fretta, la musica è prima di tutto un pretesto per incontrarsi, per una bevuta, mentre qualcuno suona qualcun’altro lucida la tromba, altri ancora affrontano i primi tacos de chorizo della giornata. Il tempo passa e questo è l’importante; señor, chieres Cielito lindo, Mexico lindo, El maracumbe? E’ mattina e il lavoro vero comincia solo verso il tramonto, ma ciò che ha senso è il prima – dame un trago de cerveza por favor – l’attesa da consumare insieme, le note e la loro condivisione qualcosa che va oltre l’ingaggio per la serata, per questi uomini solo in apparenza tutti uguali, i capelli impomatati pettinati all’indietro e i baffi portati con orgoglio mexicano. Lola Beltran intona idealmente La tequilera mentre la piazza si anima di sacerdoti della Mariacheria. Yo soy de San Luis Potosì, canta la Divina e le chitarre le vanno dietro; E’ così lontano il rock en Español? Maldita Vencidad, Caffè Tacuba giovani oltre la storia, ma solo in apparenza, perché in fondo calcio e musica possono scandire la percezione del trascorrere del tempo. In una nota, o in un gol, a sancire la fine di una canzone o di una partita tre contro tre l’essenza di uno stato d’animo descpacito despacito, che appartiene tanto all’automobilista assonnato ma con i finestrini aperti a sfogo dei 1000 watt di impianto stereo, quanto al romantico mariachi, eterna reincarnazione di Jose Alferdo Jimenez, fino al tifoso dell’America, che ad ogni gol del porteño Claudio Lopez balla e canta il sabbah del giorno dei morti degli indios Purepecha. Così, mentre gli uomini neri dai fregi d’argento riempiono plaza Garibaldi di suoni di guitarrónes e chitarre vihuela dalla forma strana, intrecciati a quello delle trombe, di qualche violino e delle voci di fedelissimi di Cirilo Marmolejo Cedillo, la partita fra le porte di sassi e panchina aspetta, languida, la giusta apoteosi della non vana attesa, l’attesa della magia, come un accordo, tequila in un Margarita, chicharrones e cerveza. Sentirsi Hugo Sanchez è un attimo. Ed ecco che più della cintura che non regge poté, per i contendenti senza logica ma pieni d’orgoglio, la voglia di sentirsi al centro del mondo, allo Zocalo, di Atzeca memoria nel nome dello stadio e nella tradizione precolombiana, e la palla, colpita con il giusto effetto, improvvisa, come una canzone inizia la sua parabola, incantesimo del tempo che passa, si alza sulle teste e sulle pance dei peleadores. Dietro di lei, come le note di Juan Gabriel in una notte mariachi, stagliati nel mattino che si consuma, una scarpa, e quel che resta di una suoletta di cartone, seguono l’inatteso pallonetto scavalcando tutti, per depositarsi, precisi e fermi, prepotenti e casuali, fra le zampe della porta-panchina, in Plaza Garibaldi, il primo giorno del nuovo anno. Braccia al cielo, all’invisibile pubblico di uno spettacolo di calcio e musica solo immaginario. O forse no. Que golazo… señores ! Quieres Cielito lindo ? Feliz Año Nuevo. Que viva Mexico. Michele Castelvecchi Pino Cacucci La Polvere del Messico Un ottimo modo per conoscere l’altra faccia di un paese è senza dubbio quello di affidarsi alle parole di chi, viaggiando, ha incontrato personaggi caratteristici o anonimi, reali ma sconosciuti, attraverso percorsi che difficilmente sono quelli tradizionali. Giocatori di ullamazitli (la pelota degli Atzechi) a Esuinapa, pescatori Nahua del Michoacan, taxisti di Città del Messico, storie quotidiane e antiche leggende raccolte su autobus di provincia o in casa di ospiti occasionali. Pino Cacucci ripropone “La polvere del Messico” in una nuova edizione, ampliata con altre esperienze messicane, dal confine con gli Stati Uniti a Ciudad Juarez, al Lago di Patzcuaro, da sempre fulcro delle tradizioni degli indios Purepecha, fino a Tapachula, città di frontiera di disperati centroamericani e banditi ex militari di Salvador e Guatemala. Un modo per integrare qualsiasi guida tradizionale e lasciarsi condurre nel cuore di un paese straordinario. Pino Cacucci La polvere del Messico Feltrinelli Euro 7,50


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