Caro Sergio, qualche anno fa “Famiglia cristiana” fece una copertina con un Gesù in completo grigio con gilet, suscitando lo stupore critico di molti lettori: in realtà l’operazione era (consapevolmente) analoga a quella dei grandi pittori del Rinascimento, che vestivano i personaggi sacri dei loro dipinti con gli abiti che vedevano indosso ai propri contemporanei, senza che nessuno se ne stupisse. Anzi, il carattere simbolico di particolari della raffigurazione poteva essere trasmesso solo in virtù della contemporaneità e della condivisione dei “linguaggi”. San Francesco avrà vestito i personaggi del suo presepe con gli abiti dei suoi contemporanei; e il processo di attualizzazione è proseguito, mi pare, nella tradizione, producendo talvolta veri e propri oggetti d’arte. “Ma che senso ha oggi, ricordare una cosa avvenuta 2000 anni fa con delle statuette agghindate come si andava in giro 300 anni fa?”, ti chiedi? Una risposta può forse trovarsi nella perdita di senso sostanziale che questa, come tante altre tradizioni, sta subendo, perdita testimoniata, in questo caso, dall’inutile dibattito sul presepe o sul Crocifisso, o sulle recitine natalizie dei bimbi nelle scuole; e più in generale nella perdita di senso della festa del Natale nel mondo occidentale. Tanto che sempre più stridente appare il contrasto tra la tradizione religiosa e quella folclorica, divenuta ormai uno scaramantico rito di ripresa economica (quanto si spenderà per i panettoni, per lo spumante, per i regali, per i viaggi, per gli addobbi, per i tristissimi “tris” -panettone, panforte, bottiglia- ai dipendenti, e quant’altro), con tanto di comparazioni con gli anni precedenti, con il PIL, con i consumi che non riprendono. Il Natale è così diventato una festa assolutamente pagana, tornando alla sua origine, e pertanto riassorbendo nel rituale dell’Equinozio d’inverno, della morte dell’Anno vecchio, la “Novità”, la “buona nuova” introdotta dal Cristianesimo. Una “novità” grandissima, importante, “annunciata” come grande speranza a tutti gli uomini “disposti a voler bene”: un “Uomo nuovo” era nato, destinato a vincere la morte. Nuovo, perché non compromesso con il passato di violenza rappresentato dal peccato di Adamo (che aveva creduto di diventare simile a Dio tramite conoscenza invece che tramite amore, quell’amore che Dio gli aveva dato tramite il suo respiro -lo Spirito- chiamandolo a vita nel momento della creazione, secondo la narrazione biblica); e che per significare di non essere compromesso aveva preso vita nel seno di una giovane donna “concepita senza il peccato d’Adamo”, e quindi incapace di ogni violenza, lontana da ogni competizione, simile a Dio per amore e perciò amata da Dio. “Nuovo”, ancora, perché nato “nudo”, senza niente, “povero”, nel seno della terra (la “grotta”), e non nella immaginazione fantastica di Olimpi luminosi e affollati di dei creati a immagine e somiglianza degli uomini. La “buona nuova” era annunciata a tutti, perché tutti la riferissero a sé: non era necessario -non è necessario- essere “credenti”; basta essere appunto disposti a voler bene (“uomini di buona volontà”), a mettersi in crisi, a far nascere in noi il “noi nuovo”. Ma questo con il Natale al quale ci avviciniamo “che ci azzecca”? Chiamati tutti a una recita di ipocrisia ormai istituzionalizzata, fingiamo una bontà che ci porta a consumare in una settimana quanto risolverebbe per un anno i problemi di sopravvivenza di tutti coloro che si trovano in stato di povertà, salverebbe intere popolazioni da piaghe terribili, darebbe senso a un rinnovamento vero della nostra vita e della nostra società. E invece la “festa della bontà” diviene solo una cerimonia di esibizione di ricchezza e di vanità. Caro Sergio, vedi bene che non sono solo le statuine a essere finte, a Natale. Come quei giovanotti che girano per le strade di città, col buffo costume rosso a bordi bianchi per “ingannare” i bambini, anche noi siamo chiamati a una parte in questa grande recita del mercato, spacciando un affetto occasionale e momentaneo e un’attenzione di superficie per comprare con due lire la gratitudine frustrata di chi ci chiede amore e da noi riceve solo un “regalo”. Per questo sono d’accordo con te: “nun me piace ‘o Presepe”; e neppure l’Albero. Anzi, nun me piace manco ‘o Natale, così. Buon anno a te e a tutti.
presepe napoletano