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Giglio: Una favola vera

Scritto da : Elena Maestrini
Pubblicato in data : martedì, 21 dicembre 2004

Vogliamo proporvi questo scritto del Dott. Armando Schiaffino, ex Sindaco del Comune di Isola del Giglio, stimato medico di famiglia e storico locale. E’ interessante notare in questa storia, non a caso ed in modo appropriato definita “Una favola vera”, come tutti i personaggi siano realmente esistiti e le situazioni ormai passate di uno spaccato di vita isolana, siano di fatto accadute, in un periodo non molto lontano ma ormai irrecuperabile se paragonato ai ritmi frenetici della vita attuale. La situazione oggi incredibile di una bambina affascinata da un frutto o dal nonno che per andare alla vigna è costretto ad adoperare un’imbarcazione a remi ci fa pensare e ci riporta indietro nel tempo, molto lontano dall’attuale “impazienza” generazionale, dalla tecnologia, dai computers o dalle bambole “Barbie”, ma ci aiuta a rivivere la gioia e la contemplazione di un momento che ormai per noi è soltanto un lontano ricordo e per altri Medio Evo. A.A. “Era impossibile che non si fossero mai visti. Mario aveva 10 anni e lei ne aveva sette ma erano nati nello stesso paese in riva al mare, un semicerchio di case parallelo alla spiaggia, di poche centinaia d’anime. Mario era stato a cogliere delle pere campane. Dalla finestra della sua casa, sulla “cote di San Lorenzo” dove abitava, la bambina lo vide passare e domandò alla mamma il permesso di chiedere una pera in regalo. Figuriamoci se proprio lui, che per il resto della vita non sarebbe mai stato capace di dire no a nessuno, poteva rifiutare una pera ad una bambina così carina, con gli occhi chiari e le trecce bionde. Arrivato sulla spiaggia trovò il nonno Nicolaio che doveva andare con la barca, la “Benedetta”, alle vigne dei Puntoni a cogliere l’uva, ma si era appena accorto di una falla e le barca doveva essere riparata. Il vecchio bottaio (e all’occorrenza calafato) soprannominato “Tamburino”, nonostante il giorno festivo, non si fece pregare due volte e riparò la barca. Così Mario decise di andare con il nonno ai Puntoni, naturalmente a remi perché all’epoca non c’erano motori, vogando con maggior energia del dovuto perché la vecchia e pesante Benedetta aveva la chiglia storta per un difetto di costruzione. Quando furono in vista delle vigne, il nonno gridò a Mario: “Guarda, un bove marino!”. Una grossa foca si era infatti arrampicata sui liscioni di granito per entrare nelle vigne più basse a mangiarsi l’uva. Vistasi scoperta, la foca si appallottolò e si lasciò rotolare in mare, dove scomparve. Era raro vedere il bove marino; era più facile vedere i suoi escrementi che sembravano palle di paglia spinte sulla spiaggia; ma poi si seppe che quelle palle erano solo ammassi di alghe arrotolati dalle onde: infatti quelle ancora esistono, mentre i bovi marini non ci sono più. Ai Puntoni Mario salutò Barberina, vecchia e curva contadina vestita di nero, semplice e spontanea, che in tempo di vendemmia dormiva in un capannello in mezzo alle sue vigne, confinanti. Faceva questo per sua comodità e non per timore di furti d’uva, perché, in tanti anni, non se ne erano mai verificati. Nonno Nicolaio vide dei fasci di legna appena tagliati nella sua macchia, chissà da chi. Decise di prenderseli; ma quando alcuni giorni dopo un uomo del Castello (l’altro paese dell’isola) gli disse che erano suoi, invece di contestargli che erano stati tagliati nella sua macchia glieli riportò, insegnando a Mario che nella vita il privilegio del quieto vivere è superiore a qualsiasi bene materiale. Tornato in paese, Mario si recò nel bar si proprietà della sua mamma (la “Marchesina”). Fuori quel bar il suo babbo, marinaio che aveva dovuto smettere di navigare per una ferita della 1^ Guerra Mondiale, in autunno arrostiva e vendeva castagne. Poi un giorno nonno Nicolaio morì. Morì senza essere più tornato in un suo orto (degli “Angiolini”), posizionato su più terrazze di terreno e dove c’erano anche una sorgente ed un pozzo. In quest’orto, fra il fresco degli alberi, cenava pure, le sere d’estate, con la moglie Benedetta, finché la nuova strada provinciale non glielo segò in due. Volle continuare a ricordarlo come era prima. Morì con gli occhi aperti. La credenza popolare sentenziò che ci sarebbe stato, a breve scadenza, un altro morto. Qualche sera dopo Mario, che dormiva non in casa (non c’era posto) ma a rotazione da vecchie zie vedove che dormivano sole (quella sera era da zi’ Catecco) sentì un forte fragore e si spaventò pensando che era il nonno che chiamava un altro morto. In realtà era il terremoto del 1931 che fece scappare molti paesani nel bar della mamma, dove, forse perché tutti insieme, si sentivano più sicuri. Ora anche nonno Mario non c’è più. Era malato allo stomaco come suo nonno Nicolaio. Uscendo da una delle ultime gastroscopie, forse per effetto della pre-anestesia, vide una bambina bionda. Chissà se era la nipotina o un’altra bambina bionda che tanti anni prima gli aveva chiesto una pera e che poi, da grande, aveva sposato. Vide suo nonno Nicolaio, la “Benedetta” con la chiglia storta, il calafato Tamburino, rivide il bove marino che si rotolava in mare e la vecchia Barberina. Sembrava tutto vero. Quando ci ha lasciati aveva gli occhi aperti. La nonna lo raggiunse qualche settimana dopo, in tempo per trascorrere insieme il Natale”.


giglio mare mosso panorama

giglio mare mosso panorama