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“Andrea si è perso” una canzone degli anni 70 che racconta l'oggi

Scritto da : Sergio Rossi
Pubblicato in data : giovedì, 09 dicembre 2004

“Andrea si è perso, non sa tornare” diceva una bella canzone di De André negli anni ’70. Andrea era morto in guerra sui monti di Trento, portandosi dietro l’amore e il dolore di riccioli neri. Ieri, con una operazione di polizia, in un subquartiere di Napoli, sono state arrestate oltre cinquanta persone accusate di associazione mafiosa; il magistrato, richiesto di commentare questa “vittoria” contro la malavita organizzata, ha dichiarato che non si può parlare di vittoria finché sussiste una guerra che vede coinvolti giovani “senza passato e senza futuro”. Anch’essi ragazzi persi che non sanno più tornare, morti o vivi che siano, per di più senza rimpianti e senza desideri. Quanti gli “Andrea” anche in mezzo a noi? Quelli che si perdono e non tornano più davvero; quelli che si sono persi, e stanno ora schiacciati dal loro passato, e intravedono solo un futuro oscuro; quelli spenti nella noia e nell’incapacità di trovare un senso a una vita “che un senso non ce l’ha”, come racconta oggi Vasco Rossi. Rappresentano la nostra inquietudine o la nostra angoscia, e preferiamo non vederli o non parlarne, almeno fino a quando un “incidente” non ci costringe a farlo, fino a quando un gesto estremo non ci strappa alla nostra “distrazione”. Ma in questi giorni cinquecento giovani portoferraiesi con un loro documento, e un nutrito gruppo di giovani campesi in una riunione pubblica, ci hanno chiamato. Questa volta fuori da ogni possibile equivoco di autogestioni con troppa facilità liquidate come giocosi pretesti di disimpegno scolastico. Ci hanno chiamato, e ci hanno fatto una richiesta precisa: di dare loro uno spazio, di trovare per loro uno spazio. E’ una richiesta importante, di una concretezza che non va disattesa: infaticabili costruttori di spazi da ‘vendere’ ad altri, abbiamo lasciato le nostre comunità (salvo felici eccezioni) senza spazi per noi, per stare insieme –sembra che non sappiamo più cosa farne–; e per loro, che invece hanno voglia e bisogno di stare insieme, di parlare, di trovarsi, per vedere se è possibile riuscire insieme a non “perdersi”, a vincere la guerra contro la disperazione o il vuoto, che lambisce anche loro. Ma, con altrettanta concretezza, lo spazio che ci chiedono è anche spazio nella nostra vita di adulti; spazio di cittadinanza nella nostra città di adulti, di soli adulti; spazio politico nella nostra politica di adulti, che continuiamo a dire fatta per loro, ma che continuiamo a costruire a nostra immagine e somiglianza. Lo spazio che ci chiedono è spazio di vita, della nostra personale vita di genitori, che forse pensiamo di fare tutto per loro senza domandarci se davvero loro vogliono quello che noi facciamo, se si contentano delle “cose” che possiamo dare, dell’agiatezza che perseguiamo per loro solo perché era il “nostro” desiderio da ragazzi. Cerchiamo di comprendere bene la complessità di questa richiesta, oltre il suo apparire indeterminata o limitata; e stiamo bene attenti a non lasciarla cadere, per indifferenza o per paura di non essere adeguati. Non ci chiedono una “cosa”; ci chiedono di condividere un loro progetto, di partecipare con le nostre disponibilità, le nostre possibilità, le nostre responsabilità, la nostra ‘passione’ alla realizzazione di una condizione che giudicano necessaria alla loro crescita, alla loro maturazione. Dovremo rivedere forse i nostri progetti privati e pubblici, ridestinare investimenti e risorse, inventarceli magari, a costo di ridisegnare piani di sviluppo e modelli di organizzazione: ci chiedono di dimostrare se e quanto contano per noi, se davvero li consideriamo il nostro futuro, come spesso ci troviamo a dire. E’ un’occasione importantissima: una mano tesa che può preludere all’apertura di un dialogo, a uno scambio vitale. Soprattutto per noi: perché per ogni Andrea che si perde e non sa più tornare il costo della disperazione è impagabile; mentre ogni strada trovata o ritrovata da un figliolo verso una vita adulta, matura, serena costituisce il senso più rilevante della nostra vita di genitori, di educatori, di cittadini. Il frutto più felice di ogni possibile investimento.


luigi totaro

luigi totaro