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LE MINIERE DELL’ELBA : FRA I MITI E LA STORIA

Scritto da : Sergio Rossi
Pubblicato in data : giovedì, 25 novembre 2004

LE MINIERE DELL’ELBA : FRA I MITI E LA STORIA Giuseppe Tanelli Dipartimento Scienze della Terra-Università di Firenze Premessa Ilva…inexhaustis chalybum generosa metallis (Virgilio; Eneide, X, 174) Nel 1924, nella prima edizione francese di “ Geochemie “ , V.Vernadsky uno dei padri storici della geochimica con grande lungimiranza , scriveva : “ Le attività umane nel nostro Pianeta sono divenute il più grande agente di trasformazione geologica e geochimica”. Dopo ottanta anni, ed in particolare negli ultimi trenta , le conoscenze sui limiti e le fragilità del pianeta Terra sono un dato acquisito dalla comunità scientifica, organi di governo e da vasti settori della pubblica opinione. Il riscaldamento della Geosfera, le variazioni climatiche, la desertificazione, il fabbisogno energetico, lo smaltimento dei rifiuti, lo stoccaggio delle scorie nucleari, l’approvvigionamento idrico e di materie prime, il rischio vulcanico, sismico ed idrogeologico, sono alcune delle problematiche ambientali i cui echi sono trasmessi quotidianamente dai media. Mai come oggi la carenza di una diffusa cultura geologica viene avvertita come un vero disagio, come una mancanza di strumenti atti a decifrare una realtà complessa , troppo spesso condizionata da devastanti interessi economici e politici, arroganze tecnologiche e talora , emotività contingenti e integralismi ideologici. “La divulgazione scientifica”, riprendendo un vecchio scritto, “nella accezione culturalmente valida ben nota al mondo anglosassone diventa una esigenza indispensabile per sopperire a tali carenze” (Tanelli,1975). Sempre di più si impone l’esigenza di comunicare, e di trasferire le conoscenze geologiche nella società civile e da lì, nelle politiche, nelle economie e nelle “governance” locali, nazionali e globali. Oggi tanta strada è stata fatta. Si sono superati antichi steccati culturali e pratici, e anche le nostre ricerche sempre di più e giustamente si “contaminano” con la società civile. Al riguardo non possiamo non destinare un particolare riconoscimento a Mario Tozzi ed alla sua trasmissione televisiva “Geo & Geo”. La ricerca scientifica nei vari settori delle Scienze della Terra e la diffusione dei risultati è la nostra sfida per una gestione compatibile del Pianeta e per lo sviluppo sostenibile. Parole forse un po’ troppo usate ed abusate, ma che esprimono il semplice concetto riportato nella Carta dei Principi di Rio de Janeiro del 1992 : “Gli esseri umani hanno diritto ad una vita sana e produttiva in armonia con la natura”. Un potente mezzo di divulgazione si dimostra sempre di più il “turismo geologico”, in sinergia ed integrazione con il più vasto “ecoturismo” . Si tratta di valorizzare e stimolare curiosità sui beni mineralogici, paleontologici, storico-minerari , geomorfologici e paesaggistici- dei quali abbondano tutte le Regioni del “ Bel Paese”- quale mezzo affinché “la cultura dell’ambiente” in tutte le sue espressioni naturali e antropiche, divenga una delle culture dominanti del terzo millennio. Nel recente 32° IGC di Firenze si sono tenuti, con successo, vari Symposia su: Geoturismo, Geositi, Geoparchi, Geoeredità culturale. A Bologna il 3-4 Novembre passato si è tenuto il 2° Congresso Nazionale Geologia e Turismo e si è concretizzata, grazie in particolare alla pionieristica azione di Giorgio Zanzucchi, l’omonima Associazione Nazionale (ANGT). Da tempo operano la SIGEA e proGEO, oltre a numerose iniziative locali e regionali. Nei Progetti di ricerca di interesse nazionale (COFIN 2004) è stato finanziato un progetto coordinato da Mario Panizza sul patrimonio geomorfologico per il turismo sostenibile. Si stanno moltiplicando le iniziative e le concretizzazioni di geositi, geoparchi, e geomusei a difesa della geodiversità. In questo contesto non poteva mancare l’Isola d’Elba. Come noto, essa è il contenitore di un patrimonio mineralogico e storico-minerario di risonanza internazionale, inserito in un quadro stratigrafico-strutturale e geomorfologico-paesaggistico di grande interesse scientifico e suggestiva bellezza. Nel 1981, con la chiusura della miniera del Ginevro sono terminate le millenarie attività estrattive nei suoi celebri giacimenti ferriferi che, accanto ad un patrimonio unico di vestigia storico-archeologiche e tradizione hanno lasciato non secondarie esigenze di bonifica e ripristino ambientale.Da subito è iniziato un lungo e difficile percorso teso a trasformare dei “beni minerari” in “beni culturali”, in un contesto socio-economico in cui alle attività primarie e secondarie legate all’agricoltura, alle miniere ed alla siderurgia , si erano andate sostituendo fino dagli anni cinquanta le attività del terziario avanzato legate all’industria turistica. Un turismo iniziato, come normale, con caratteristiche spiccatamente elitarie e che, gradualmente, si è trasformato in un turismo di massa prevalentemente di tipo estivo e balneare. Questo turismo mostra oggi sempre di più i suoi limiti ambientali ed economici, e si allarga negli operatori del settore l’esigenza di spalmare la domanda turistica in un arco di tempo più ampio sviluppando iniziative di turismo congressuale, scolastico, terza età ed ecologico, con particolare riguardo al geoturismo. Alla fine degli anni ottanta si è concretizzata l’istituzione del Parco Minerario e Mineralogico dell’Isola d’Elba .Nel 1990 numerose aree ex-minerarie sono state inserite nella World Heritage List of Geological Sites dell’Unesco, e finalmente nel 1996 è stato istituito il Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano- inserito nella International Union Conservation of Nature (IUCN) e nelle Riserve della Biosfera MAB-Unesco - entro il quale sono comprese la quasi totalità delle aree minerarie. Nel corso del 2004 il mondo geologico internazionale si è impegnato contro la possibile mercificazione del patrimonio culturale e materiale dell’ex-compendio minerario elbano, trasferito dal Demanio dello Stato che ne è proprietario alla Coni Servizi Spa, una società nata per ripianare le perdite del gioco del calcio. L’appello lanciato nel Febbraio del 2004 e accolto dalla FIST (GeoItalia, n.13, Luglio ’04) ribadito durante il 32° IGC (32° IGC Informs, n.3, 22 Agosto ’04), fatto proprio da associazioni ambientaliste (Legambiente, WWF, Italia Nostra, Mare Vivo), Regione Toscana, Provincia di Livorno, Comune di Rio Elba, cuore della tradizione mineraria elbana, Parco Minerario, forze politiche e sociali, semplici cittadini, ha avuto un notevole rilievo nella stampa locale e nazionale. Nel Settembre scorso la Coni Servizi Spa ha rinunciato all’acquisizione dell’ex-compendio minerario elbano. Abbiamo vinto una bella tappa di un percorso di cultura e di civiltà, ma non abbassiamo la guardia poiché dobbiamo arrivare con la maglia “rosa” alla fine del Giro. Questa nota, rispondendo al gentile invito di Cesare Roda, riguarda la storia mineraria dell’Isola. Vuole essere un piccolo ringraziamento, anche a nome di coloro che lavorano per la valorizzazione ecoturistica dei “giacimenti culturali” elbani, alla Federazione Italiana Scienze della Terra (FIST) e ai tanti colleghi che si sono impegnati e , sono certo, si impegneranno per la loro tutela e conservazione. Le pubblicazioni sull’Isola d’Elba inerenti le discipline geologiche e “dintorni” sono, come sappiamo, numerosissime. Riferimenti di base e più recenti, dai quali è possibile sviluppare eventuali approfondimenti possono essere: Tanelli (1995); Morini D. e Bruni P. Ed. (2004); Tanelli e Benvenuti (1998); Tanelli et al. (2004); Benvenuti et al. (2004). Dalle pietre al “ metallo che viene dal cielo “ Le testimonianze delle prime frequentazioni umane dell’Isola d’Elba risalgono al Paleolitico inferiore e medio, come testimoniato dai numerosi ritrovamenti di strumenti litici in diaspro e calcare di industrie acheuleane e musteriane conservati nei Musei Archeologici di Portoferraio, Marciana e Rio nell’Elba. Le frequentazioni continuano per tutto il Paleolitico superiore in una situazione paleogeografia di marcata “continentalità”. All’acme della glaciazione wurmiana (attorno a 20.000 anni fa), il livello del Mar Tirreno si abbassa di circa 100 metri rispetto al livello attuale. L’Elba, Pianosa e l’Africhella, unite alle terre della Val di Cornia formano una vasta penisola che si protende verso la Corsica ed arriva fino ad una decina di chilometri dalle coste di Capraia e Montecristo. Con il lento sciogliersi dei ghiacci del Wurm si ha un generale innalzamento del livello dei mari e quando attorno a 10.000 anni fa a Gerico e Tell-es-Sultan in Palestina ed a Catal Huyk nell’Altopiano anatolico, inizia il Mesolitico – il periodo di transizione fra il mondo dei cacciatori, raccoglitori e scheggiatori del Paleolitico, e quello degli agricoltori, allevatori e ceramisti dal Neolitico – l’Elba, con la trasgressione Versiliana torna nuovamente ad essere un’isola staccata dal continente maremmano. Nell’Isola mancano manifestazioni Mesolitiche, ed anche quelle Neolitiche, costituite da sporadici strumenti in ossidiana, pietre verdi, selce e diorite ,sono molto scarse. Attorno al V millennio a.C. le popolazioni del Vicino e Medio Oriente, dell’Indo, dell’Egeo, delle Aree danubiane e balcaniche, scoprono l’arte di estrarre il rame dai suoi minerali. La metallurgia cuprifera si diffonde quindi, fra la fine del V millennio e la prima metà del III millennio a.C., attraverso i valichi alpini e/o le rotte mediterranee, nella Penisola. E’ di rame l’ascia che impugnava l’uomo di Similaun quando, 3300 anni a.C., percorreva le valli del Tirolo e la morte lo colse tra i ghiacci dell’alta Val Senales. Nella miniera di Libiola, posta sui monti al confine tra Liguria e Toscana- coltivata fino ad alcuni decenni fa per mineralizzazioni cuprifere associate a complessi ofiolitici - sono stati ritrovati strumenti di pietra e di legno atti allo scavo datati intorno ai 2600 anni a.C. , con il metodo del radiocarbonio. Strumenti litici ed oggetti in rame di industrie eneolitiche sono stati segnalati in varie località dell’Isola d’Elba, ma è nella necropoli della Grotta di S.Giuseppe, nel territorio di Rio, che sono state ritrovate le più suggestive ed importanti testimonianze del tardo Eneolitico (tra la fine del III e l’inizio del II millennio a.C.), del territorio elbano. Nella grotta, i cui reperti sono conservati nel Museo di Rio Elba, sono stati individuati i resti di una ottantina di corpi maschili e femminili, sepolti con un ricco corredo eneolitico fatto di materiali ceramici, cuspidi litiche di frecce, punte in osso, armi e manufatti cupriferi e forse anche di un frammento bronzeo, sfortunatamente andato perduto (Bedini et al., 1999). Si ritiene che gli uomini e le donne della grotta di S. Giuseppe appartenessero a quella “Cultura di Rinaldone” che fiorì per tutto l’Eneolitico nella Toscana meridionale e nel Lazio, la dove sono localizzate le più importanti mineralizzazioni metallifere dell’Italia peninsulare. Non ci è ancora dato sapere se i Rinaldoni elbani fossero dei cercatori di minerali e neppure se nell’Eneolitico vi sia stata una coltivazione delle limitate risorse cuprifere dell’Isola. Resta il fatto che mineralizzazioni a rame, con i loro tipici minerali policromi di alterazioni, assolutamente inconfondibili all’occhio di un buon prospettore, sono presenti in varie località elbane: Fornacelle, Calamita, Pomonte, Colle Reciso. Si tratta di mineralizzazioni modestissime, che in periodi storici non hanno mai dato luogo ad attività estrattive di rilievo, ma che nell’ambito delle economie a piccola scala della prima Età dei Metalli, potevano rappresentare delle risorse di tutto rispetto. Quando nelle aree tirreniche, intorno alla metà del III millennio a. C., si avevano le prime manifestazioni dell' Eneolitico, a Menfi, Ebla, Ur, in Anatolia ed a Cipro, già ormai da circa cinquecento anni si conosceva la metallurgia del bronzo. Nelle regioni dell'alto Tirreno l’inizio dell’Età Bronzo (“Bronzo Antico”) si usa datare attorno al XVIII -XVII sec. a.C. La sua tecnologia poi si svilupperà con le culture appenniniche, sub-appenniniche e protovillanoviane fino al XII-X sec. a.C. ("Bronzo finale"). All’Isola d’Elba i reperti dell’Età del Bronzo antico e medio sono molto scarsi, mentre sono numerosi gli oggetti bronei attribuiti al bronzo finale ed alla prima età del ferro (IX-VIII sec. a.C.), alcuni dei quali, come avviene nel prospiciente territorio di Populonia, di palese derivazione Sardo-Corsa. E’ possibile che all’Elba si siano espletate attività metallurgiche per il bronzo. Igino Cocchi in una sua pubblicazione su “Di alcuni resti umani e degli oggetti di umane industri dei tempi preistorici raccolti in Toscana” (Cocchi, 1865) riporta la raffigurazione di una “forma a getto per arme in bronzo” provenienti da Colle Reciso. Purtroppo dello stampo si sono perdute le tracce e oggi gli archeologi dubitano della sua autenticità. Ma gli elementi archeologici del Bronzo Finale - Prima Età del Ferro di maggiore fascino presenti all’Elba, per quel senso di mistero che ancora li avvolge e per la bellezza dei paesaggi in cui sono inseriti, sono costituiti dai resti di insediamenti abitativi, luoghi sacrali e sepolcreti del Monte Capanne, Monte Cocchero e Cima del Monte, attribuiti a culture sub-appenniniche ed appenniniche. Di questi insediamenti, che talora si manifestano con strutture che ricordano le civiltà megalitiche, e attribuiti in parte al XII - VII sec. a.C., molto ancora dobbiamo sapere. Attraverso un intreccio di storie e leggende essi ci riconducono sulle tracce dei mitici "Ilvates", alle prime frequentazioni delle coste elbane di greci e fenici, fino alle possibili migrazioni dei Tirreni “i costruttori di torri” della Sardegna nuragica e alla “ nascita “ della cultura metallurgica Etrusca. In questo contesto si inseriscono le ricerche clamorose di un giornalista-archeologo, Sergio Frau, sulla individuazione della mitica “Atlante” e la collocazione geografica delle “Colonne d’Ercole”, tradizionalmente individuate nello Stretto di Gibilterra. La ricerca di Frau ha avuto un notevole riscontro nel mondo scientifico e per la fine dell’anno è progettato sotto il patrocinio dell’Unesco un grande convegno mondiale per discutere la “nuova mappa del Mediterraneo antico” proposta da Frau (FRAU, 2002, 2003, 2004). Una mappa che individua nella Sardegna la mitica Atlante, nello stretto fra Sicilia e Tunisia, le Colonne d’Ercole, nella migrazione dei Tirreni i diffusori della metallurgia del bronzo nell’Alto Tirreno ed i possibili co-protagonisti della civiltà etrusca, e pone non secondari interrogativi sull’approvigionamento dello stagno fenicio dalle Cassiteriti ed il ruolo che hanno avuto nel Mondo antico le mineralizzazioni stannifere di M.te Valerio nell’entroterra di Populonia. Poi arriva l’Età del Ferro, “il metallo che viene dal cielo” a testimoniare l’antico uso che i“ferri meteoritici” ebbero nelle prime civiltà mesopotamiche. Secondo la tradizione, tramandataci dall’opera pseudo-aristotelica "De mirabilibus auscultationibus" (scrittore anonimo del II sec. a.C.), si individua la “culla” della siderurgia nelle terre anatoliche e caucasiche abitate dai Calibi, sudditi dell’Impero Ittita, e si fissa attorno al XIV-XIII sec. a.C. la sua nascita. In effetti, la vera grande scoperta dei Calibi, o di chi per loro, non fu tanto quella di sapere estrarre direttamente il ferro da ossidi e carbonati per riduzione, quanto di avere individuato il modo di renderlo più duro del bronzo, acciaiando la superficie di armi ed utensili mediante carburazione. Nel XIII sec a.C., più o meno dello stesso periodo di tempo in cui gli Achei, sbarcati nelle coste nord occidentali dell'Anatolia, distruggevano la Troia di Omero, si ebbe il crollo dell'Impero Ittita per l'invasione dei tanto celebri quanto misteriosi “popoli venuti dal mare”. La siderurgia si diffonde nel Vicino Oriente, in Egitto, nelle isole e nelle coste dell'Egeo e, fra il 1000 e l'800 a.C., penetra in Europa attraverso quelle vie terrestri e marittime che ormai da tempo interessavano l'Egeo, la Valle danubiana, il Tirreno e l'Adriatico. Nei territori appenninici le conoscenze tecnologiche sul primo ferro si associano alla cultura villanoviana e più o meno convenzionalemente si fanno iniziare attorno al IX sec. a.C. Nella “Descrizione geologica dell'Isola d'Elba” di Igino Cocchi si legge a proposito delle miniere di Rio: "Non è molto tempo che essendosi accinti a rismuovere una delle antichissime gettate, trovarono arnesi di pietra ed oggetti di età della pietra nella gettata medesima. Questo fatto, conducendoci necessariamente a supporre molto antica la escavazione del minerale di ferro, ed a considerarla come anteriore al disuso delle armi di pietra, purga anche dal sospetto di favola le armi del ferro elbano usate ai tempi della caduta di Troia, cioè 1280 anni avanti l'Era volgare" (Cocchi, 1891). Il 21 Ottobre del 1871, lo stesso anno in cui il Cocchi pubblicava il lavoro sull’Elba, Schliemann dava inizio alla prima campagna archeologica sulla collina di Hissarlik, nei Dardanelli, alla ricerca della Troia omerica. Due anni dopo avrebbe trovato il cosiddetto “tesoro di Priamo”, un eccezionale collezione di manufatti d'oro che, successive ricerche dimostreranno essere circa un migliaio di anni più antico della Troia di Omero. Le stesse ricerche hanno permesso di datare i resti della città di Priamo tra il 1300 ed il 1100 a.C., in sorprendente accordo con la data riportata dal Cocchi sulla base delle tradizioni e delle fonti classiche. Storia e leggenda viaggiano spesso assieme e Virgilio, nel I sec.a.C scrive nell’Eneide che Populonia partecipò alla guerra di Troia, prima in aiuto dell'amico Priamo, poi a sostegno di Ascanio, fornendo seicento giovani guerrieri, e come la stessa Ilva, l’Elba romana “... l'isola generosa d'inesausti metalli dei Calibi”, avesse partecipato all'impresa fornendo un contingente di trecento armati. Etruschi e Romani Quando attorno al IX-VIII sec a.C. iniziano a formarsi le Lucumonie etrusche, i Fenici, che già da tempo controllavano le rotte mercantili mediterranee e l'approvvigionamento dello stagno nell'Egeo e nel vicino Oriente, si stabiliscono nelle coste tunisine e fondano – secondo la tradizione nell'800 a.C. – la grande Cartagine, in prossimità dello Stretto di Sicilia, le Colonne d’Ercole di Sergio Frau. Poco dopo, fra il 775 ed il 750 a.C., inizia la colonizzazione greca del Mediterraneo centrale. Vengono fondate Pitecusa, nell'isola d'Ischia da parte di coloni eubei, e quindi Cuma, nelle prospicienti coste campane da parte di popolazioni greco-anatoliche, seguendo probabilmente la rotta dello Stretto di Messina ad evitare le “Colonne d’Ercole” presidiate dai Fenicio-Punici. Più o meno contemporaneamente alla Cuma campana, nel 753 a.C. avviene la fondazione di Roma e, poco dopo, nel 730 a.C. i Corinzi edificano Siracusa. Oltre un secolo dopo, attorno al 600 a.C, con la fondazione di Marsiglia da parte dei Focei, provenienti dalla polis greca delle coste anatoliche, si completa il quadro dello scacchiere geo-politico del Mediterraneo centrale. In questo scacchiere la confederazione etrusca svolgerà per quasi cinquecento anni, e soprattutto fra il VI ed il V sec. a.C., il ruolo di grande potenza territoriale, marittima e commerciale: una potenza largamente basata sul controllo dei minerali di ferro elbani e di quelli a rame, piombo e argento del territorio di Populonia. Magari una potenza un po’ “barbara” e un po’ “pirata” agli occhi dei raffinati coloni della Magna Grecia, ma che comunque ha segnato la storia mediterranea del I millennio a.C.. In effetti gli Etruschi furono i tradizionali alleati dei Fenicio-Punici, contro le colonie greche di Cuma, Marsiglia e Siracusa. In particolare i Siracusani, nella prima metà del V e del IV sec. a.C, arrivarono a saccheggiare e ad occupare per brevi periodi l'Isola d'Elba, "approvvigionandosi" lautamente dei suoi minerali ferriferi. Solo nel 307 a.C. - in piena crisi della nazione etrusca che aveva perso l'Etruria campana e la Corsica; con l' Etruria padana soggetta ai sempre più pericolosi attacchi dei Celti, e con lo stesso territorio dell'Etruria classica minacciato dalla crescente potenza romana - si assistè ad un "innaturale" spedizione etrusco-siracusana contro Cartagine. Ma anche se i Greci delle colonie furono i tradizionali nemici degli Etruschi, ciò non toglie che tra i due popoli fossero particolarmente intensi gli scambi commerciali, compresi quelli del minerale grezzo elbano e delle spugne di ferro ridotto. Resti dell' inconfondibile minerale elbano sono stati infatti ritrovati negli scavi di Pitecusa e Pozzuoli, mentre monete e relitti di navi greco-massiliote sono presenti lungo le coste elbane e populonesi. Un eco delle intense attività minerarie e metallurgiche svolte nel territorio elbano a cavallo fra il VI ed il V sec. a.C., la si ha in Ecateo di Mileto (ca. 560-480 a.C.), geografo ionico e fondatore della storiografia occidentale. Ecateo, scrivendo dell'Elba, la chiama “Aithalia”, la fuligginosa. Un nome, lo stesso con cui i Greci denominavano l'attuale isola di Lemno nell'Egeo, - l'isola in cui aveva dimora Efesto il dio metallurgo - destinato ad individuare poi tutta la penisola italiana Nel III sec a.C., a cavallo fra le due guerre puniche, l'Isola d'Elba, così come Populonia, passano sotto il controllo di Roma, ma non per questo si interrompono, almeno all'inizio, le attività minerarie elbane che vengono nobilitate e mitizzate nel III a.C da Apollonio Rodio nelle sue Argonautiche .Narra il poeta , che Giasone e gli Argonauti, i mitici cercatori di metalli del mondo greco, al ritorno dall’impresa del vello d’oro sbarcarono all’Elba forse alla spiaggia delle “ Ghiaie “ di Portoferraio come vogliono alcuni, o forse in qualche spiaggia “ Ferrifera” dell’Elba Orientale come vogliono altri. Gli Argonauti fondarono Argoo, la prima “Portoferraio” e la tradizione vuole che i cristallini di tormalina nera inglobati nei ciottoli candidi di aplite della spiaggia delle Ghiaie siano le gocce del sudore-sporco di Giasone e dei suoi compagni. Lo sfruttamento minerario dell'Elba crebbe durante le prime fasi della romanizzazione, tanto che le fonti attestano che nel 205 a.C. Populonia rifornì la flotta di Scipione l'Africano con ingenti quantitativi di ferro. Nel I sec. a.C. Diodoro Siculo e Virgilio decantano le glorie del ferro elbano, ma quando, all'inizio del I sec d.C., il geografo greco Strabone visita Populonia, trova una citta in decadenza, con le miniere dell' entroterra (Campigliese) inattive. Solo nella piana di Baratti permangono le intense attività siderurgiche per il minerale elbano. Il pieno esercizio - nel I sec. d.C.- delle miniere elbane viene confermato da Plinio il Vecchio che, nella sua Storia Naturale, ricorda come queste miniere fossero ancora in attività, a riprova del loro valore strategico, nonostante che un decreto del Senato romano dal II sec. a.C. interdiva il lavoro minerario nel territorio italiano. Nei secoli successivi si incrementa la decadenza della città di Populonia ed anche il suo centro metallurgico a Baratti subisce un irreversibile declino ed abbandono. Quando il latino di origine gallica, Rutilio Namaziano, l'ultimo poeta della Roma pagana, nel 416 d. C attracca nel porto di Populonia durante una tappa della sua navigazione da Roma, appena saccheggiata dai Goti di Alarico, verso la Gallia, la città è ormai quasi completamente abbandonata ed i suoi forni tristemente spenti. Oltre alle fonti letterarie sono numerosi e di grande significato i riscontri archeologici che caratterizzano le intense attività estrattive e siderurgiche dei minerali elbani durante i periodi etrusco ed etrusco-romano. Nelle zone costiere dell’isola d’Elba e della prospiciente costa continentale si ritrovano cumuli di scorie e resti di forni della siderurgia del minerale elbano prevalentemente compresa fra il IV sec. a.C. ed il II sec. d.C.. Ma è soprattutto nella piana di Baratti che si hanno le più grandiose manifestazioni della siderurgia antica dei minerali elbani, sviluppata in particolare fra il VI ed il II sec. a.C. Durante la Prima Guerra Mondiale, l’esigenza di incrementare la produzione di ferro, portò allo sfruttamento dei grandi accumuli di scorie ferrose che “ da sempre “ coprivano la costa ai piedi di Populonia. Venne così scoperta , di nome e di fatto , la grande Necropoli di S. Cerbone con le sue notevoli tombe arcaiche ed ellenistiche che erano state coperte per esigenze “ industriali “, non scevre probabilmente da un qualche bisogno “ iconoclasta” durante la romanizzazione dell’Etruria. Con l’Età Imperiale all’Elba si costruiscono lussuose ville patrizie( Rada di Portoferraio e Cavo ) a segnare un salto di rango nella rilevanza economica e politica dell' Isola. Alle tradizionali attività di estrazione eriduzione dei minerali ferriferi si affiancano quelle metallotecniche. Si sviluppano altresì le coltivazioni del granito di M.te Capanne. Fabricia, la città romana sorta sulle rovine della mitica Argoo, diviene famosa per la preparazione ed il commercio di armi, mentre a Seccheto, sul Monte Capanne, si estrae attivamente il granito, come attesta la stele di età imperiale dedicata ad Ercole, conservata nel Museo Archeologico di Portoferraio , i numerosi reperti che saranno ospitati nell’istituendo Museo del Granito di S.Piero, nonché le colonne del Pantheon a Roma. “ Mauri “ , Pisani, Lambardi, Principi, Granduchi e…Napoleone Dopo il periodo romano iniziano i "secoli bui" dell'Alto Medioevo: Bizantini, Goti, Longobardi, Franchi e Papato si succedono nel controllo dei territori elbani e populonesi. Le coste dell' alto Tirreno sono luogo di feroci scorrerie di pirati greci e turchi. Nelle terre di Populonia e di Campiglia, alle razzie ed alle violenze perpetrate dai "mauri"- i predoni del mare - si aggiungono quelle degli "ungari" - i predoni di terra. La gloriosa Populonia è ormai una città desolata e spopolata quando - come narrano le cronache - in una notte del 575 le sacre spoglie del Vescovo Cerbone, vennero trasportate dal suo eremo ai piedi di Marciana – al tempo con tutta l’Elba protettorato bizantino, e dove egli si era rifugiato per sfuggire al Duca Longobardo di Lucca - alla baia di Baratti per esservi tumulate. La suggestiva cappella costruita in riva al mare sulle scorie della siderurgia etrusca e romana segna ancora oggi- ma non sappiamo per quanto se non si interviene per evitare l’intensa azione erosiva delle onde - il luogo dove attraccarono i discepoli di Cerbone. L' Elba, Pianosa, Montecristo, il Giglio, Capraia divengono sede di monasteri, rifugio di asceti ed eremiti, luogo di deportazione forzata e alla fine del I millennio d.C. le piccole comunità elbane sono, almeno per un certo periodo, sotto la giurisdizione del Pontefice. Nel corso dell' XI sec., l’Elba entra nella sfera di influenza della Repubblica Pisana. Sotto il governo pisano che, a parte brevi "interregni" genovesi, si protrarrà per quasi quattrocento anni cessò temporaneamnente il pericolo delle incursioni dei mauri. Solo il castello del Volterraio era rimasto e rimarrà inviolato dalla morte e dalle distruzioni delle scorrerie piratesche che, riprenderanno nei primi decenni del Cinquecento. Il Castello, dove è stratificata la storia elbana almeno dal Neolitico, sorge su di una bella manifestazione di “Lave a cuscini“, che sovrasta in un paesaggio di rara suggestione la baia di Portoferraio. Il Volterraio ed i terreni circostanti sono stati a suo tempo acquistati dal Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano allo scopo di salvarlo da un devastante degrado e di valorizzarlo ai fini ecoturistici nelle sue emergenze storico-archeologiche e naturalistiche. Con i Pisani l’Isola si ripopolò e ripresero le attività minerarie, sia dei giacimenti ferriferi dell’Elba orientale che dei graniti del M.te Capanne. Alcune delle colonne monolitiche del Duomo pisano sono di granito elbano ed ancora oggi a Cavoli ed al Seccheto restano, in mezzo alla macchia ed ai fichi d'India, colonne sbozzate ed incavi nella roccia a testimoniare queste attività. Fabbri “Pisani” stagionalmente migravano nell’Isola approvvigionandosi di minerale e di metallo. Gli stessi genovesi, quando dall’estate del 1291 ai primi mesi del 1292 occuparono l’Elba, si portarono appresso i “Lambardi”, gente esperta di miniere provenienti dal Bergamasco e dal Bresciano. A Rio Elba, in prossimità dell’Eremo di S.ta Caterina si ritrovano i resti di un’antica “ferriera” del XIII-XIV sec. e sono numerosi nell’entroterra elbano i “fabbrichili” della metallurgia medioevale. Pisani e Lambardi sono ancora oggi cognomi frequenti nelle famiglie elbane. Nel 1399 Gherardo Leonardo d'Appiano fonda la Signoria di Piombino, annettendovi anche i castelli di Populonia, Scarlino, Suvereto, Burano e le comunità dell'Isola d'Elba, Montecristo e Pianosa. Sulle vestigia della antica acropoli etrusca di Populonia viene edificato il castello appianeo e all'Isola d'Elba viene eretta la Torre del Giove, i cui ruderi ancora oggi sovrastano la “Montagna della vena del ferro” e “ controllano “ le rotte nel canale di Piombino. Nell'immediato retroterra della Montagna del ferro si sviluppano i paesi minerari di Grassera (o Grassula) e di Rio. Il primo sarà distrutto ed abbandonato nel Cinquecento a causa delle incursioni dei pirati franco-moreschi ed i suoi abitanti accolti dalla Comunità di Rio difesa dalla sua massiccia Chiesa-Fortezza di S. Giacomo. I suggestivi ruderi della chiesetta romanica di S. Quirico, protettore di Grassera , segnano il luogo dove sorgeva l’ antico paese minerario ed una piccola lapide dietro l’altare della Chiesa-Fortezza di Rio, divenuta di S. Giacomo e S. Quirico , ricorda l’avvenimento. Tra la fine del XV e l'inizio del XIX secolo l' Italia rappresenta lo scacchiere dove le grandi potenze del tempo - Spagna, Francia, Austria, Inghilterra - si fronteggiano nella lotta per la supremazia politico-economica in Europa. In questo scenario si inseriscono le vicende politiche dell'Elba e la storia delle miniere che vedono tra i protagonisti i Principi di Piombino (gli Appiani prima, i Ludovisi ed i Boncompagni poi), i Medici, i Lorena, per finire con Napoleone Bonaparte. Nel Cinquecento l'importanza delle miniere ferrifere elbane è tale che esse vengono descritte e citate nelle opere di Vannoccio Biringuccio (1480-1538) e Georg Bauer (Giorgio Agricola, 1494-1555), i più insigni mineralisti e metallurgisti del tempo, considerati fra i "padri fondatori" delle moderne scienze mineralogiche. In particolare il Biringuccio, nella sua opera "De la Pirotechnia", edita a Venezia nel 1540, scrive non solo della grande ricchezza delle mineralizzazioni ferrifere di Rio "che avanza ogn'altro luocho in che tal miniera si truovi", ma anche della magnetite di Calamita, "che i marinai ne lor viaggi adoperano per ritornar la bussola scossa [...] et è materia minerale, anchor che non si fonde, et non fondendo non si può dir che contenga metallo". Nei primi decenni del XVI sec. uno scrivano della Cancelleria Appianea compila la copia, giunta sino a noi e conservata nel Comune di Rio Elba, degli “Statuta Rivi”. Il codice di leggi e norme che regolava “civilmente” e “penalmente” la vita dei cavatori di Rio e di Grassula. Gli statuti raccolgono ordinamenti e tradizioni risalenti fino al periodo pisano e rappresentano assieme ai codici di Massa Marittima ed Iglesias una preziosa e rara documentazione dell’antica legislazione mineraria in Italia. Nel 1543 gli Appiani firmano con Cosimo dei Medici (1519 – 1574), secondo nel Ducato di Firenze e poi primo nel Granducato di Toscana, un contratto di appalto delle miniere di Rio. Poco dopo Carlo V assegna al governo mediceo il territorio di Ferraia (già Fabricia) dove nel 1548, a baluardo delle scorrerie franco-moresche di Barbarossa e di Dragut, inizia la costruzione di Cosmopoli, l’odierna Portoferraio. Viene istituita la “Magona del Ferro” destinata ad imprimere una svolta di modernità alle attività minerarie e metallurgiche elbane. A Cosmopoli entra in attività una fonderia. Nell' area del Golfo di Follonica si forma un vero polo siderurgico, costituito dagli stabilimenti medicei di Caldana e di Valpiana e da quello appianeo di Follonica. Alla fine del XVI secolo si costruiscono i primi altoforni per il trattamento indiretto dei minerali ferriferi, e si ottenne la prima colata di ghisa dalla fusione dei minerali elbani. Il passaggio da metodi diretti di riduzione, a quelli indiretti di fusione del minerale ferrifero segna il “ rinascimento “ e la svolta “proto-industriale” delle miniere elbane. A Rio il paesaggio "medievale" della Montagna del Ferro, con le numerose caviere condotte da piccoli imprenditori che la rendevano un groviera di “grotte” e “fosse”, si trasforma lentamente in un “moderno” centro estrattivo coltivato su grandi gradoni a cielo aperto. Accanto agli antichi picconi e picche si iniziarono ad usare le mine di polvere nera per l'abbattimento del minerale che, a dorso d' asino o con barrocci trainati da cavalli, veniva trasportato alla Piaggia di Rio, l’odierna Rio Marina. Fra il Cinquecento e la fine del Settecento la situazione politica ed amministrativa delle miniere elbane rimase tale per cui come scrive il Pullé: “…mentre i principi di Piombino ne ritraevano le rendite di proprietà, i Medici e poi i Lorena trattando lunghi appalti ne ricavavano i frutti dell’esercizio, eseguito sotto la guardia degli Spagnoli e dei Napoletani, installati a Longone” (Pullè, 1921). I Granduchi di Toscana – Medici prima e Lorena poi – furono sempre molto attenti allo studio ed alla valorizzazione delle risorse minerarie della Regione. Studiosi naturalisti e geografi venivano inviati all’Elba, nelle Colline Metallifere, nelle Apuane ed i campioni raccolti conservati nella “Galleria di Cose Naturali” a Firenze e studiati dai “ geologi “ degli “Studi” toscani. Fra questi Niccolò Stenone (1638 - 1686), il quale studiando i campioni di quarzo dell’Isola d’Elba ed elaborando le osservazioni fatte da Vannuccio Biringuccio un secolo e mezzo prima su cristalli di pirite elbana, enunciò i prodromi di quella che poi, con Rome de l’Isle alla fine del ‘700, sarà la Legge della costanza dell’angolo diedro. Nel 1794 con lo sbarco di un gruppo di “Realisti” arrivano a l’Elba i riflessi conservatori della Rivoluzione francese. Seguono anni tumultuosi durante i quali nell’Isola oltre a francesi ed austriaci arrivano anche gli inglesi. Nel 1802 con la pace di Amiens è sancita l’annessione dell’Elba alla Francia e le rendite delle miniere entrano nella dote della Legion d’Onore. Fra il 4 Maggio 1814 ed il 6 Febbraio 1815 l’Isola d’Elba, con Montecristo e Pianiosa, è governata dalle Api napoleoniche. Napoleone predispone molti progetti di riorganizzazione delle attività minerarie, pochi dei quali vedranno tuttavia una concretizzazione. Con il trattato di Vienna finisce il Principato di Piombino e l’Isola d’Elba tutta entra nel Granducato di Toscana. Il 5 Maggio 1816 viene firmato il contratto di compra-vendita fra il governo Granducale e la famiglia Ludovisi-Buoncompagni, ultimi Principi di Piombino, e le miniere elbane passano di proprietà al Demanio Toscano. Dai “ Lumi “ ai “ giacimenti culturali “ Fra la fine del ‘700 e l’inizio dell’’800 nel fervore dei grandi studi illuministici ed enciclopedici nascevano le teorie “moderne” sulla genesi dei minerali.Gli scontri tra Nettunisti, seguaci delle teorie marine e sedimentarie di A. Werner e del Conte di Buffon, ed i plutonisti seguaci delle teorie ignee e vulcaniche di J. Hutton, riempivano le cronache non solo accademiche, ma anche mondane del tempo.Nei dibattiti dei “Lumi” geologici non potevano mancare quelli relativi all’origine dei giacimenti ferriferi elbani, alla loro inesauribilità e rigenerazione come scritto da Virgilio e Stradone. Ermenegildo Pini (1739 – 1825), famoso naturalista milanese e Paolo Savi (1798 – 1871) professore di Storia Naturale nell’Ateneo pisano ci hanno lasciato pagine molto significative sull’argomento (Pini, 1777; Savi, 1836).Il Savi inoltre compila la prima carta geologica e mineraria dell’Isola d’Elba. Una piccola carta inedita alla scala 1:86400 come scrive il celebre geologo toscano Bernardino Lotti, colui che defini l’Elba “…un grandioso museo mineralogico all’aperto…” e pubblicò nel 1882 la prima carta Geologica dell’Elba al 25000 (Lotti, 1882). Fino a tutta la prima metà dell'Ottocento sui ripiani cinquecenteschi delle pendici meridionali ed occidentali della Montagna del ferro di Rio sembra quasi che il tempo si sia fermato. Negli antichi cantieri del Piano delle Fabbriche, della Grotta Romana, del Sanguinaccio, del Piatamone, alle Cavacce e all' Antenna "[...] Picconieri o Minatori" - come ci lascia scritto Paolo Savi - "eseguiscono lo scavamento dirupando sempre, quasi a piombo il monte, mediante picconi, o pali di ferro, o mine, e facendo precipitare in basso tutte le sostanze che scavano[...]. Gli Zappatori, scelgono poi i pezzi buoni del minerale; i Carrettai caricano le Cattivanze e gli Spurghi per portarle alle Gettate; i Rompitori spezzano i pezzi più grandi dei blocchi di minerale; i Somarai, caricano gli asini che in lunghe Gite porteranno la vena del ferro alle Scottiere, sulla piazza della marina, dalla cui spiaggia si protende in mare un lungo pontile di legno per il caricamento dei barconi da trasporto. Gli Staderani pesano la vena e quaranta o cinquanta facchini mettendola in piccole ceste, vanno di trotto a gettarla nel legno, che è prossimo al ponte [...] Effettuato il carico, il barcone salpa, apre le vele, e si dirige verso Follonica, o verso qualche altro punto della Maremma, o del resto d'Italia [...]. Nella Parte orientale del Monte, dove sono le antiche gettate, sopra le case della Marina, nelle zone di Fondi e Vigneria, sonovi dei bei frutteti, e vigneti, de campi di legumi, e cereali [...] e in tutti i punti di quel terreno, scappano fuori masse di miniera di ferro ematitico, ossidulato, oligisto [...] Son questi i pezzi di miniera o di Vena, che essendo stati trovati nelle vigne, diconsi Vena di Vigna, e che da alcuni mercanti spesso sono a preferenza di ogni altra miniera ricercati [...]" (Savi, 1836). L'inizio dell'ammodernamento tecnologico possiamo fissarlo attorno al 1853 quando Teodoro Haupt, un ingegnere tedesco chiamato dal Granduca per sviluppare le attività estrattive toscane, progetta ed impianta nella area di Pozzifondi a Rio, la prima laveria per separare il minerale dallo sterile. A Vigneria, Capo Pero, Rio Albano e Calamita, si costruiscono nuovi pontili per l'imbarco del minerale. Per il trasporto dai cantieri di estrazione ai punti di imbarco si utilizzano vagoncini ferroviari a trazione animale, anche se i carretti e le "gite"dei somari rimarranno nell'iconografia del paesaggio minerario di Rio fino agli anni Trenta del secolo passato. Dalla Cala dell' Innamorata fino ai cantieri di Calamita viene costruita una ferrovia a scartamento ridotto e trazione animale, e nel cantiere del Giove, a Rio fanno la loro comparsa i vagoncini Decauville trainati da cavalli. Nel 1860 viene abbattuto "l'animale a cento gambe", un lungo cavalcavia per il trasporto del minerale che attraversava la Piaggia di Rio, e un anno dopo passata la proprietà delle miniere dal Demanio granducale a quello italiano, che tuttora la detiene, inizia la costruzione dei voltoni e dei magazzini agli Spiazzi de La Piaggia di Rio. Nel 1866 entra in funzione la prima laveria dotata di sfangatori del tipo Patouillets; una tecnica di separazione del minerale dallo sterile che sarà sostanzialmente utilizzata fino alla Seconda Guerra Mondiale. Parallelamente a questo sviluppo tecnologico delle infrastrutture minerarie, cresce anche l' organizzazione sociale e amministrativa delle genti della miniera. Nel 1862 si aprono, grazie all’azione della Comunità valdese locale, le prime scuole pubbliche alla Piaggia di Rio . Negli anni che seguono si formano le prime organizzazioni sindacali ed partiti dei lavoratori, e la Piaggia di Rio non senza contrasti si stacca da Rio Castello ( Rio nell’Elba ) e diviene il Comune autonomo di Rio Marina. Più o meno contemporaneamente nelle terre del granito dell’ Elba Occidentale, dal grande Comune di Marciana si separano Marciana Marina e Campo nell’Elba. Con la fine del secolo XIX, in relazione ai piani nazionali di sviluppo della siderurgia, si ha per l'Isola d'Elba la vera svolta industriale. Il 29 Luglio 1899 si costituisce una società anonima per azioni chiamata "Società Elba", che ha tra le sue finalità "lo sfruttamento delle miniere dell' Isola d'Elba e l'impianto di altoforni nell'isola stessa ed altrove". Nel 1903 entrano in funzione, gli altoforni di Portoferraio, e pochi anni dopo quelli di Piombino e di Bagnoli. Nelle minere elbane si costruiscono piani inclinati automotore e teleferiche, e nella prima decade del Novecento vengono introdotte le locomotive a vapore, presto seguite dagli impianti di elettrificazione. Nel periodo compreso fra le due Guerre Mondiali vengono aperte nella penisola di Calamita le miniere a magnetite del Ginevro e Sassi Neri. Nel grande stabilimento siderurgico di Portoferraio, esteso dai confini della città medicea a S.Giovanni, lavorano fino a 2000 addetti, e circa 1500 nelle miniere. La rada di Portoferraio è un continuo andirivieni di bastimenti. Durante la Seconda Guerra Mondiale lo stabilimento subisce pesanti bombardamenti, che segnano la fine delle attività siderurgiche nell'Isola. Quelle minerarie, dopo la ricostruzione post-bellica, si svilupperanno anche in sottosuolo con l'apertura della miniera a pirite di Ortano e di nuovi cantieri a Rio Marina ed al Ginevro. Dalla fine degli anni '60, le mutate condizioni geo-economiche sul mercato mondiale dei minerali ferriferi, nonché le nuove vocazioni verso economie turistiche del territorio elbano determinano, non senza gravi ripercussioni socio-economiche la lenta dismissione delle attività minerarie. Nel 1981 come detto in premessa, con la chiusura della miniera del Ginevro, finisce la storia dell’ industria “ mineraria e siderurgica” dei giacimenti ferriferi elbani ed inizia quella della loro industria “ culturale e turistica”, imperniata su una riqualificazione idrogeologica del territorio , un restauro delle più significative vestigia storico-archeologiche, una valorizzazione integrata delle emergenze naturalistiche e… soprattutto, una “ coltivazione “ di quel grande patrimonio di tradizioni e di umanità che tremila anni di un insieme fatto di “ duro lavoro nelle miniere “ e di “grande amore per le miniere”, ci hanno lasciato “ in prestito “ . Nostro compito tutelarlo. “ …i delfini, emergendo dal mare quando il cielo è sereno, a frotte volteggiano attorno alla nave lanciata in corsa…” ( Apollonio Rodio) BIBLIOGRAFIA BEDINI E., DUCCI S., MALLEGNI F., USAI L. BARTOLI F. e RUBINI M. (1999) – Una rinnovata visione della paleobiologia del gruppo umano di Grotta S. Giuseppe (Rio nell’Elba, Livorno). Arch. Antrop. Etnologia, v. CXXIX, pp. 83-121. BENVENUTI M., BONI M. e MEINERT L. (2004) – Skarn deposits in Southern Tuscany and Elba Island. 32° IGC, B-18 Field Trip G.B.. COCCHI I. (1865) – Di alcuni resti umani e degli oggetti di umana industria dei tempi preistorici raccolti in Toscana. Mem. Soc. Tosc. Sc. Nat., I. COCCHI I. (1871) – Descrizione geologica dell’Isola d’Elba. Tip. Barbera, Firenze. FRAU S. (2002) – Le Colonne d’Ercole, un’inchiesta. Ed. Nur Neon, Roma. FRAU S. (2003) – Tyrsenoi. La Repubblica, 2 Ap. 2003 FRAU S. (2004) – Come ho sposato le Colonne d’Ercole. Venerdì di Repubblica, 30/4/04, pp. 91-93. LOTTI B. 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