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Controcopertina: Nicoletta ed il suo sogno del capannone sul porto

Scritto da : Sergio Rossi
Pubblicato in data : martedì, 02 novembre 2004

Ho un sogno: vorrei vedere un giorno il capannone dell’Enel, proprio all’arrivo dei traghetti, sopra il parcheggio attualmente “decorato” da orrendi ed enormi pannelli pubblicitari, tornare ad essere un bell’edificio di mattoni e intonaco a calce, con i finestroni dell’architettura industriale del secolo scorso, le capriate d’acciaio, le griglie dei portoncini riabilitati a nuovi usi, consoni al nostro territorio. Un edificio simile gli americani se lo costruirebbero in silicone, pur di averlo. A Pisa ne hanno recentemente restaurato uno adibendolo a locale per mostre, congressi, spettacoli. A Bologna locali simili, e con posizioni meno spettacolari, vengono adibiti a luoghi per giovani, sale universitarie, uffici di altissimo livello. Parigi ha rivisitato interi quartieri industriali, trasformando quei pezzi del suo territorio in nuovi quartieri colti, raffinati, pieni di giovani, musiche, mostre. Noi della nostra storia, cosa ne facciamo? Continuiamo a buttarla semestralmente nei cassonetti, permettendo che anche gli ultimi ruderi rimasti, acquisiti a prezzi sempre più proibitivi, vengano abbattutti per essere poi sostituiti da omologate villette, cemento e tapparelle e cancello automatico stile Casalecchio? Questa follia ci spinge, forse qui più che altrove, a buttare tutto ciò che non è più nuovo, ci sta portando a fare gli ultimi irreparabili danni. Il senese non sarebbe il senese senza i suoi ruderi. Panarea non sarà più Panarea senza le case dei pescatori, bianche e con le colonnine a calce a cui appendere i pomodori e le cipolle a maturare. L’Elba senza il suo passato, senza i suoi portoncini sbilenchi, i comignoli di mattoni e vecchie tegole, gli infissi di castagno, le sue povere e belle case di contadini cosa pensa di diventare? Un agglomerato di strade, che conducono a residences, villaggi vacanze e centri commerciali? Siamo davvero convinti che si poi questo che il turista cerca all’Elba? Se questa volta non ci diamo davvero una mossa, con la logica del profitto ad ogni costo rischiamo di lasciar cancellare per sempre una testimonianza importantissima, unica, della storia dell’Elba Il capannone Enel, è ciò che rimane di un passato di fatica, il simbolo della perduta Portoferraio industriale e del duro lavoro di centinaia di operai elbani, una storia di guerra, lotte e miseria che forse qualcuno vorrebbe dimenticare e cancellare. Il capannone attualmente è recintato da una rete di metallo. E’ un edificio immenso, con locali sotterranei alti fino a quattro piani. Oggi è rifugio per gabbiani e piccioni. Ci potrebbero stare dentro moltissimi servizi per il territorio che attualmente non trovano collocazione. Potrebbe accogliere scolaresche in visita, sale congressi, locali per mostre, teatro coperto per grandi manifestazioni, un museo sul lavoro che ci ricordi l’Elba dimenticata degli altiforni, del ferro e delle miniere e delle vigne strappate alla montagne. Ci starebbe anche un ostello della gioventù. Grazie a quello spazio Portoferraio potrebbe finalmente farsi promotrice di manifestazioni importanti e non solo estive. Ed una ristrutturazione del capannone porterebbe valore ed una vera riqualificazione per tutto il quartiere intorno Una vera civiltà non rinnega il suo passato prossimo, anche se è intriso di ricordi di fatica e di miseria. Ma ne coglie nelle rughe la bellezza e i valori su cui ha saputo costruire il proprio presente. Non dovremmo dimenticarci che ogni epoca è stata un tempo un momento presente, e poi un momento appena passato. Se tutti fossero stati colti dal nostro stesso desiderio di sbarazzarci di tutto ciò che non è più nuovo e lucente, omologato, facilmente interpretabile, l’Italia non avrebbe neanche una città medievale, Cosmopoli non ci potrebbe regalare ancora le sue mura e le sue fortificazioni, Roma non sarebbe Roma. Perché l’Elba dovrebbe essere fiera solo di chiese romaniche, mura medicee o fortezze etrusche? C’è forse un passato che è meno degno di un altro? E’ vero, e lo so per esperienza, che quando si vive in un paese, in una città, lo sguardo che noi portiamo su quel territorio, a noi così familiare, è intimamente connesso con i nostri ricordi personali. Per questo è molto difficile per chi quei posti li ha vissuti come luoghi di fatica e miseria vederne la bellezza E liberarsi da quella memoria. Ma chi amministra deve dar prova di lungimiranza, e guardare il proprio territorio al di là del contesto attuale o appena passato. Conosco un giovane sindaco di un paesino del Cadore che sta facendo ricostruire l’abbeveratoio, là dove suo nonno, sindaco, lo fece abbattere perché ricordo di un’epoca dove vacche e abbeveratoi erano tutto un mondo da cui ci si voleva rapidamente allontanare. Nella periferia di Milano, per esempio, interi quartieri operai vengono rivisitati per essere riconvertiti in quartieri universitari. Campus, teatri, ristoranti sorgeranno là dove prima passavano migliaia di operai al suono della sirena. Il nostro passato non è meno degno di quello di Milano, Bologna, Sesto San Giovanni. Potremmo esserne convinti, no? Per questo cari amici vi scrivo: per favore, non lasciamo scomparire nell’indifferenza una costruzione che fra venti, cinquanta, cent’anni ragazzini e genitori potranno venire a visitare e ricordare cos’era l’Elba degli inizi del secolo, prima che l’onda lunga dell’economia degli ombrelloni e sdraio spazzasse via dalla battigia gli ultimi residui della loppa. Quei ragazzini mangeranno forse un gelato, avranno forse strani attrezzi con cui giocare. Ma se avremo avuto fortuna, ci sarà davanti a loro ancora il mare, un imprendibile golfo, una città fortificata medicea sullo sfondo. Ci saranno giardini intorno questo ex bestione dell’Era industriale Elbana. E che faranno fare escursioni appassionanti. Intorno un quartiere che non sarà più solo un grosso marciapiede maltenuto dove far sbarcare o sostare le auto. Ci saranno giardini, dove i ragazzi potranno venire a baciarsi, ci saranno dentro luoghi dove studiare, ascoltare la musica, forse dormire, seguire conferenze. Ci potrebbero essere viali alberati e panchine. piste ciclabili e passerelle dove allenarsi, muri dove imparare ad arrampicarsi. Avanti, tutti insieme, sogniamo, per una volta. Sogniamo, per davvero e con forza, un luogo dove Portoferraio diventi una città europea, che accoglie i suoi giovani, i suoi anziani, gli sportivi, gli studiosi, gli artisti. Io, al posto del capannone dell’Enel, un altro centro commerciale insignificante, un altro mostro di cemento-perché-costa-meno, spero proprio di vedercelo mai. E so che siamo davvero in molti a non volerlo. Con vero affetto


capannone enel portoferraio

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