Si dice che quando morì, il giorno della sua resa definitiva, Cavallo Pazzo avesse circa trentacinque anni, ucciso a tradimento con la complicità del compagno di tante battaglie, Piccolo Grande Uomo, arruolatosi nella polizia ausiliaria dell’esercito degli Stati Uniti. Era il 1877. Si chiudeva così, definitivamente, la parabola di una Nazione, la Nazione Indiana, che solo pochi anni prima aveva preso coscienza di essere un unico popolo, padrone di un continente, disposto fino all’ultimo sacrificio in nome dell’amore per la propria terra, per le proprie tradizioni, per la fedeltà ai propri spiriti. Cavallo Pazzo, Tashunka Uitko, è forse il simbolo più enigmatico e per questo più coinvolgente di un periodo storico che ha rappresentato la definitiva conquista del Nord America da parte dei bianchi. Un capo guerriero di cui, a differenza di altri, non è stata tramandata alcuna immagine, fotografica o dipinta, non si sa con certezza dove siano le sue spoglie, non si conosce con precisione la data di nascita, eppure fra i nativi americani continua a rappresentare il Figlio del Tuono, il protagonista di due decenni di battaglie, mai sconfitto né ferito in battaglia, protetto dal suo spirito guida, un falco rosso, che gli apparve dopo la “visione”, quando il Grande Spirito decise di manifestarsi al giovanissimo Sioux Oglala. Cavallo Pazzo è l’uomo di Sand Creek e di Little Bighorn , ma per molto tempo, secondo la storiografia americana è soltanto il “massacratore” di Custer e del VII Cavalleggeri, mentre per fortuna nelle riserve gli sono stati dedicati studi approfonditi, molto materiale è stato raccolto, sia documenti che interviste a chi lo aveva conosciuto. Alce Nero, con lui a Little Bighorn, è morto nel 1939, l’ultimo superstite dei soldati di Custer nella stessa battaglia, addirittura nel 1950; non si tratta quindi di preistoria, o addirittura di personaggi immaginari di film che, prima per un verso, poi per un altro, ci hanno offerto un’immagine distorta di qualcosa che invece è assolutamente reale. Zucconi è un giornalista, e scrive un reportage con il coinvolgimento e l’immedesimazione di chi si è appassionato soprattutto all’altra America, andando oltre la semplice biografia. Nel libro questo stretto legame non viene mai meno, sempre in evidenza per rendere omaggio non soltanto ad un pellerossa ma a tutta una Nazione che ormai sembra avere nella memoria il valore più grande a cui aggrapparsi per resistere all’emarginazione e alla miseria, anche se, inevitabilmente, leggenda e realtà spesso si intersecano, ma questo non fa che rendere ancora più affascinante il racconto di tutto un mondo, dai piccoli gesti quotidiani della vita nei villaggi alle battute di caccia, dai sanguinosi scontri sulle rive dei fiumi o sulle Colline Nere, fino all’ultima manifestazione del Grande Spirito, apparso per onorare con una definitiva e segreta sepoltura la grandezza di Tashunka Uitko. Nelle parole di Alce Nero l’elogio funebre più giusto: “…neppure io so dove sia sepolto Cavallo Pazzo e non mi interessa saperlo. Il suo corpo è diventato erba della Prateria e solo il suo spirito vive. Io voglio essere con il suo spirito, non con le sue ossa.” Nella sezione "Il libro" è pubblicato l'articolo per intero.
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