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Lettera da un ventenne campese

Scritto da : Sergio Rossi
Pubblicato in data : venerdì, 29 ottobre 2004

Carissima redazione di Elbareport trovo interessante l'argomento trattato nell'articolo "Un altro ragazzo se n'è andato. Per questo vi scrivo e prendo spunto da questo per dirvi che, in un'isola "felice" come la nostra i giovani non hanno importanza per la società.Nessuno investe su di noi,che siamo il futuro. I nostri imprenditori, cioè coloro che hanno soldi da investire, non hanno mai pensato a delle associazioni per i giovani che potessero convolgerli, che potessero dare a loro una voce, dimostrando che non siamo importanti. Per non parlare della Chiesa, il nostro "Sacerdote", cosa ha fatto per noi? La prima comunione e per qualcuno la cresima, tutti doveri che non sono andati oltre ai suoi doveri ecclesiastici. Sono arrabbiato, per questo, probabilmente,le mie parole sono confuse e non seguono un ordine, ma soprattutto non ho più fiducia in questa società perchè questa non crede in me come altri della mia età. Non so se avrò suscitato in voi qualche reazione con queste poche righe, ma ho tanto cose in testa che non riesco ad ordinare per chiarirvi quello che sento dopo quello che è successo. 20enne Campese Abbiamo deciso di mettere in evidenza questa lettera, forse un po' approssimativa nella forma e piuttosto "tranchant", che pone anche problemi su cui non ci possiamo esprimere (ad esempio non conosciamo né l'attività, né la lamentata inattività della Chiesa a Campo), ma che consideriamo genuina e molto importante. Importante perchè crediamo rappresenti bene la distanza che c'è tra chi decide, come persona di successo politico, istituzionale, economico la rotta di questa zattera di pietra e le aspettative, le richieste, i sogni i destini dei ragazzi isolani. Viene da un paese tra i più opulenti (crisi o non crisi) dell'Elba ed è lo specchio di una preoccupante non comunicazione intergenerazionale. Viene all'indomani di un fatto tragico, anzi dell'ennesimo fatto tragico accaduto all'interno di un contesto sociale nel quale abbiamo immesso dei figlioli, che abbiamo cresciuto o non cresciuto fino in fondo, che assumono talvolta tracotanti atteggiamenti, che sembrano bulletti e bullette che paiono spaccare il mondo e che poi si mostrano in tutta la loro devastante fragilità. "Sono arrabbiato, per questo - dice il ragazzo che ci ha scritto, rompendo alla sua maniera un muro - probabilmente,le mie parole sono confuse e non seguono un ordine, ma soprattutto non ho più fiducia in questa società perchè questa non crede in me come altri della mia età". Ed è una sassata che spacca un vetro questa frase, qualcosa che ci deve indurre a riflettere, a rivedere i nostri modelli educativi a farci una bella autocritica, ma non per metterci l'animo in pace ed amen, per agire, fare qualcosa di concreto, senza gesti eclatanti, nella vita di tutti i giorni. Pacifico che il mestiere di tutte le generazioni è quello di mettere in discussione la precedente, ci domandiamo se almeno abbiamo messo in grado i nostri figli di contestarci, se siamo riusciti a trasmettere loro dei valori e dei riferimenti, lasciandoli liberi di gettarli alle ortiche ma dopo essercisi misurati. Abbiamo dato tanti soldi a questi ragazzi, quando potevamo li abbiamo riempiti di vuoti e costosi simboli del successo e se non potevamo abbiamo loro trasmesso qualcosa che è perfino peggio, l'aspirazione frustrata a far parte del mondo del consumo, di un mondo di cartapesta in cui solo chi appare esiste, nell'aberrante parafrasi di Cartesio della pubblicità: Guido (la sbrilluccicante auto) quindi sono. Ci scuserà il giovane amico campese, se siamo confusi anche noi, che non dovremmo esserlo. Ci diamo e gli diamo un consiglio, facciamo un poco scemare questo momento di emozione e cerchiamo dopo, con la mente un poco più lucida, di canalizzare in positivo questa rabbia. Iniziamo a comunicare. Le cose che si debbono fare saranno se ci riusciremo un passo successivo.


campo elba panorama porto

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